Maria Callas nei panni di Carmen |
«Fortunatamente la
condizione patologica di questa poveretta, schiava della carne senza
tregua e senza pietà, è un caso molto raro. Solo che serve più a
risvegliare la sollecitudine dei medici che a interessare onesti
spettatori, venuti a teatro con le loro mogli e le loro figlie».
Scrivendo questo giudizio, nel marzo 1875, il critico del giornale
parigino “Le Siècle” certo non si rendeva conto d’aver
assistito alla nascita d’un mito: quello di Carmen.
Da allora la fortuna di
questo personaggio sulle scene di tutto il mondo non ha conosciuto
tregua; qualcuno ha perfino calcolato che la gitana è già stata
pugnalata almeno cinquemila volte. In questi ultimi anni però Carmen
ha avuto molta fortuna anche fuori dei grandi teatri d’opera
tradizionali. Tutto è cominciato due anni fa, per la storia (ma
c’era già stata la famosa Carmen Jones di Otto Preminger, e
perfino una Carmen con Charlie Chaplin ed Edna Purviance),
quando il famoso regista inglese Peter Brook l’ha trasportata in un
teatro malridotto della periferia parigina, Les Bouffes du Nord, in
una sala di 500 posti, facendola interpretare a quattro cantanti con
una orchestra di 15 elementi (presto sarà pronta anche la versione
tv). Nel 1982 c’è stata invece la prima rappresentazione
dell’opera al teatro «Ponte del cielo» di Pechino, interpretata
in cinese dalla cantante Miao Ging,
Quest’anno c’è stato
invece Prénom: Carmen, il film di Jean-Luc Godard che ha
ottenuto un Leone d’Oro molto discusso alla Biennale di Venezia,
Carmen era la ventenne Marutschka Detmer. La musica del film, invece,
si rifà ai quartetti di Beethoven e l’aria di Bizet viene solo
fischiettata da un personaggio. A dicembre uscirà in Italia Carmen
flamenco, il film-balletto spagnolo di Carlos Saura, già
premiato a Cannes, con Antonio Gades. A gennaio dovrebbe arrivare il
film-opera di Francesco Rosi, commissionato dalla Gaumont, che si
dice sia costato una decina di miliardi, Carmen è Giulia Migenes,
una newyorkese di 30 anni. A giugno, a Spoleto, si potrà vedere il
balletto di Antonio Gades, ispirato al film di Saura; Carmen sarà
Cristina Hoyos. Infine, per chi preferisce la satira un po’
piccante, è uscita in questi giorni anche in Italia una Carmen a
fumetti, un po’ fatale e un po’ sozzona, opera di uno dei nuovi
disegnatori francesi, Georges Pichard.
Quali sono i motivi di
questa popolarità? Qualche cinico ne ha trovato uno: sull’opera,
dice, non si pagano più diritti d’autore. In Francia infatti i
diritti scadono 50 anni dopo la morte dell’autore. In questo caso
non è Prosper Mérimée, autore del racconto, morto nel 1870, e
nemmeno Georges Bizet, autore dell’opera morto nel 1875, ma il più
longevo dei suoi due librettisti, Ludovic Halévy, morto nel 1908.
Aggiungendo sei anni e mezzo, come prevede la stessa legge, per la
prima guerra mondiale, e otto e mezzo per la seconda, si arriva alla
metà degli anni Settanta: proprio quando hanno cominciato a
moltiplicarsi le nuove Carmen.
Questa spiegazione,
naturalmente, non è soddisfacente. Se la storia della zingara
andalusa ci viene riproposta di continuo, vuol dire che il pubblico
la richiede. «La storia della donna fatale è sempre piaciuta»,
dice Enzo Siciliano, «e in particolare, non so perché, agli uomini
di spettacolo. Basta pensare a tutti i libri e i film sull’argomento.
Certo, tra le donne fatali, Carmen è la più affascinante».
Eppure il racconto
Carmen, pubblicato nel 1845 sulla “Revue des Deux Mondes”
non suscitò grande interesse. Fu ripubblicato sette anni dopo, poi
sparì dalla circolazione per molti anni. L’autore, Prosper
Mérimée, era un intellettuale quarantenne, ispettore ai monumenti e
alle antichità, un uomo freddo, ironico, molto mondano. Diceva che
lo spunto gli era stato dato da un episodio narratogli dalla contessa
de Montijo, un’aristocratica che lui aveva conosciuto in occasione
del suo primo viaggio in Spagna, nel 1830. Glielo aveva raccontato
mentre lui teneva sulle ginocchia sua figlia Eugénie, più tardi
destinata a sposare Napoleone III.
Molti indizi però fanno
pensare che il ventiduenne Mérimée, spedito in Spagna da suo padre
dopo un amore infelice, avesse conosciuto direttamente una o più
Carmen. Una di queste, per esempio, abitava con la madre in una
capanna e prediceva il destino: lui la ritrasse in un acquerello. In
un capitolo aggiunto al racconto, del resto, Mérimée lascia capire
qualcosa di più: «Si dice che non sia mai successo», afferma, «che
una gitana sia stata attratta da un uomo che non era della sua razza.
Mi sembra che ci siano molte esagerazioni negli elogi che si fanno
della loro castità. Anzitutto molte gitane sono brutte, e sono
quindi come quella di cui Ovidio dice: "Casta quam nemo
rogavit”. Quelle graziose in realtà sono come tutte le spagnole:
molto esigenti nelle loro scelte».
Coloro che conoscono
Carmen solo attraverso l’opera non sanno che nel secondo
capitolo Mérimée racconta il suo incontro con Carmen, a Cordova:
«Una sera, all’ora in cui non si vede più niente, fumavo
appoggiato al parapetto quando una donna... venne a sedersi accanto a
me». Mérimée attacca discorso, le offre un gelato e l’accompagna
a casa sua per farsi leggere le carte. Qui però viene interrotto
dall’arrivo di don José, amante di lei, ed è costretto a partire.
Qualche mese dopo, ripassando da Cordova, sa che don José è in
prigione, condannato a morte. Lo va a trovare e questi gli racconta
il suo amore per Carmen, che lo ha convinto a disertare dall’esercito
per unirsi ai contrabbandieri, ma ha continuato a tradirlo
costringendolo a ucciderla.
Mérimée racconta questa
vicenda passionale in modo veloce e distaccato. Uno scrittore
francese, Henri de Montherlant, Io commenta così: «Mérimée, che
era certamente un uomo di spirito (tutti i francesi lo sono), non
vuol far vedere che lo è. Mérimée, che era psicologo (tutti i
francesi lo sono), non ci parla della psicologia di Carmen. Crediamo
che stia per spiegarcela, quando don José la uccide: la uccide in
dieci righe, e il libro è finito prima di cominciare».
«Il fascino del
racconto, invece, sta proprio in questa apparente freddezza», dice
Enzo Siciliano. «C’è un rapporto strano, ambiguo, tra autore e
personaggio. Dietro questa scrittura apparentemente trasparente
agiscono forze oscure. Tanto è vero che Carmen ha influenzato molti
scrittori negli anni successivi. Nonostante le immense differenze di
stile, vedo ricomparire il personaggio in Un amore,
di Buzzati e nella Noia di Alberto Moravia. De1 resto
sappiamo che Moravia ama molto Mérimée».
La vera Carmen,
però, è nata con l’opera lirica. Meilhac e Halévy, che avevano
scritto per Offenbach La bella Eletta r La Vie Parisienne,
decisero, quasi 30 anni dopo l’uscita del racconto, di proporre
un’opera su questo tema a un compositore di 27 anni, Georges Bizet.
Questi era triste, malato, sempre indeciso tra Mozart e Beethoven,
tra Rossini e Wagner, non aveva ancora conosciuto il successo; viveva
in un sobborgo vicino a Parigi, Bougival, e la moglie lo tradiva con
un amico, il pianista Delaborde. Bizet dovette lottare molto con i
librettisti che cercavano di rendere più accettabile il personaggio
della zingara prostituta e scrisse addirittura il testo della famosa
Habanera.
Il personaggio di Carmen
cambiò profondamente. Era contrabbandiera ma non ladra, non era più
sposata (come nel racconto, con lo zingaro Garcia il guercio) e
quindi non era più adultera, e soprattutto non andava a letto con
tutti gli ufficiali e gli stranieri che le capitava di incontrare.
Nonostante questo, dopo la prima del 3 marzo 1875, cui assistettero
Gounod, Massenet, Dumas figlio, lo scandalo fu grande. La stampa
definì la protagonista «una creatura abietta». Bizet morì qualche
tempo dopo, senza aver conosciuto il successo.
L’opera però piacque
subito ai musicisti: a Wagner, a Brahms, a Puccini, e a Federico
Nietzsche, che trascorse a Genova l’inverno 1881-82; era già
malato e scrisse che quella musica lo aveva addirittura guarito. Si
servì di Bizet nella sua polemica contro Wagner: il compositore
tedesco, diceva, era forse più grande, ma la sua musica era pomposa,
oscura, sembrava sempre alludere ad altri significati. Bizet invece
era riuscito a rappresentare l’amore: «Finalmente l'amore,
tradotto di nuovo nella natura! L’amore come destino, come
fatalità: cinica, ingenua, crudele, e appunto in questo, natura...».
«Secondo me Nietzsche
aveva colto un aspetto molto importante», dice il critico musicale
Mario Bortolotto. «Carmen è un personaggio unico nel mondo
dell’opera lirica. Non si può definire né buona né cattiva, è
costruita, per così dire, con un metallo diverso, è estranea al
mondo morale. I librettisti di Bizet hanno censurato il testo di
Mérimée, ma non hanno potuto censurare la musica. Qualcuno ha fatto
il parallelo tra Carmen e don Giovanni, un personaggio che si ribella
anche lui alle convenzioni. Mozart però cerca di riportarlo
all’ordine: don Giovanni è un dissoluto che deve pentirsi, che
deve essere punito. Nella morte di Carmen, invece, non c'è
espiazione, non c’è pentimento, c’è il compimento di un
destino, che è una cosa ben diversa.
«Certo per la
letteratura questa non era una novità», prosegue Bortolotto. «Nella
letteratura è facile trovare un personaggio ambiguo, difficilmente
catalogabile. Nell’opera no: i ruoli sono attribuiti una volta per
tutte. L'opera, come diceva George Bernard Shaw, è quella cosa per
cui il soprano si innamora del tenore e il baritono non vuole. Qui
invece la mezzo soprano tradisce il tenore con un baritono!».
Carmen piace o affascina
perché è una specie di protofemminista? Anna Maria Menichetti, che
si occupa delle parti scritte per donne nell’opera lirica nella
trasmissione del mattino dedicata alle donne, Ora D, non accetta le
domande: «È femminista Carmen? Era femminista Eva? Non lo so.
Carmen è attuale? Certamente. Prima di tutto perché si comporta
come un uomo; cioè vuole scegliere, vuole decidere. Poi perché è
una donna che non vuole rinunciare a niente. Potrebbe vivere
tranquilla, fare la moglie del brigadiere, e invece rimette tutto in
giuoco, perché non vuole scegliere qualcosa, vuole tutto. In questo
può servirci da modello: anche se, certamente, è finita male».
L'Europeo, 15 ottobre
1983
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