La domenica sera la
Littizzetto, se posso, non me la perdo. Mi interessa come parla. È
un fenomeno interessante: come in Benigni, in bocca sua «le brutte
parole», come le si chiamava una volta, non disturbano. Le ha
sdoganate. Anche per l'effetto sorpresa, straniante: un'irriverenza
che non ti aspetti. La sua comicità nasce dal saper incastonare una
parola fuori sede, la parola che elude le attese, la prevedibilità.
Capita per le similitudini, per esempio: «erotica come uno scafandro
da palombaro», «ha la carica erotica di una betoniera». Senza dire
degli eufemismi, dei sostitutivi come «il Walter», «la Jolanda»
per indicare i genitali, o gli accorgimenti anche di citazioni
letterarie, del Tabucchi poniamo: lo «slippino bianco, in cotone...
che sostiene il pereira». E i calembour: «il mio amico Pino, grande
trombeur de femmes».
In un paese come il
nostro in cui ora si va consolidando un italiano di registro medio,
neutro, poco colorito, mediocre, trovo normale che abbia una
singolare presa e successo questo rinforzo, questo «soprappiù» che
viene da una comunicazione ricca di tratti espressivi, sempre sopra
il rigo. Oggi che l'uso del dialetto è in calo, e le differenze tra
italiano regionale e italiano standard si vanno attenuando, piace il
ruolo di alternatività assolto da un contrappunto gergale-spinto.
C'è poi un altro aspetto
che spiega il successo della Littizzetto. Sa usare le scorie,
riciclare i messaggi pubblicitari, riaccendere il «rumore»
indifferenziato di uno slogan, rimotivarlo: penso a quando ci viene a
parlare di chi «ha la vivacità erotica di Capitan Findus», quello
che fa la pubblicità dei surgelati, o ricicla fumetti (a un tale «si
sfrangiano i maroni come la giacca di Pecos Bill»). Usa insomma
materiali popolari, massmediatici, fa riferimento al noto, richiama
canzoni che si conoscono, personaggi del cinema, tormentoni
pubblicitari.
L'intento caricaturale si
impone infine con la costante delle metafore animalesche. Si coglie
ironicamente l'essenza delle cose o delle persone attraverso
l'animalizzazione: «nervosi come vipere cornute», «mi è venuta la
pelle di un’iguana» (e non di oca, né di cappone), «il mio
moroso è un tacchino disossato», «il fax, una marmotta grassa che
ci ingombra la scrivania».
Tuttolibri La Stampa, 14
marzo 2009
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