“Ad un tempo serio e
gioviale, affabile e contegnoso, sfrenato e controllato, avaro e
generoso, schietto e simulatore, crudele e mite, e sempre in ogni
cosa mutevole”: così l'Historia Augusta (Hadr., 14, 1), una
delle due fonti che ci parlano di Adriano (l'altra è il libro 69
della Storia Romana di Dione Cassio) riassume le
caratteristiche dell'indole dell'imperatore, una delle figure più
affascinanti e insieme sfuggenti dell'antica Roma. Una personalità
piena di contraddizioni, stando ai testi, per meglio comprendere la
quale non aiutano neppure i ritratti: numerosi, levigati, opachi, di
marmo o di bronzo, a ben guardare non rivelano davvero nulla di lui
se non l'immagine convenzionale e classicheggiante del sovrano
illuminato.
È perciò una sfida
particolarmente stimolante proporre una biografia dell'imperatore che
aiuti il grande pubblico a comprenderne le infinite sfumature del
carattere: una sfida ancor più difficile se si pensa a
quell'ingombrante macigno che incombe sulla strada di chiunque voglia
cimentarsi con una biografia adrianea, rappresentato dalle Memorie
di Adriano (1951) di Marguerite Yourcenar. Un masso
meravigliosamente scolpito, non c'è dubbio, ma tale - per il suo
peso letterario e la sua capacità di agire prepotentemente
sull'immaginazione storica - da condizionare chiunque si proponga di
imboccare quella strada, dettandone in qualche misura il passo e
l'itinerario.
James Morwood, autore di
un Adriano uscito in edizione originale inglese nel 2013 e ora
tradotto da Biagio Forino per il Mulino, è tuttavia storico tale da
non lasciarsi influenzare oltre il lecito. Il suo lavoro, calibrato
sulle fonti più accreditate, è rigoroso ma insieme accessibile,
come quasi sempre capita di constatare nelle letture di alta
divulgazione anglosassone (e assai più di rado, purtroppo, nelle
nostre).
E tuttavia, anche se, con
eleganza, il masso rappresentato dal romanzo della Yourcenar viene
scavalcato e lasciato da parte, un libro su Adriano destinato al
vasto pubblico non può dare per scontati certi particolari a
effetto, che certo minuzie non sono. Come la storia di Antinoo, per
esempio: sulla quale, infatti, il libro si apre e sulla quale torna
anche più avanti. Senza inutili fronzoli e maliziosi compiacimenti
tutte le pedine sono disposte sulla scacchiera: c'è il giovane
bellissimo Antinoo, amante dell'imperatore; c'è la passione di
quest'ultimo per la caccia; c'è il problematico rapporto di Adriano
con la moglie Sabina; c'è quella misteriosa “morte per acqua”
del giovane, annegato nel Nilo nel 130 d.C. Indubbiamente
quell'episodio può fungere da punto focale della complessità della
figura imperiale, ed è a partire da qui che Morwood prende le mosse
per la sua ricostruzione.
Una ricostruzione che non
tralascia l'infanzia e la giovinezza del futuro imperatore in quella
remota Spagna che aveva già dato i natali a personaggi illustri come
l'imperatore Traiano o il filosofo Seneca, e la cui centralità per
le sorti dell'impero viene messa in luce in un apposito capitolo. I
primi passi di Adriano nella vita pubblica, che lo vedono al fianco
di Traiano e impegnato sul campo durante le spedizioni daciche, sono
l'occasione per indagare su Adriano soldato, sui rapporti tra il
condottiero e i suoi uomini e sulla concatenazione di eventi che lo
portarono a diventare imperatore, adottato da Traiano sul letto di
morte come suo successore. Né, naturalmente, può mancare, in un
discorso sui risvolti militari dell'operato adrianeo, qualche accenno
al Vallo britannico e ai suoi tesori epigrafici.
La multiforme attività
dell'imperatore non si limita però alle imprese militari (più di
mantenimento che di conquista) e alle opere difensive: forse nessuno
sul trono di Roma fu impegnato quanto Adriano in una così frenetica
attività edilizia (che lo vide talvolta in aperto contrasto con il
grande architetto Apollodoro di Damasco), nella costruzione di ville
superbe come quella di Tivoli, e nel collezionismo d'arte, che
contribuì al diffondersi di un gusto solitamente etichettato come
“classicismo adrianeo”.
Lungi dal proporre una
ricostruzione oleografica, Morwood non nasconde gli aspetti più
sconcertanti della figura e dell'operato di Adriano, incantato dalla
cultura greca ma di estrema durezza nei confronti della popolazione
ebraica, attento a rinsaldare mediante frequenti viaggi i rapporti
con le regioni più disparate dell'impero, ma pronto a usare la mano
pesante contro gli stessi sudditi che fino al giorno prima lo avevano
incensato. Alla fine di questo agile percorso, occorre riconoscere
che le ombre continuano ad addensarsi sul ritratto di Adriano senza
che la luce che pur vi viene proiettata copiosamente riesca a fugarle
del tutto. Lo stesso Morwood si astiene dal trarre impossibili
conclusioni. La chiave per capire questa figura seducente ed
enigmatica resta, tutto sommato, quella dell'ambiguità. Intrinseca,
forse, alla natura stessa dell'impero e alle sue più svariate forme
e manifestazioni, come già Tacito aveva lapidariamente annotato in
una sentenza memorabile messa in bocca al caledone Calgaco: “là
dove fanno il deserto, gli danno il nome di pace”.
L'Indice, Aprile 2016
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