14.5.19

Crimini contro l'ambiente. Non ammazziamo i gorilla (Maurilio Orbecchi)



“Colui che comprende il babbuino contribuirà alla metafisica più di Locke” scrisse Darwin nel 1838 dopo aver scoperto quale fosse l'origine delle specie. Raramente previsione fu più azzeccata. Gli umani e le altre scimmie, infatti, condividono gli stessi sistemi emotivi trasmessi loro dai progenitori comuni. Per questo motivo studiare il sistema affettivo dei primati non umani, un sistema non mascherato dai processi cognitivi corticali come quelli di Homo sapiens, contribuisce a far luce sulla realtà di ciò che si nasconde dietro i nostri comportamenti e pensieri. L'etologia cognitiva e la psicologia animale comparata sono, per questo motivo, ormai discipline indispensabili sia per la psicologia cognitiva e dinamica, sia per la filosofia della mente.
Ma come faranno psicologi e filosofi del futuro a capire l'uomo se non ci saranno più scimmie da studiare nel loro ambiente originario? Questa domanda sorge spontanea dopo la lettura dell'interessante libro dello psicologo animale comparato, Angelo Tartabini (Crimini contro l'ambiente. Tuteliamo le scimmie per salvare l'uomo, Liguori, Napoli 2015), un resoconto diretto delle sue ricerche ed esperienze sul campo in vari paesi del mondo.
Tutti i primati antropomorfi, oranghi, gorilla, scimpanzé, bonobo, sono ad altissimo rischio di estinzione per un insieme di fattori che vanno dall'aumento della temperatura, alla deforestazione indiscriminata, all'inquinamento, ai safari, al bracconaggio, fatti che avvengono soprattutto nei paesi socialmente ed economicamente più deboli, proprio quelli dove vivono le scimmie. Le cifre sono impressionanti: a fronte di sette miliardi di primati umani, sono rimaste poche decine di migliaia di oranghi, gorilla, bonobo e circa duecentomila scimpanzé.
In Africa, dal 1990 ad oggi, è stato sottratto ai gorilla metà del loro territorio originario. In questo continente ci sono sedici generi di scimmie in via di estinzione. Questo vuol dire che nel 2020, quindi tra meno di un lustro, molte specie di scimmie che vivono ancora in questa parte del mondo non si potranno più vedere in libertà.
Le multinazionali cinesi delle estrazioni minerarie stanno provocando danni incalcolabili all'ambiente e agli animali, anche con la caccia e favorendo il bracconaggio. Ricchi psicopatici di successo, azionisti e manager di Pechino e Shangai, si dilettano a cacciare scimmie, inclusi gli scimpanzé. Il costo di uno scimpanzé alla fonte è di 25.000 dollari circa, un gorilla può valere anche 40.000 dollari, cifre molto allettanti per gli afri-cani, denari che sono divisi tra più persone tanto che le autorità, non estranee a questo commercio, preferiscono chiudere ambedue gli occhi. Come se non bastasse, si aggiungono anche i bracconieri locali, combattuti dai governi con pene dure, fino alla fucilazione, che in questo modo riforniscono zoo, zoo safari, bioparchi in maniera illegale, e soddisfano il mercato di persone ricche e insensibili che le comprano per tenerle in schiavitù, al guinzaglio, come fossero animali da compagnia.
In alcune nazioni la situazione è ancor più drammatica: la ricchezza forestale dell'Etiopia, un paese in cui vivono una proscimmia e un'altra decina di specie di scimmie, è ridotta al lumicino e i processi di rimboschimento in atto sono lenti e insufficienti. In Namibia le multinazionali del turismo, in aree private, organizzano dei safari in cui è possibile uccidere, naturalmente a pagamento, animali selvatici, incluse le scimmie. Per partecipare si paga una cifra minima di 10.000 dollari americani e tutto avviene alla luce del sole. Il fatto più sconvolgente è che le autorità della Namibia, luogo dove sono rimaste solo una proscimmia e due specie di scimmie, sostengono che questo tipo di caccia è positivo perché ridurrebbe il bracconaggio.
Tra le situazioni più preoccupanti vi è quella di Togo, Ghana e Benin. Questi tre Paesi in passato sono stati devastati dalla deforestazione e ora l'espansione demografica non favorisce il loro sviluppo. Ciò sta mettendo in grave pericolo le poche specie di scimmie rimaste che sono poco meno di una decina.
La condizione del Sud America non è certo migliore: in Argentina la deforestazione ha raggiunto livelli impressionanti, e le quattro specie di scimmie sudamericane che sopravvivono in questo paese si trovano in luoghi molto limitati del Nord, ai confini con il Brasile e il Paraguay. In Ecuador la foresta ricopre ancora il 50 per cento del suo territorio, ma le multinazionali del petrolio, numerose in quella zona, stanno mettendo in pericolo gli equilibri naturali di tutto il paese in cui vivono ancora diciannove specie di scimmie.
Il libro di Tartabini non è però soltanto un'appassionata e coinvolgente denuncia della situazione. In primo luogo la sua ricerca vuol essere lo stimolo e la speranza per una presa di coscienza della grave situazione ambientale attuale mondiale, un invito a prendere provvedimenti seri che salvino i primati non umani coi quali Homo sapiens condivide legame di attaccamento, inibizione all'incesto, egoismi, altruismi, emozioni, stati affettivi e mille altri comportamenti sociali che il nostro narcisistico antropocentrismo riteneva caratteristiche esclusive della nostra specie.

L'Indice, Aprile 2016

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