“Colui che comprende il
babbuino contribuirà alla metafisica più di Locke” scrisse Darwin
nel 1838 dopo aver scoperto quale fosse l'origine delle specie.
Raramente previsione fu più azzeccata. Gli umani e le altre scimmie,
infatti, condividono gli stessi sistemi emotivi trasmessi loro dai
progenitori comuni. Per questo motivo studiare il sistema affettivo
dei primati non umani, un sistema non mascherato dai processi
cognitivi corticali come quelli di Homo sapiens, contribuisce a far
luce sulla realtà di ciò che si nasconde dietro i nostri
comportamenti e pensieri. L'etologia cognitiva e la psicologia
animale comparata sono, per questo motivo, ormai discipline
indispensabili sia per la psicologia cognitiva e dinamica, sia per la
filosofia della mente.
Ma come faranno psicologi
e filosofi del futuro a capire l'uomo se non ci saranno più scimmie
da studiare nel loro ambiente originario? Questa domanda sorge
spontanea dopo la lettura dell'interessante libro dello psicologo
animale comparato, Angelo Tartabini (Crimini contro l'ambiente.
Tuteliamo le scimmie per salvare l'uomo, Liguori, Napoli 2015),
un resoconto diretto delle sue ricerche ed esperienze sul campo in
vari paesi del mondo.
Tutti i primati
antropomorfi, oranghi, gorilla, scimpanzé, bonobo, sono ad altissimo
rischio di estinzione per un insieme di fattori che vanno
dall'aumento della temperatura, alla deforestazione indiscriminata,
all'inquinamento, ai safari, al bracconaggio, fatti che avvengono
soprattutto nei paesi socialmente ed economicamente più deboli,
proprio quelli dove vivono le scimmie. Le cifre sono impressionanti:
a fronte di sette miliardi di primati umani, sono rimaste poche
decine di migliaia di oranghi, gorilla, bonobo e circa duecentomila
scimpanzé.
In Africa, dal 1990 ad
oggi, è stato sottratto ai gorilla metà del loro territorio
originario. In questo continente ci sono sedici generi di scimmie in
via di estinzione. Questo vuol dire che nel 2020, quindi tra meno di
un lustro, molte specie di scimmie che vivono ancora in questa parte
del mondo non si potranno più vedere in libertà.
Le multinazionali cinesi
delle estrazioni minerarie stanno provocando danni incalcolabili
all'ambiente e agli animali, anche con la caccia e favorendo il
bracconaggio. Ricchi psicopatici di successo, azionisti e manager di
Pechino e Shangai, si dilettano a cacciare scimmie, inclusi gli
scimpanzé. Il costo di uno scimpanzé alla fonte è di 25.000
dollari circa, un gorilla può valere anche 40.000 dollari, cifre
molto allettanti per gli afri-cani, denari che sono divisi tra più
persone tanto che le autorità, non estranee a questo commercio,
preferiscono chiudere ambedue gli occhi. Come se non bastasse, si
aggiungono anche i bracconieri locali, combattuti dai governi con
pene dure, fino alla fucilazione, che in questo modo riforniscono
zoo, zoo safari, bioparchi in maniera illegale, e soddisfano il
mercato di persone ricche e insensibili che le comprano per tenerle
in schiavitù, al guinzaglio, come fossero animali da compagnia.
In alcune nazioni la
situazione è ancor più drammatica: la ricchezza forestale
dell'Etiopia, un paese in cui vivono una proscimmia e un'altra decina
di specie di scimmie, è ridotta al lumicino e i processi di
rimboschimento in atto sono lenti e insufficienti. In Namibia le
multinazionali del turismo, in aree private, organizzano dei safari
in cui è possibile uccidere, naturalmente a pagamento, animali
selvatici, incluse le scimmie. Per partecipare si paga una cifra
minima di 10.000 dollari americani e tutto avviene alla luce del
sole. Il fatto più sconvolgente è che le autorità della Namibia,
luogo dove sono rimaste solo una proscimmia e due specie di scimmie,
sostengono che questo tipo di caccia è positivo perché ridurrebbe
il bracconaggio.
Tra le situazioni più
preoccupanti vi è quella di Togo, Ghana e Benin. Questi tre Paesi in
passato sono stati devastati dalla deforestazione e ora l'espansione
demografica non favorisce il loro sviluppo. Ciò sta mettendo in
grave pericolo le poche specie di scimmie rimaste che sono poco meno
di una decina.
La condizione del Sud
America non è certo migliore: in Argentina la deforestazione ha
raggiunto livelli impressionanti, e le quattro specie di scimmie
sudamericane che sopravvivono in questo paese si trovano in luoghi
molto limitati del Nord, ai confini con il Brasile e il Paraguay. In
Ecuador la foresta ricopre ancora il 50 per cento del suo territorio,
ma le multinazionali del petrolio, numerose in quella zona, stanno
mettendo in pericolo gli equilibri naturali di tutto il paese in cui
vivono ancora diciannove specie di scimmie.
Il libro di Tartabini non
è però soltanto un'appassionata e coinvolgente denuncia della
situazione. In primo luogo la sua ricerca vuol essere lo stimolo e la
speranza per una presa di coscienza della grave situazione ambientale
attuale mondiale, un invito a prendere provvedimenti seri che salvino
i primati non umani coi quali Homo sapiens condivide legame di
attaccamento, inibizione all'incesto, egoismi, altruismi, emozioni,
stati affettivi e mille altri comportamenti sociali che il nostro
narcisistico antropocentrismo riteneva caratteristiche esclusive
della nostra specie.
L'Indice, Aprile 2016
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