Rovine di Persepolis |
“Né la neve né la
pioggia né il caldo né il buio della notte impediscono a questi
corrieri di portare rapidamente a termine le missioni loro assegnate:
è questo il motto informale del servizio postale degli Stati Uniti
preso a prestito dai più antichi postini al mondo: i persiani”,
racconta nei suoi Pellegrinaggi il giornalista Afshin Molavi,
nato in Iran e cresciuto negli Stati Uniti dove attualmente risiede.
Il motto usato dai
postini americani deriva infatti dagli achemenidi e precisamente dal
regno di Dario (522-486 a.C.), colui che istituì il primo servizio
postale dopo aver creato un sistema di strade sottoposte a
manutenzione e vigilanza e percorribili
Re Dario non voleva più
fare affidamento sui burocrati babilonesi serviti da sostegno al
fondatore della dinastia Ciro il Grande e diede maggiori incarichi ai
persiani. Per mantenere il contatto fra i vari centri creò una rete
stradale la cui importanza non si esaurì con il suo regno.
«Pur essendo destinate
al servizio amministrativo - scrive lo storico Roman Ghirshman -
queste strade erano percorse dalle carovane e accrescevano gli
scambi». Si esportavano pistacchi ad Aleppo, sesamo in Egitto e riso
in Mesopotamia. I commerci erano facilitati sia dalle strade, sicure
anche se ai viaggiatori non era raccomandato uscire dai tracciati,
sia dalla creazione di un sistema monetario.
La strada amministrativa
più conosciuta partiva dalla capitale invernale e politica Susa
(nella regione odierna del Khuzestan) e dopo avere attraversato il
Tigri a valle di Arbela (Erbil, Iraq settentrionale), passava per
Arran e raggiungeva Sardi (in Lidia, Asia minore), da dove proseguiva
per Efeso. Lunga 2683 chilometri, era interrotta da centoundici
stazioni di posta con cavalli sempre freschi per i messi reali.
Secondo Erodoto, le carovane percorrevano la strada in novanta
giorni, mentre agli inviati del sovrano bastava una settimana.
C’era poi un’antica
strada che passando per Karkemish univa Babilonia all’Egitto: fu
migliorata e collegata a quella che andava da Babilonia ad Alvand,
Bisutun e la capitale estiva Ecbatana (l’attuale Hamadan). In
seguito alle conquiste orientali quest’ultima via fu prolungata
fino alla valle dell’alto Kabul da dove, seguendo il corso del
fiume, raggiungeva la via per l’Indo.
Oltre a queste strade
amministrative ne furono tracciate altre, più brevi ma
indispensabili per gli spostamenti della diaspora persiana e della
corte reale che si muoveva in continuazione. Quella che ricorre più
spesso nella letteratura di viaggio è la Strada reale, ovvero
quella che collega Susa a Persepolis (nel Fars) dove si celebravano
le cerimonie. Nella regione di Behbehan ne è stato trovato qualche
tratto ben pavimentato con blocchi di pietra e lungo di essa sono
ancora visibili, nei pressi di Fahlian, i resti di un piccolo
padiglione reale con basi di colonne nello stile di Susa e
Persepolis. Tra Fahlian e Bishapur la strada si divideva: attraverso
le Porte persiane si arrivava sull’altopiano, mentre l’altra via
portava alla regione del Lurestan e univa così Susa a Ecbatana.
La strada per Persepolis
fu percorsa anche da Alessandro Magno: partito dal Mediterraneo
giunse a Babilonia e da qui a Susa. Nonostante il gelo invernale i
soldati si arrampicarono sulle montagne, scavalcarono gli Zagros
attraverso le Porte persiane, unico passaggio possibile, per prendere
a metà gennaio del 330 a.C. Persepolis, dove l’esercito trascorse
quattro mesi. Prima di andarsene, Alessandro diede fuoco alla
terrazza dei palazzi imperiali. Le orme del Macedone sono state
ripercorse da molti viaggiatori a cominciare dal gentiluomo inglese
Robert Byron (m. 1941) che fece tappa a Persepolis lasciandone una
descrizione nel diario La via per l’Oxiana.
I NOSTRI ARCHEOLOGI IN
MISSIONE
A distanza di secoli,
l’impresa di Alessandro continua a essere ricordata da coloro che
osano avventurarsi in Iran. Tra questi, a scriverne è stata
l’archeologa Silvia Tenderini che osserva come il percorso verso
Persepolis fosse stato una delle imprese di Annemarie Schwarzenbach:
fatto questo tragitto nel 1933, osò riprovarci ma cadde nello
sconforto perché «la prima volta che si affronta qualcosa si è più
audaci, perché non si sa bene a cosa si sta andando incontro, mentre
alla seconda occasione non ci si dovrebbe più lasciare indurre in
tentazione».
Percorrendo la Strada
reale, i viaggiatori ricordano le imprese di Dario e di Alessandro
Magno dando voce, al tempo stesso, ai loro accompagnatori. Silvia
Tenderini racconta, per esempio, della sua guida iraniana Siamak: la
invita a togliere il velo “mentre il pulmino corre veloce sul
moderno nastro d'asfalto. La polvere da millenni entra nel naso,
negli occhi, nei capelli. Mi protegge la bocca col foulard che mi
avvolge la testa. Respiro l'aria calda attraverso la stoffa. Coprirsi
il capo è indispensabile per resistere al pulviscolo e al vento”.
E quando il pulmino
arriva a Persepolis, il farmacista milanese che viaggia con
l'archeologa, dice di esserci già stato nel 1971 per le celebrazioni
dei 2500 anni dell’impero persiano: l’ultimo scià, Muhammad Reza
Palhavi, fece allestire un lussuoso accampamento con tende a righe
bianche e azzurre come piacevano a Dario il Grande. Furono invitati
ospiti da tutto il mondo e, come all’epoca degli achemenidi,
«accorrevano persone da ogni dove: domestiche dalle Filippine,
idraulici dalla Grecia, elettricisti dalla Norvegia, parrucchieri
dalla Francia, meccanici dall’Italia e militari dagli Stati Uniti».
Se lo scià voleva
dimostrare di essere l’erede dell’antico impero, l’attuale
governo deve fare i conti con le necessità di una popolazione che ha
superato i settanta milioni: ad aprile è stata inaugurata la diga di
Sivand, indispensabile per rendere fertile un’ampia area ma
pretesto per un’accesa contestazione della diaspora negli Usa e
degli studenti a Teheran. “La diga è situata a circa 20 chilometri
da Pasargade. Prima di aprire la diga il Centro iraniano per le
ricerche archeologiche ha incaricato varie missioni di condurre
approfondite campagne di scavo e atteso che noi studiosi, dopo avere
documentato i resti, dessimo il nostro consenso all’allagamento
dell'area”, spiega Pier-francesco Callieri, professore di
Archeologia e storia dell’arte iranica all’Università di
Bologna. Co-direttore della missione italo-iraniana, osserva: «Ne è
uscito un quadro interessante ma nessun sito di enorme valore. Non vi
saranno ripercussioni sui siti importanti, nemmeno in termini di
umidità perché distano cinque chilometri e di mezzo c’è una gola
molto stretta. La Strada reale passava sì da Pasargade a Persepolis
ma, secondo quanto scoperto recentemente da una missione
franco-iraniana, non le appartengono i tratti scavati nella roccia:
sono parte di un sistema di canalizzazioni di una regione un tempo
fertile e comunque non verranno sommersi».
Tuttolibri La Stampa, 11
agosto 2007
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