23.5.19

Altiero e saggio: l'Ulisse dell'Europa. Spinelli nel ritratto di Giovanni Ferrara (1984)


Il testo che segue è solo in apparenza una recensione. Lo è in quanto trae occasione dal primo volume della autobiografia di Altiero Spinelli, una figura affascinante e complessa, ma può definirsi un “ritratto”, visto che il suo autore, Giovanni Ferrara, insigne costituzionalista di orientamento liberaldemocratico con una forte passione civile (lo ricordo negli ultimi anni a fianco di Valentino Parlato e del “manifesto” nelle battaglie contro il berlusconismo trasversale), ne disegna con tratto netto e convincente la figura morale e politica. Val la pena di riproporlo 35 anni dopo, in un momento tra i più neri della storia europea e italiana recente, perché figure come Spinelli non cessino di avere il valore esemplare che meritano. (S.L.L.)



"Quando questa crisi avrà fatto il suo corso e saranno risolti i problemi, l'Algeria, la liquidazione dell'impero, i rapporti con l'America, e via dicendo... allora, certamente, la Francia tornerà al sistema dei partiti... De Gaulle non può cambiare la natura del sistema politico francese, fondato sulla lotta tra i partiti... e la Francia tornerà all'Europa, perché il suo problema storico è sempre stato quello di controllare l'Europa; e l'Europa è troppo francese perché la Francia in fin dei conti non sia europea... e nonostante tutto, il vero ostacolo all'unità europea non sarà mai la Francia, semmai l' Inghilterra...".
Era una sera del 1960, non ricordo il giorno (non ho per la storia recente e vissuta la terribile memoria crono-topografica d'un Giovanni Spadolini), ma ho davanti agli occhi intatta l'immagine. Nel salone della sua casa in via Clivo Rutario, Altiero Spinelli, senza baffi nè barba e ancora con alquanti capelli scuri attorno all' avanzante chierica, parlando con la solita calma (nella solita calata romanesca) analizzava con stupefacente correttezza di previsione gli elementi fondamentali della situazione europea, messa ormai a soqquadro dal trionfante Generale. Distingueva il contingente e il duraturo, politicissimo nel giudicare il contingente, un po' brutale nel realismo sugli uomini e le forze, ma largo di prospettiva. Sembrava altrettanto sicuro del senso e della piega del futuro, quanto del valore e della realtà del passato, e insieme tutto immerso nel presente, quasi che solo l'agire nel presente conti; come uno per il quale il concreto faticare ed escogitare quotidiano, per lui inevitabile e assoluto, s'identifichi con l'ideale, altrettanto inevitabile e assoluto, posto nel pensiero del passato e nella previsione dell' avvenire...
Mi astraevo, nell'ascoltare; consideravo quell' uomo grosso e dall'aspetto bonario ma non mite, dai modi amichevoli nell'offrire la sua lineare sapienza e l'ammaestramento della singolarissima esperienza di uomini, fatti, sofferenze, gioie; quello Spinelli che fino ad allora avevo conosciuto soprattutto come l'imponente personaggio aggirantesi trafficando laboriosamente nelle stanze del Movimento federalista Europeo, o parlante dell'Europa dai palcoscenici dei teatri e dai tavoli dei convegni, o senza requie scrivente specie sul “Mondo”. Senz'alcun dubbio, uno dei maestri della mia generazione, iniziata nel dopoguerra ai misteri della democrazia, della guerra fredda, dell'Europa disfatta e da rifare, da unire, confederare o anzi da "federare", come voleva quel tenace ed estroverso solitario, con cocciutaggine per molti mal comprensibile in un uomo così evidentemente intelligentissimo, "forse il più intelligente di tutti". Mi astraevo, dunque, ripensando che proprio qualche giorno prima un suo fedelissimo seguace me ne aveva fatto un ritratto tutto politico, come d'un instancabile, astuto tessitore di trame e rapporti, un tantino spregiudicato, durissimo dietro il sorriso, perfino un po' cinico; e a un tratto mi riscossi, nell'accorgermi che il suo itinerario analitico, aggirantesi attorno a De Gaulle e Guy Mollet, i partiti francesi, gl'interessi tedeschi, gli errori americani, la meschinità del nostrano europeismo di facciata e via dicendo, era improvvisamente approdato ad alcune considerazioni sull'inevitabilità dell'umanesimo laico di origine greca, centro della civiltà europea, da sempre e per sempre contrapposto e collegato col cristianesimo di Paolo e di Lutero; e citava Platone ed Erasmo. Confrontai mentalmente tra loro i tre della nostra sacra triade, La Malfa, Pannunzio, Spinelli: La Malfa non citava mai nessuno, Pannunzio pochissimi, quasi solo Tocqueville; ma Spinelli, ora, citava anche i Pitagorici e Ippocrate. Mi ricordai allora che sapeva il tedesco, e che avevo letto la Storia della Storiografia Moderna di Eduard Fueter nella sua traduzione (un frutto del confino a Ventotene). E sapere il tedesco vuol dir molte cose, nella cultura occidentale, strane e inquietanti cose.
Questo e altro mi è venuto alla mente leggendo il primo volume dei ricordi di Altiero Spinelli, pubblicato ora da "Il Mulino"; anzi, subito a vederne il titolo, ovviamente sorprendente: Come ho tentato di diventare saggio - I. Io, Ulisse (pagg. 351, lire 25.000). Saggio è parola che s'addice a un politico solo se egli trae dalla politica una misura morale e intellettuale, calibrata sull' sperienza del vivere e del soffrire, del riflettere e resistere: e ne fa un dono. Da buon seguace della sapienza greca (ed egli oggi aggiunge "buddista, taoista"), Spinelli ha conosciuto se stesso, sa che saggezza è anzitutto il tentar di diventare saggio. E guardando indietro, s'avvede ora che l'avventura della sua vita gli ha concesso di tentarlo; concedendogli anche l'altra indispensabile virtù del saggio, che è diventar vecchio, sopravvivere alle avventure e sventure fino all'età della ricapitolazione e dell'insegnamento.
In questo libro ce ne è molti, d'insegnamenti storici e politici. Assomiglia abbastanza, in ciò, agli ultimi libri di ricordi di un altro antico combattente, Giorgio Amendola; ma assai diverso ne è il senso e lo stile. Questi sono infatti i ricordi d'uno che in prima gioventù divenne comunista, e come tale finì in carcere donde uscì solo per il confino di Ventotene (sedici anni in tutto), e in carcere cessò d'essere comunista per motivi interiori d'idee, di concezione morale, di convinzioni politiche. Una "scelta di vita", dunque, in certo modo opposta a quella di Amendola (dal comunismo alla democrazia sociale e liberale, non viceversa). Ma questo è relativamente secondario. Ciò che più colpisce è che Spinelli non appare mai, nella storia della sua crescita, della sua dura esperienza e poi della politica attiva, come l'"ex comunista" nel senso tipico della parola. Poiché egli era diventato comunista per libera scelta personale, non per spirito di rinunzia alla soggettività; e cessò di esserlo non per la riscoperta di una libertà rinunciata, grave di rancore verso gli altri e se stesso, bensì per via d'approfondimento di ciò che egli nell'intimo era sempre stato. Per usare le parole di Goethe, Spinelli in questi ricordi di gioventù e maturità, per la maggior parte ricordi di carcere e confino (si ferma, questo primo volume, al 43, col ritorno in libertà degli isolani confinati), si rivela come uno che "diviene ciò che è".
La forte personalità, dominando la storia della sua vita e dei suoi incontri e scontri politici, gli ha consentito un' aspra oggettività, che non è distacco, bensì impronta nella memoria dei fatti e delle persone lasciata da un individuo che sente se stesso vivere con gli altri, nella storia del mondo. Così, i suoi ritratti umani di comunisti e non comunisti, compagni di carcere e di confino, appaiono pieni di valore morale e ideale, mai di astratto impegno ideologico. Eterodosso e non conformista per natura e sviluppo, non è strano che Spinelli mostri di giudicare il settarissimo Secchia con maggior comprensione che non il complesso ed ambiguo Sereni; presso la sua saggia equanimità del ricordo non ha perdono solo il fanatismo, nella forma dell'opportunismo fideistico o della vanità egocentrica (come quella da lui còlta in alcuni, peraltro eroici, azionisti). Del resto, questi ricordi si possono leggere in molti modi. Soprattutto, se si vuole, come preparazione e contesto della scoperta del disegno politico della Federazione Europea, come storia delle radici del Manifesto di Ventotene, di Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni. Saggio, Spinelli; e Ulisse. E non solo, come egli stesso accenna, perché la sua vita è stata un'"odissea" (o perché il suo pseudonimo d' antifascista fu proprio "Ulisse"). Ma se è vero che nel suo modo di sentire e pensare, d'aver vissuto e di vivere l'avventura della vita e della politica, piccola e grande, c'è quel che mi è parso vi sia, cioè l'esser sempre concretamente presente, l'instancabile agire ed escogitare, e insieme il sentire l'ideale lontano e profondo nel passato, lontano e alto nel futuro; questo è proprio Ulisse, il più duttile, scaltro, indomabile, tenace "inventore" tra gli sventurati eroi reduci dall' incendio di Troia, ma anche il più "filosofo", capace di prevedere il futuro e di ricordare e raccontare il passato; fedele alla patria che attende.

"la Repubblica", 23 maggio 1984

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