È qui postata la mia
traduzione del testo LIII dalla raccolta di Fiabe, novelle e
racconti popolari siciliani, V
volume della Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane di
Giuseppe Pitré. È proprio lui a scrivere in nota che si tratta di
“una delle novelle più importanti della mia raccolta” e a
sollecitare un intervento di Domenico Comparetti, autore di un
Virgilio nel Medioevo,
considerato uno dei monumenti della critica filologica di matrice
positivistica, per verificare se e in che cosa questo mago Virgillo
della tradizione siciliana assomigli al Virgilio mago e profeta,
venerato nel Medioevo. La novella era stata raccolta da uno dei suoi
più prestigiosi collaboratori, il medico Salvatore Salomone Marino
nella natia Borgetto, non lontano da Palermo, dalla voce di una Ninfa
Lobrido, eccellente “contatrice” popolana. Credo che il racconto,
complesso nella sua brevità, si presti a diverse chiavi di lettura.
A me è molto piaciuto l'intrecciarsi del tema fantastico con la
concretezza delle rappresentazioni e del linguaggio. (S.L.L.)
Si racconta e io lo
racconto a lor signori che una volta c'era il mago Virgillo e
comandava l'arte diabolica meglio di qualunque mago.
Devono sapere, lor
signori, che costui s'era ammogliato giovinetto e s'era rovinato
davvero perché gli era toccata come moglie una mula da fiera, quelle
di bella apparenza ma piene di cattiverie, tutta vizi e difetti,
superba, dispettosa; insomma, quanto era bella tanto era da forca, e
molto spesso fece passare il marito per la Porta di Crastu (da cui i
becchi entrano in Palermo). Che volete che vi dica, sopporta oggi,
sopporta domani, alla fine viene il prurito, alle corna e anche
altrove, e una mancanza ne paga cento.
Virgillo così fece
amicizia con Malagigi, il maestro più esperto nel comandare gli
spiriti e nel cavalcare la scopa; gli raccontò pane pane e vino vino
della moglie e Malagigi ne ebbe tanta pietà che gli disse queste
precise parole:
Gira, rigira,
La mugghieri sempre
tira;
Gira, firrìa,
Tri spirdi appressu di
mia;
Senza forza di magarìa
La mugghieri cumanna e
duminìa
(Gira,
rigira / la moglie sempre tira; / gira, fai ruotare / tre spiriti
dietro di me; / senza forza di magarìa / la moglie comanda e
domina).
E lì
si mise a far girare arcolai piccoli e grandi, toccava bacchetta e
piovevano diavoli da ogni dove, come le mosche, e in un batter
d'occhio addottorò Virgillo nell'arte sua. Così Virgillo diventò
un mago tra i più dotati di poteri, e con tre cerchi e una chiamata
i diavoli correvano ai suoi ordini, pieni di paura. E li metteva
all'opera di giorno e di notte: facendo ora una cosa, ora un'altra,
lavoravano per lui come tanti cani. Ma l'impegno più faticoso lo
dava loro con la moglie, che prima aveva fatto disperare lui quasi al
punto di farlo uscir di senno, e che ora era lui, a sua volta, a far
girare come una trottola. Ora le dava per marito Farfarello, che le
dava grossi graffioni, le gettava addosso zolfo e fuoco a fontana e
la lasciava nel letto mezza arrostita; ora le dava il capo Lucifero
che a forza di cornate e di codate la faceva tutta buchi e piaghe;
ora la congiungeva con Carnazza, che le soffiava dentro e la faceva
gonfiare come un otre e poi tiritimpiti e titiritampiti,
legnate e poi legnate; insomma a quell'afflitta moglie non fece più
vedere un'ombra di bene.
Signori,
ella meritava questo ed altro; ma tutto quello che le fece il marito
non si può né dire né chiedere, al punto che perfino ai diavoli
sembrò degna di pietà: ma dovevano eseguire gli ordini di mago
Virgillo, che con la sua verga potente li costringeva; e se qualcuno
ha verga in mano, si dà all'abuso di potere.
Tant'è:
seguitò e seguitò con quel modo di fare, che gli stessi demòni non
ne potevano più, finché non venne la Morte e si prese il mago
Virgillo. Ah, Signore ti ringrazio! I diavoli corrono all'Inferno e
fanno complotto con le anime dannate: “Qui non deve entrare quello,
quel becco scappato, altrimenti schiavizza e sottomette tutti”; e
perciò mettono catenacci e stanghe, chiudendo tutte le porte
dell'inferno. Arriva il mago Virgillo: “Toc, toc”. “Chi è?”.
“Il mago Virgillo”. “Via, via, qui non c'è posto per te”.
“Ma dove dovrei andare, visto che sono dannato?”. “Fuori!
Fuori! Qui non c'è posto per te!”. Così il mago Virgillo restò
fuori dall'Inferno e invano piangeva e si dava morsi, perché la
Morte gli aveva tolto la verga del potere e dell'arte.
Ma
lasciamo i diavoli e prendiamo Malagigi. Questo fatto gli dispiacque.
“Come fo, come non fo”, va a riprendere l'anima sperduta e le
ossa del mago Virgillo, vola e le porta su un'isola in mezzo al mare
più vasto e profondo. Che fa? Fabbrica una sepoltura di pietra, come
una cassa bella grande senza coperchio, getta là dentro le ossa e
l'anima, dice quattro parole nere, disegna tre circoli potenti e fa
l'incantesimo:
Gira, gira, 'ntunnu,
'ntunnu.
Si scummogghia mari e
munnu:
Trema Suli, scura Luna
E agghiommara tutti
cosi la Furtuna
(Gira,
gira, intorno, intorno. / Si scoperchia mare e mondo: / rema Sole,
oscurati Luna / e aggroviglia tutto la Fortuna.)
Da
quando fece codesto incantesimo, sortiscono grandi cose in
quell'isola. Se qualcuno arriva a quel sepolcro e guarda le ossa, il
cielo si annebbia, tuona, cadono saette ardenti a migliaia, che
sembra il diluvio universale. Il mare poi, uh! non si può dire e non
si può raccontare! Tempesta, cavalloni d'acqua, fracasso d'inferno e
si inghiotte le barche e i bastimenti come una pillola. E non c'è
coraggio che valga; più uno è ardito più va a fondo e fa una morte
più penosa, perché la magarìa fu fatta così. Dio ce ne scansi,
Signore! Che non ci incappi alcun figlio di mamma!
E cu' l'ha dittu e cu'
l'ha fattu diri,
Di mala morti nun pozza
muriri
(E
chi l'ha detto e chi l'ha fatto dire / di mala morte non possa
morire)
Da
Fiabe, Novelle e Racconti popolari siciliani, Il Vespro 1978
(ristampa anastatica ed. 1913)
Nessun commento:
Posta un commento