Silvano Cenci, in arte Straccivarius |
Straccivarius era uno di
quelli che conoscevano tutti e però anche nessuno, come succede o
meglio succedeva ai “personaggi”, di quando le città erano un
“teatro” dove tutti si sentivano “attori”. Non sto parlando
di finzione ma di relazione, perché è di socialità che vivevano
quelle città che non si vergognavano di essere micropolis -
per dirla con il titolo di questa vostra rivista.
Adesso, di attori sociali
magari ce n’è ancora qualcuno e gli spettatori turisti sono anche
troppi (e se ne vogliono sempre di più), ma erano i Personaggi - e
solo loro e spesso contro tutti - quelli che facevano scena e
reggevano la parte di una intera comunità che ieri era davvero
sinonimo di città… Ebbene, Giorgio Straccivarius era a Perugia
l’ultimo rappresentante di quella stirpe, che poi non è affatto
tale perché personaggi non si nasce ma semmai si diventa, a colpi di
coraggiosa esposizione e di avventurosa follia: Silvano Cenci
(eravamo in pochi autorizzati a chiamarlo così) è morto qualche
giorno fa a Montecastrilli nell’esilio di un servizio-ospizio, ma
prima e per molto tempo aveva attraversato la musica e il teatro, la
scrittura e la lettura e perfino quasi la religione e quasi la
politica… con tutto il serio disimpegno che serve a un personaggio
di libera conversazione e volatile pensiero.
Negli anni primitivi dei
giovani d’oggi (cioè di ieri), Silvano era il più brillante
intrattenitore sulle scalette del Duomo, e poi suonava jazz e faceva
il mimo, e poi ha perfino scritto un racconto già scritto e ha
raccontato le sue vicende vissute come non fossero sue, dandosi un
altro nome e guardandosi vivere da fuori… sì, proprio come fanno
gli attori quando diventano “personaggi”.
Negli ultimi anni del
dopo-storia, Silvano era diventato facile da incontrare in cima a via
dei Priori, seduto a un tavolino che era il suo camerino, per così
dire fuori quinta rispetto al palcoscenico del corso, ma sempre avido
di parola di tutti e con tutti, divorando letture e come in attesa di
scritture…
Che altro dire? Silvano
era grande ammiratore di Carmelo Bene e però mi voleva bene anche da
prima che mi scoprisse amico del suo divo. A dire il vero l’aveva
conosciuto lui prima di me, e Carmelo una volta lo aveva chiamato in
scena a recitare poesie durante l’intervallo…
Ecco, a questo forse
servono i personaggi, a riempire di poesia l’intervallo fra un atto
e l’altro del più tragico e sconsolato teatro della vita… E se
vi pare poco, allora potete fare a meno di rimpiangerlo. Ma io no. Io
vorrei saper inventare una delle sue canzoni di finta malinconia e di
dolce ironia, per piangerlo come si deve.
“micropolis”, marzo
2019
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