Il “manifesto per la
storia”, pubblicato da “Repubblica” il 25 aprile è stato un
grande successo. Alle prime tre firme pesanti, di uno storico, di uno
scrittore di successo, di una senatrice a vita, se ne sono aggiunte
altre 500, in diversi casi non meno autorevoli. A me ricorda un
appello del primo Ottocento nel quadro di un'Italia frammentata e
dominata da potenze straniere: “Italiani, vi esorto alle Storie”.
Fu stilato, come prolusione accademica, da un giovane professore
universitario che di cognome faceva Foscolo.
Credo che ora all'appello
non servano più firme, ma occorrono altre forme di mobilitazione.
Per esempio non guasterebbe che associazioni culturali, librerie,
sindacati scuola, giornali e riviste, promuovano nelle città e nei
paesi, anche quelli piccolissimi, occasioni di discussione e di
dibattito a illustrazione dell'appello, che si concludano con
un'adesione collettiva, che consiglieri comunali, provinciali e
regionali promuovano ordini del giorno sul tema, che si affiggano
manifesti per le vie e si diffondano in rete.
A me poi non spiacerebbe
che circoli, come gadget per l'autofinanziamento dell'ARCI e
dell'ANPI per esempio, una maglietta che abbia da un lato l'immagine
di Foscolo (che era piuttosto belloccio) e la sua frase e dall'altro
la scritta “La storia è un bene comune. Salviamola”. (S.L.L.)
Ugo Foscolo |
La storia è un bene
comune. La sua conoscenza è un principio di democrazia e di
uguaglianza tra i cittadini. È un sapere critico non uniforme, non
omogeneo, che rifiuta il conformismo e vive nel dialogo. Lo storico
ha le proprie idee politiche ma deve sottoporle alle prove dei
documenti e del dibattito, confrontandole con le idee altrui e
impegnandosi nella loro diffusione.
Ci appelliamo a tutti i
cittadini e alle loro rappresentanze politiche e istituzionali per la
difesa e il progresso della ricerca storica in un momento di grave
pericolo per la sopravvivenza stessa della conoscenza critica del
passato e delle esperienze che la storia fornisce al presente e al
futuro del nostro Paese.
Sono diffusi, in molte
società contemporanee, sentimenti di rifiuto e diffidenza nei
confronti degli “esperti”, a qualunque settore appartengano, la
medicina come l’astronomia, l’economia come la storia. La
comunicazione semplificata tipica dei social media fa nascere la
figura del contro-esperto che rappresenta una presunta opinione del
popolo, una sorta di sapienza mistica che attinge a giacimenti di
verità che i professori, i maestri e i competenti occulterebbero per
proteggere interessi e privilegi.
I pericoli sono sotto gli
occhi di tutti: si negano fatti ampiamente documentati; si
costruiscono fantasiose contro-storie; si resuscitano ideologie
funeste in nome della deideologizzazione. Ciò nonostante, queste
stesse distorsioni celano un bisogno di storia e nascono anche da
sensibilità autentiche, curiosità, desideri di esplorazione che non
trovano appagamento altrove. È necessario quindi rafforzare
l’impegno, rinnovare le parole, trovare vie di contatto,
moltiplicare i luoghi di incontro per la trasmissione della
conoscenza.
Ma nulla di questo può
farsi se la storia, come sta avvenendo precipitosamente, viene
soffocata già nelle scuole e nelle università, esautorata dal suo
ruolo essenziale, rappresentata come una conoscenza residuale, dove
reperire al massimo qualche passatempo. I ragazzi europei che giocano
sui binari di Auschwitz offendono certo le vittime, ma sono al tempo
stesso vittime dell’incuria e dei fallimenti educativi.
Il ridimensionamento
della prova di storia nell’esame di maturità, l’avvenuta
riduzione delle ore di insegnamento nelle scuole, il vertiginoso
decremento delle cattedre universitarie, il blocco del reclutamento
degli studiosi più giovani, la situazione precaria degli archivi e
delle biblioteche, rappresentano un attentato alla vita culturale e
civile del nostro Paese.
Ignorare la nostra storia
vuol dire smarrire noi stessi, la nostra nazione, l’Europa e il
mondo. Vuol dire vivere ignari in uno spazio fittizio, proprio nel
momento in cui i fenomeni di globalizzazione impongono panorami
sconfinati alla coscienza e all’azione dei singoli e delle
comunità.
Per questo cittadini di
vario orientamento politico ma uniti da un condiviso sentimento di
allarme si rivolgono al governo e ai partiti, alle istituzioni
pubbliche e alle associazioni private perché si protegga e si faccia
progredire quel bene comune che si chiama storia
e chiedono
che
la prova di storia venga ripristinata negli scritti dell’esame di
Stato delle scuole superiori.
che
le ore dedicate alla disciplina nelle scuole vengano incrementate e
non ulteriormente ridotte.
che
dentro l’università sia favorita la ricerca storica, ampliando
l’accesso agli studiosi più giovani.
Andrea Giardina
Liliana Segre
Andrea Camilleri
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