Nel sito “Mimesis”, espressione di un Seminario di Interpretazione Testuale attivo a Pisa ed ispirato
alla lezione critica ed ermeneutica di Federico Orlando, ho trovato
questo scritto di Sandra Teroni, già docente di letteratura francese
nelle Università di Pisa, Firenze e Cagliari e affermata studiosa
del romanzo francese, di Sartre, di Camus e di Benda. L'intervento qui postato
risale al mese di febbraio di questo 2019: ne ho modificato il titolo
(quello originario è “Madame Bovary”: il desiderio e i suoi
miraggi) e ne ho saltato
l'introduzione che rievoca soprattutto i rapporti della Teroni con
Orlando. Mi pare che segua una pista non molto battuta e molto
stimolante. (S.L.L.)
Sandra Teroni |
[…] In quella
costellazione di Donne in rivolta (il titolo parafrasa L’homme
révolté di Albert Camus) Madame Bovary figura come
“l’adultera”. Sono passati dieci anni da allora e mi è
capitato più volte di tornare sul romanzo di Flaubert, in occasioni
e contesti diversi. E ogni volta, più o meno consapevolmente, la mia
riflessione cercava di sottrarre il romanzo e il personaggio a questa
catalogazione sicuramente pertinente ma anche, ai miei occhi,
limitativa. Certo, Flaubert stesso usa ripetutamente il termine e
colloca Emma nella «legione delle adultere». E così lei è entrata
nell’immaginario collettivo, perché questo è stato il connotato
più diffusamente sottolineato nel corso del tempo. Quello che è
cambiato è semmai il giudizio di valore. Uno scrittore come Henry
James (l’autore di Ritratto di signora, 1881) lamentava che
Emma fosse «qualcosa di troppo limitato”; e ancora negli anni
Cinquanta l’autore di Lolita (1955) Vladimir Nabokov,
contrapponendole Anna Karenina, vi vedeva «una sognatrice di
provincia, una nevrotica donnetta che passa strisciando lungo mura
cadenti per raggiungere il letto di amanti intercambiabili». Solo
negli anni Settanta il femminismo vi avrebbe visto l’incarnazione
del tentativo di vivere le contraddizioni e le ambivalenze della
femminilità; e un importante studio su L’adulterio nel romanzo
(1979) di Tony Tanner avrebbe consacrato Madame Bovary come «il più
importante e lungimirante romanzo sull’adulterio della letteratura
occidentale».
Rimane da chiedersi come
e perché la figura dell’adultera abbia trovato espressione
paradigmatica in Madame Bovary (romanzo e personaggio), che cos’è
che ne abbia fatto una sorta di mito moderno e riferimento obbligato;
come e perché la storia di una signora di provincia ambientata
intorno alla metà dell’Ottocento continui a suscitare
l’identificazione delle sue lettrici; come e perché, imponendosi
un argomento ai suoi occhi così triviale per disciplinare il proprio
temperamento e la propria scrittura, Flaubert abbia creato un
personaggio che, come dicevo, è entrato nell’immaginario
collettivo al punto che il suo nome è passato nella lingua come
appellativo di un tipo.
Il quadro disegnato da
Flaubert nella costruzione del suo personaggio è forse talmente
complesso che suscita la tentazione di semplificarlo, di riportarlo a
una qualche categoria rassicurante. Ce lo ricorda, da donna
scrittrice, anche Dacia Maraini, quando in premessa alla sua
appassionata Ricerca di Emma (1996) parla di «un libro
perfettamente ambiguo e perfettamente splendido», che ci costringe
ad accettare la contraddizione e che perciò suscita malessere,
identificazione frustrata o pagata a prezzo di una idealizzazione
della protagonista, di una forzatura, di abbondanti proiezioni dei
nostri desideri.
Assumendola dunque,
questa complessità, continuavo a interrogare il testo quando, nel
corso degli anni, mi sono imbattuta in un’altra lettura non
accademica, maschile questa volta: quella dello scrittore peruviano
Vargas Llosa che in un libro dal promettente titolo L’orgia
perpetua, sempre degli anni Settanta (1975), prende le mosse dal
ruolo centrale della sessualità e dell’erotismo nella storia di
Emma. E mi sono chiesta se l’adulterio non fosse che una forma
storicamente e antropologicamente data di un desiderio in qualche
modo fuorviato nelle sue destinazioni; se la modernità di Emma non
avesse radici più profonde dietro l’adulterio, che ne fanno una
figura emblematica – anche – di una indomabile forza del
desiderio. Dove per desiderio si intende una forza originaria, una
pulsione, e la sua frustrazione proviene non tanto da un ostacolo
esterno (le nozze contrastate di Renzo e Lucia) bensì da una
confusione interna che può spingersi fino all’accecamento e al
perseguimento di miraggi, simulacri di una realtà che non si lascia
afferrare. In questo senso il desiderio non si identifica
immediatamente con la passione, che rappresenterebbe uno stadio
successivo, implicando una elaborazione psichica e quindi
consapevolezza (gli amori di Emma); ed è qualcosa di
qualitativamente diverso dalle rêveries, le fantasticherie (i
sogni a occhi aperti di Emma), e anche dall’aspirazione all’ascesa
sociale (l’ambizione di Emma).
Questi aspetti –
passioni, sogni, ambizioni – sono tutti presenti nel personaggio,
che tuttavia non è identificabile con nessuno di essi. Più nello
specifico, Emma Bovary non è figura emblematica dell’amore-passione,
che, associato all’adulterio, trova in ambito ottocentesco una
splendida incarnazione appunto in Anna Karenina, protagonista di un
grande romanzo sull’amore e sulle sofferenze che questo procura nel
matrimonio come nell’adulterio. Certo debitrice del romanzo di
Flaubert, l’eroina di Tolstoj, ma per molti aspetti antitetica a
Emma: per intelligenza, cultura, franchezza, stile, coscienza,
capacità di autoanalisi. Ma anche – lo si dimentica troppo spesso
– per ambiente sociale. Emma è semmai apparentata a Julien Sorel,
anche lui contadino e ostinato lettore, che tenta l’ascesa sociale,
vi riesce e finisce sul patibolo. Ma lei è una donna, non ha né le
ambizioni né la forza per percorrere la parabola di Julien; la sola
via che le si apre è quella delle relazioni amorose. E dalla
pubblicazione del romanzo di Stendhal (Le rouge et le noir,
1830) a quando Flaubert inizia a scrivere il suo è passato oltre un
ventennio, in cui molte illusioni sono andate perdute: nel giugno del
’48 la borghesia ha sparato sugli operai, poi il colpo di stato di
Luigi Napoleone Bonaparte ha segnato definitivamente l’involuzione
autoritaria e classista del nuovo ordine sociale uscito dalla
Rivoluzione dell’Ottantanove.
Ma iniziamo il nostro
confronto col testo.
“Madame’
Bovary”
Il personaggio di Emma,
che dà senso a tutto ciò che è raccontato e persino descritto,
entra in campo ed esce di scena all’interno della storia del
marito, indissolubilmente legata al nome di lui, al suo status di
signora Bovary, come le farà notare Rodolphe, il suo primo amante –
«Madame Bovary!… Eh! vi chiamano tutti così!… E invece non è
il vostro nome; è il nome di un altro!» – e come sancisce il
titolo del romanzo. È a partire dal momento in cui passa dallo
status di figlia a quello di moglie che Emma assurge al ruolo di
protagonista. In crescendo. Il romanzo si apre connotando Charles
Bovary, fin dalla prima pagina e fin dall’adolescenza, come
«ridicolo», inadeguato alle situazioni in cui si viene a trovare,
condannato alla derisione e alla rassegnazione; e si chiude portando
tali connotazioni alle estreme conseguenze, sul piano professionale
come su quello relazionale, nella dimensione pubblica come in quella
domestica. Il ragazzo che, incapace di articolare il suo nome e
cognome, suscita l’ilarità della classe anticipa l’adulto che,
invocando «il fato» proprio con il seduttore della moglie non può
che apparire a questi «comico, e un poco vile». E se il narratore
che ne ha rievocato l’arrivo in collegio osserva: «Oggi nessuno di
noi potrebbe ricordare qualcosa di lui», quello più impersonale che
ne racconta la morte conclude con questa perfida necroscopia:
«accorse il dottor Canivet. Lo aprì, e non trovò niente». Dove il
sostantivo “niente” ha tutta la sua pregnanza semantica, e
suggella un’occorrenza tematica e lessicale di fondo.
È a questa inconsistenza
che, ignara, Emma si unisce, con il suo bagaglio di sogni, di vaghe
aspirazioni, di buoni propositi anche; ed è questa inconsistenza che
scopre nella compiaciuta felicità del marito, nelle sue effusioni,
nella sua sordità e cecità, nella ristrettezza del suo orizzonte.
In un crescendo che va dalla delusione, il senso di estraneità e la
noia fino alla ripulsa fisica e all’odio, la sua rivolta è contro
un amore che non esclude l’indifferenza, contro una mancanza di
presenza mascherata dal rispetto di abitudini e convenzioni, contro
un’acquiescenza che la priva di limiti e contorni, di confronto e
contenimento. In un complesso gioco di percezioni e proiezioni, il
marito si dimostra sempre più lontano dalle sue aspettative e le
appare sempre più intollerabile nei banali dettagli del vivere
quotidiano. Ricordo la citazione su cui si apre la fondamentale
analisi di Erich Auerbach, che coglie in queste poche righe il
vertice della pittura della disperazione di Emma e la singolarità
del realismo di Flaubert: il pranzo è rappresentato alla luce dello
sconforto e del disgusto di lei, ma chi parla è lo scrittore, il
quale porta a maturazione linguistica quanto la sua protagonista,
proprio per quello che è, non saprebbe esprimere.
Mais c’était
surtout aux heures des repas qu’elle n’en pouvait plus, dans
cette petite salle au rez-de-chaussée, avec le poêle qui fumait, la
porte qui criait, les murs qui suintaient, les pavés humides; toute
l’amertume de l’existence lui semblait servie sur son assiette,
et, à la fumée du bouilli, il montait du fond de son âme comme
d’autres bouffées d’affadissement. Charles était long à
manger; elle grignotait quelques noisettes, ou bien, appuyée du
coude, s’amusait, avec la pointe de son couteau, à faire des raies
sur la toile cirée.
Oggetto del
desiderio
Il desiderio è prima di
tutto maschile ed Emma è prima di tutto un oggetto del desiderio, un
corpo di donna presentato attraverso gli sguardi degli uomini –
compreso quello del narratore – per accumulazione di dettagli che
ne esaltano la sensualità: la linea del collo, l’avorio delle
unghie, lo sbattere delle ciglia, i movimenti delle labbra, il colore
cangiante degli occhi, le sfumature della capigliatura corvina, i
riflessi della luce sulla pelle candida, le spalle nude imperlate di
sudore, la lingua tra i denti perlati, il piede civettuolo, le
movenze flessuose, le vesti che si attorcigliano intorno al corpo, si
tendono, si allargano come corolle; i rossori, palpiti, sospiri,
fremiti, torpori, gli abbandoni; la stoffa dell’abito che preme sul
corpo fino a sgranarsi, il collo che s’inarca, il riso voluttuoso
Mi limiterò a citare la sua prima apparizione (e la più castigata),
sotto lo sguardo di Charles, ufficiale sanitario che già conosciamo,
accorso al capezzale del padre: cucendo, lei si punge le dita «che
poi si porta alle labbra per succhiarle»; seduta a tavola batte i
denti per il freddo «e questo le scopriva un po’ le labbra carnose
che soleva mordicchiare nei momenti di silenzio»; al momento di
accomiatarsi, lui sente che il suo corpo sfiora la schiena della
giovane, curva sotto di lui, e lei si raddrizza rossa in volto,
volgendo altrove lo sguardo. Qualche pagina dopo lui l’osserva
mentre porta alla bocca un bicchierino di liquore: «col capo
riverso, le labbra sporgenti, il collo teso, rideva di non sentire
nulla mentre la punta della lingua, passando tra i denti perlati,
dava leccatine al fondo del bicchiere».
Il povero Charles, che la
madre ha fatto sposare con una vedova ossuta, piena di foruncoli, i
denti da cavallo e il corpo legnoso, rimasto a sua volta
provvidenzialmente vedovo, trova l’ardire, complice il padre di
Emma, di soddisfare il suo desiderio di lei facendola sua, ovvero sua
moglie. E soddisfacendo il suo desiderio si trasforma completamente,
rinasce, felice come un bambino, risarcito di tutto ciò che gli è
mancato nell’adolescenza e nella giovinezza, del ridicolo di cui si
è ricoperto fin dal primo giorno di scuola; risarcito degli
insuccessi negli studi e di un duplice dispotismo, materno e
coniugale; finalmente in pace con se stesso e fiero di sé.
Le lendemain, en
revanche, il semblait un autre homme. C’est lui, plutôt que l’on
eût pris pour la vierge de la veille, tandis que la mariée ne
laissait rien découvrir où l’on pût deviner quelque chose. Les
plus malins ne savaient que répondre, et ils la considéraient,
quand elle passait près d’eux, avec des tensions d’esprit
démesurées. Mais Charles ne dissimulait rien. Il l’appelait ma
femme, la tutoyait, s’informait d’elle à chacun, la cherchait
partout, et souvent il l’entrenait dans les cours, où on
l’apercevait de loin, entre les arbres, qui lui passait le bras
sous la taille et continuait à marcher à demi penché sur elle, en
lui chiffonnant avec sa tête la guimpe de son corsage.
È in questo scarto fra
il traboccare della compiaciuta felicità di lui e il riserbo di lei
che il desiderio di Emma si esprime indirettamente ma
inequivocabilmente nella sua natura sessuale: come frustrazione,
desiderio negato e ignorato. Analogamente a quello manifestato di
«sposarsi a mezzanotte, con le fiaccole». Il padre non aveva
neanche capito di cosa parlasse e aveva organizzato una bella festa
campagnola in cui si passano sedici ore a tavola, per poi
ricominciare; il marito non sospetta neanche la delusione che si cela
nel suo «non lasciar trapelare alcun segno che potesse far
indovinare qualcosa» dopo la prima notte di nozze, così come nel
suo muto interrogarsi smarrita durante quella che avrebbe dovuto
essere la luna di miele.
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