AGRIGENTO
Avreste mai immaginato
che Luigi Pirandello fosse poco brillante in italiano e addirittura
somaro in latino? Un cinque e un tre nel primo bimestre, prontamente
riscattati con due otto nell'esame autunnale di riparazione,
dimostrano la personalità complessa dello scrittore, futuro premio
Nobel. Siamo nel 1879 al liceo classico Scinà di Agrigento, che sarà
ribattezzato Empedocle nel 1901, e questo è tipicamente
pirandelliano. Così come l'approdo dello scrittore nella scuola. Il
giovane Pirandello, empedoclino nato per sbaglio in territorio
agrigentino nel 1862, era stato iscritto dal padre Stefano, fervente
garibaldino, all'istituto professionale. Aveva bisogno di un
contabile per la sua attività di commerciante di zolfo e non aveva
voluto sentire ragione. Ma Luigi, che odiava i numeri, con la
complicità dello zio paterno Innocenzo Ricci Gramitto, garibaldino
della prima ora anche lui, si iscrisse allo Scinà all'insaputa del
padre. Nel registro di accettazione è annotato: «Raccomandato dal
signor professore Gramitto», appunto lo zio che di quella scuola era
docente. Tra i suoi compagni di classe, terza A, Empedocle Mirabile,
che sarebbe diventato un insigne giurista e Edoardo Sclafani, futuro
sindaco di Agrigento. L'amico del cuore era Antonio Gubernatis che
negli anni successivi gli avrebbe raccontato le vicende pirandelliane
dell'agrigentino, fonte di ispirazione per lo scrittore. Il più
bravo della classe però era Giuseppe Sala, tutti dieci e due «nei»,
un nove in italiano scritto e un otto in latino. Ma tra gli
agrigentini illustri non c'è traccia di lui. A dimostrazione che
scuola e vita non sempre vanno a braccetto.
Il curatore dell'archivio
della scuola, «ammassato» in una stanza angusta, è Biagio Milano,
insegnante di educazione fisica con la passione per la storia. Il
professore consulta i registri con la solennità di un sacerdote.
Tira fuori una pagella dopo l'altra: ecco quella di Andrea Camilleri,
tutti sei e due sette: italiano e cultura militare. Ecco quella dei
generale Carlo Alberto dalla Chiesa: tutti sei e un solo sette in
italiano. Ecco quella di Michele Guardì, Re Mida della televisione,
regista di grido: 4 in matematica e chimica e sufficienza
stiracchiata nelle altre materie. «Con i numeri ero una bestia -
ricorda Guardì - Sono riuscito a maturarmi solo perché all'esame mi
hanno chiesto un'espressione che un secondo prima di sedermi davanti
alla commissione mi aveva spiegato il mio compagno Pietro Attard,
altrimenti sarei ancora tra i banchi». «Ricordo il mio liceo con
grande nostalgia - continua - erano anni bellissimi, di rispetto e
sentimenti. C'era il preside Cecè Sanvito, un uomo impenetrabile che
si scioglieva di fronte a ogni forma di sofferenza umana. Aveva un
debole per i fuori sede e per chiunque avesse problemi familiari. Le
gite scolastiche erano un momento in cui si annullavano le distanze.
Una volta a Erice ballai con la professoressa Del Bosco, di
matematica, al suono della chitarra suonata da un mio compagno. Erano
anni in cui la scuola cominciava a cambiare e gli studenti
diventavano via via soggetti attivi». Quando Enzo Lauretta, docente
e scrittore di successo, spiegava Pirandello, faceva affacciare gli
studenti dalla finestra e indicava il pino del Caos. «Per noi
Pirandello, oltre a essere un Nobel, era uno di famiglia». Guardì,
già allora aveva deciso che da grande avrebbe fatto televisione.
«Quando il fratello della mia professoressa di filosofia, La Rosa -
dice - diventò campione di "Campanile sera" rappresentando
Monreale, per me fu una emozione fortissima».
Sono tanti gli uomini
illustri maturati all' Empedocle Scinà dal 1861, anno di fondazione.
Lo storico Biagio Milano, tra l'altro parente alla lontana di
Pirandello, fa un elenco lunghissimo: Nicolò Gallo, ministro della
Pubblica istruzione, Giuseppe Lauricella, grande matematico,
Libertino Alaimo, antifascista fondatore del giornale satirico "La
scopa", Gaspare Ambrosini, presidente della Corte
costituzionale, Salvatore Vita, banchiere in Germania, Corrado
Carnevale, discusso giudice della Cassazione, la cui madre insegnò
nella stessa scuola, Enzo Di Pisa, musicista e uomo di teatro. E poi,
una sfilza di politici, Totò Cuffaro, Luigi Giglia, ex ministro,
Enrico La Loggia, ministro, Ippolito Onorio De Luca, senatore,
Giuseppe Sinesio. Milano ci accompagna in due stanze segrete: il
laboratorio di chimica, pieno di strumenti antichi, tenuti in
efficienza dall'assistente tecnico Francesco Giambrone, e il museo
delle scienze naturali con centinaia di animali impagliati nel 1880:
tra le curiosità, un gigantesco orso e un ornitorinco. La stanza del
preside, luminosissima, si affaccia sul panorama «più bello del
mondo»: a destra Porto Empedocle, a sinistra i templi, davanti il
mare africano. «Il nostro è un liceo classico tradizionale - dice
Giuseppe Patti, da cinque anni a capo dell'istituto - Abbiamo
apportato qualche aggiustamento inserendo lo studio del diritto e
ricorrendo a esperti esterni per l'insegnamento delle lingue al
ginnasio. Ai ragazzi del liceo diamo l'opportunità di frequentare
corsi pomeridiani di lingue col pagamento di un piccolo contributo,
indispensabile per evitare l'assenteismo».
Gli studenti sono
contenti della loro scuola, ma la vorrebbero più innovativa. «Al
liceo le lingue e l'informatica non sono contemplate nel piano di
studi - dice Vincenzo Cuffaro, terza C, rappresentante degli
studenti, e Mario Baldacchino, terza G - e questo oggi è
penalizzante per gli sbocchi lavorativi». A Lucia Riggio, invece,
sta bene l'apertura al diritto: «Tanto le lingue - dice - le posso
studiare per i fatti miei». Lillo Sciortino, di filosofia, è uno
dei docenti storici: «Oggi gli studenti sono poco impegnati. Nel
Sessantotto, invece, esprimevano un grande spirito critico che da
sempre contraddistingue il nostro istituto. Non bisogna dimenticare
che sorse in contrapposizione con il seminario vescovile. Primo
preside infatti fu Gaetano Gallo, uno spretato».
A Porto Empedocle vivono
Pepè Fiorentino e Fofò Gallo, poeta e scrittore, amici di sempre di
Camilleri. Ricordano le irrequietezze giovanili e i fervori letterari
del creatore di Montalbano. «Eravamo abbastanza vivaci, però
pervasi da grandi furori artistici e letterari. La casa di Camilleri
era una sorta di salotto dove passavamo giornate intere a parlare di
cinema, teatro e letteratura. Andrea, che era il più curioso tra
noi, ci trascinava a teatro: una volta venne Strehler a Porto
Empedocle e gli spettatori eravamo in 15, solo il nostro gruppo di
amici». E poi il via vai sulla littorina e le lunghe giornate a
zonzo quando marinavano le lezioni. «Anche quando facevo il
pendolare a bordo di sgangherate corriere - racconta l'empedoclino
Antonio Martorana, oggi preside al Garibaldi di Palermo - al
passaggio a livello scendevamo facevamo man bassa di limoni e poi ce
li tiravamo addosso. Ma erano altri tempi».
"la Repubblica", 16 gennaio 2002
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