Si è svolta a Roma a metà ottobre la presentazione del libro Nel paese dei Moratti. Sarroch Italia, una storia ordinaria di capitalismo coloniale di Giorgio Meletti, Edizioni Chiarelettere. Con l’autore c’erano Corradino Mineo direttore di “Rainews 24” e l’ex direttore di “Radio radicale” Massimo Bordin. L’ho ascoltata su Radio radicale.
Dall’idea che me ne sono fatta il libro è proprio da leggere, anche perché, controcorrente, mette al centro dell’analisi un incidente sul lavoro a Sarroch in Sardegna, nella raffineria Saras del gruppo Moratti; e dei morti di lavoro libri, giornali e tv parlano il meno possibile, nascondendo sistematicamente le responsabilità. La scelta di Meletti è ancora più meritoria perché la sua attenzione è diretta a una grande famiglia del capitalismo italiano che decisamente gode di una buona stampa: i fratelli Moratti, infatti, con le mogli impegnate in politica una a destra l’altra a sinistra, con la munificenza sportiva, con l’indubbio savoir faire che li caratterizza, raramente sono oggetto di critiche pungenti da parte dell’intero sistema mediatico.
La raffineria Saras di Sarroch, in Sardegna |
L’incidente era accaduto il 26 maggio 2009. Erano morti tre operai Giovanni Melis di 29 anni, Bruno Muntoni di 58, Gigi Solinas di 27. Lavoravano per la Comesa, la ditta che ha in appalto la manutenzione. Il primo era stato incaricato di entrare in una cisterna ferma per manutenzione: entrando ha respirato l’azoto puro (inodore e incolore) di cui era satura, senza che vi fosse alcun avviso della presenza del gas. Gli altri due operai sono morti nel tentativo di soccorrere il compagno. Nessuno dei tre era dotato del rilevatore di ossigeno, fondamentale per questo genere di attività, ma neppure previsto dai capitolati d’appalto.
Mineo, nel presentare il libro, ragiona dell’aggettivo “coloniale”, che Meletti, giornalista de “Il fatto”, sardo, ha scelto per indicare la natura del capitalismo che a Sarroch ha generato morte. Per il direttore di “Rainews 24” coloniale, nei suoi rapporti con il lavoro, è ormai l’intero capitalismo, non solo in Sardegna e al Sud o nel settore petrolifero, ma in tutti i suoi pezzi più pregiati e nel più profondo Nord.
Sorprendente Massimo Bordin, l’ex direttore di Radio radicale. Lui, che in quel ruolo non s’era certo distinto contro la precarizzazione del lavoro, ma era stato anzi uno sperticato lodatore della Legge Maroni-Biagi, fa oggi una requisitoria che parte dallo specifico dell’incidente della raffineria. Non c’è più un indotto, ma molti lavori che sono parte integrante del ciclo produttivo sono appaltati a imprese esterne, intermediari di manodopera che si affidano a lavoro precario, saltuario, non sempre adeguatamente qualificato.
Meletti, che insieme a Gianni Dragoni aveva realizzato lo scorso anno un libro-inchiesta sui mostruosi guadagni dei manager (La paga dei padroni). Che facevano – si chiede - i ricchi, i manager, le classi dirigenti mentre quegli operai morivano? Per il 90% per cento partecipavano a convegni e non pochi rilasciavano interviste. Egli ricorda due dichiarazioni di politica economica apparse sui giornali proprio in quel 26 maggio 2009. Brunetta dice: “La curva della perdita dei posti di lavoro ha raggiunto le 500 mila unità, ma ricordo che gli altri 14 milioni di lavoratori conservano il loro lavoro”. Sarcastico il commento del giornalista: è come se il ministro della Sanità impegnato a commentare una mortale epidemia con migliaia di morti ricordasse che tutti gli altri si sono risvegliati vivi. Ancora più folle gli pare la dichiarazione della Marcegaglia, in un convegno a che si appropria della tragica morte di un imprenditore suicida per le difficoltà dell’azienda, per spiegare come la crisi colpisca in egual modo operai e padroni: “Si è ucciso per non licenziare”. Meletti arricchisce il quadro con un Gianmarco Moratti che, intervistato da Bonini su “Repubblica” due giorni dopo la tragedia, si domanda iroso: “Che facevano lì quegli operai? Non dovevano starci”. E collega la dichiarazione con una voce fatta circolare, perfino sulla stampa, che l’operaio morto per primo fosse entrato nella cisterna per aggirare il divieto di fumo operante in tutta l’estesa area della raffineria. Il giovane, in effetti, non solo non fumava affatto, ma era solito redarguire aspramente chi gli fumasse vicino, anche a casa sua.
Dopo l’uscita del libro, giovedì scorso 28 ottobre, una notizia positiva è venuta dalla Procura della Repubblica di Cagliari. C’era stato un tentativo, dopo aver buttato la colpa sugli operai, di attribuire le responsabilità ai livelli più bassi, a un caposquadra e a un capocantiere, ma i pm Secci e Manganiello hanno archiviato le loro posizioni e individuato le responsabilità al livello più alto. Con il titolare della ditta appaltatrici andranno sotto processo i vertici aziendali della Saras incluso Gian Marco Moratti. I Moratti intanto stanno cercando di evitare un impegno processuale delle parti civili: hanno assegnato alle famiglie degli operai uccisi dall’ozono una rendita di 2500 euro al mese per vent’anni ed hanno chiesto alle stesse famiglie di avanzare una richiesta di risarcimento. Il processo in ogni caso si farà e per i suoi contenuti potrebbe andare al di là della Saras e investire aspetti fondamentali del modo di essere del capitalismo italiano.
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