Nella nuova Sala Walter Binni della Biblioteca Comunale Augusta di Perugia si è svolto il 4 maggio scorso un incontro di studio dal titolo Ritratto del critico da giovane dedicato al “saggio” sull’ultimo Leopardi che il grande italianista perugino iniziò nel 1933 e discusse ventunenne nel 1934, come allievo della Normale di Pisa, davanti a una commissione presieduta da Attilio Momigliano. Era l’inizio di quello che, su questo giornale, ci è capitato di definire “un grande amore”. A guerra finita, nel 1947, Walter Binni pubblicò La nuova poetica leopardiana, che avrebbe segnato una svolta decisiva negli studi del Novecento su Leopardi, orientando anche i lettori insegnanti e studenti verso una interpretazione insieme più moderna e veridica della lezione umana, filosofica e politica del grande poeta di Recanati. Gli atti dell’incontro, ricco per le molte voci e le importanti testimonianze, saranno pubblicati nei quaderni del Fondo Walter Binni.
Durante il pomeriggio di studio Lanfranco Binni, presidente del Fondo, ha letto un inedito assai importante, il saluto inaugurale che nel 1997, dal letto della malattia che lo avrebbe condotto a morte, il grande critico inviò per la cerimonia di apertura del bicentenario leopardiano, una sorta di testamento etico e politico dello studioso. Il testo integrale sarà pubblicato nell’edizione in preparazione degli scritti politici di Walter Binni. Ne pubblichiamo qui in anteprima un ampio stralcio per gentilissima concessione della famiglia Binni, che sentitamente ringraziamo (S.L.L.).
Chi mi ha chiesto questo gesto simbolico ha certamente voluto ricordare ancora una volta […] il segno che la mia opera davvero lunga di critico leopardiano e docente di numerosi corsi leopardiani in anni cruciali e vitali della nostra università ha complessivamente inciso (forse più di quanto io stesso abbia realizzato) sulle vite di chi ha voluto in molti modi ascoltare e ricordare quello che ho detto su Leopardi e che per me non è stato mai svincolato da una pratica intellettuale e politica che è la chiave di volta delle mie interpretazioni.
Come indicare, anche per sommi capi, il nodo tensivo di esperienze personali e pubbliche che hanno nutrito e articolato sempre più in profondo le mie intuizioni su Leopardi, saldandole poi in una sistematica trattazione di poetica?
Mentre scrivo ricorre il cinquantesimo anniversario della pubblicazione della Nuova poetica leopardiana che, a detta di molti, segnò una svolta nel pensiero critico su Leopardi, e che io stesso ho sempre considerato una tappa nella mia vita desanctisianamente personale-creativa e pubblica (allora ero Deputato all’Assemblea Costituente e intervenni più volte in difesa della scuola pubblica).
E’ da lì che, per dirla con le parole veramente affettuose di un leopardista di vaglia come Luigi Blasucci, la mia funzione di critico fu quella di “smuovere le acque del leopardismo di metà secolo, acque di placida laguna”. E questo con una “appassionata unilateralità”, tesa ad affermare una “nuova poetica” che svegliasse la critica leopardiana “dal suo sonno dogmatico (idillico)”.
[…] Voglio ribadire come il mio gesto critico di allora (derivato da oltre un decennio di prove in quella direzione a cominciare a una tesina leopardiana alla normale del ’33) potesse sì sembrare unilaterale, ma non era certo unidimensionale come gli esiti della critica precedente, critica appunto di un Leopardi “a una dimensione”.
La mia interpretazione ebbe certo la funzione di far pensare per la prima volta a un Leopardi del tutto intransigente ad essere assimilato a pratiche conformate a strutture preesistenti. Essa proponeva invece un Leopardi che le infrangeva vitalmente e fondava un discorso complessivo di più dimensioni, aperto a molte possibilità liberatorie che trascendevano lo statu quo. So che quella lezione ha avuto la sua funzione, a suo modo eroicamente energetica e coerente con se stessa, e che questa sua voce netta e comprensibile a molti in questo minaccioso fin de siécle, può anche risuonare invisa, per la sostanza indiscutibile, storica e metodologica, che riesce a trasmettere in tempi di crepuscolo della attività critica, a chi ripropone oggi le “acque di placida laguna” per tendenze di mezzo secolo fa. La falsa disperazione omologata a mode “nere” che si vorrebbe leggere in Leopardi, una sua ineffabilità reclusa in se stessa, rispondono a certe “retoriche di laguna”. Certo non meritano che il sorriso di Eleandro […]
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