9.10.10

I figli del fabbro. Custer, Mussolini e gli altri.

Dorris Alexander "Dee" Brown (1908 –2002), storico e scrittore statunitense, è noto soprattutto per Seppellite il mio cuore a Wounded Knee  del 1970, una vera e propria epopea dei Nativi americani e della loro eroica resistenza all'espansionismo Usa. Tra gli altri libri uno, a carattere divulgativo, circolò nell’Italia degli anni 70, La grande frontiera. Uomini e donne del West, un libro leggibile e assai piacevole anche per la varietà e bellezza delle illustrazioni, pubblicato da Mondadori nel 1974. Un capitolo fra gli ultimi, intitolato Libbie e Autie racconta la storia d’amore tra il generale George Armstrong Custer (“Autie”), il massacratore di indiani morto a Little Big Horn, ed Elizabeth (“Libbie”) Bacon, poi Custer, che da vedova ne costruì il mito con molti “aggiustamenti” nei confronti della realtà dei fatti. Mi ha colpito un passaggio, all’inizio del capitolo, un passaggio. “Libbie Bacon e Autie Custer non erano fidanzati fin dall’infanzia come vogliono certe leggende, anche se negli anni Cinquanta dell’800 abitarono a breve distanza l’uno dall’altra a Monroe, nel Michigan. Quando Autie era sui quindici anni a volte il giudice Daniel Bacon gli affidava delle piccole commissioni, e, portati a termine questi incarichi, il ragazzo si soffermava davanti alla casa nella speranza di cogliere una visione della bellissima dodicenne Libbie, che probabilmente non si degnò mai di gettare uno sguardo nella sua direzione né di rivolgergli una sola parola. Autie era il rozzo figlio di un fabbro, mentre Libbie era figlia del più eminente magistrato della città”.
Non è la storia dell’amore che scavalca i recinti delle differenziazioni sociali che mi ha colpito, ma il fatto che Custer fosse figlio di un fabbro ferraio, esattamente come Mussolini, il duce che nel giugno del 1940, alla vigilia dell’ingresso come alleato nella guerra nazista, scrisse nel diario: “Mi basta qualche migliaio di morti per sedere da vincitore al tavolo della pace”. Mutatis mutandis i due avevano in comune un ego sproporzionato ed un disgustoso disprezzo per le altrui vite, considerate strumento della loro affermazione. Mi sono domandato se in questa analogia non c’entrasse in qualche modo il mestiere del padre.
So che non è una grande scoperta, ma, dopo aver pensato un po’, credo di poter affermare senza ombra di dubbio che l’attività metallurgica dei padri con la carognaggine dei figli non ha alcun rapporto. Ne ho trovato conferma nella memoria: i figli di fabbro (una decina) che ho conosciuto non saranno un campione amplissimo, ma sono tutte eccellenti persone. Due in particolare, tra gli amici del  paese, ne voglio qui ricordare: uno che per un po’ fece lui stesso il fabbro, e poi fu edicolante cordialissimo e colto, e un altro, preside di Liceo, fine grecista e pacifista coerente.

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