11.10.10

La scuola, Internet e il cervello umano.

Nicholas Carr
Ho incontrato sulle scale mobili, Francesco Gagliardi, mio collega di filosofia al Liceo Mariotti, docente di valore e studioso di Heidegger. Parliamo della “nostra” scuola, della Gelmini, dell’ambiguo ruolo dei presidi, dei programmi, dei progetti e soprattutto dello sfascio degli ultimi dieci anni, più o meno quelli della mia prematura "quiescenza". Mi spiega che il degrado della scuola e l’incultura dilagante nella gioventù non sono solo conseguenze del berlusconismo intellettuale e morale, delle politiche scolastiche di destra e di sinistra, dei presidi manager. “Quelli – mi dice – sono ostacoli che si superano. I buoni insegnanti ce l’hanno sempre fatta contro i burocrati, i politicanti, gli incompetenti e da ultimo contro la televisione, ora i nemici della buona scuola hanno un alleato invincibile in Internet; e la battaglia è persa”. Da combattente qual è aggiunge: “O quasi”. Parliamo della vita liquida, della cultura prima in frammenti e poi in poltiglia, degli esami svolti con i test. Ascolto soprattutto, e non mi sento di dargli torto, ma neanche ragione. “Internet – penso – è uno strumento potentissimo e, al primo impatto, una mala bestia, che, tuttavia, prima o poi sarà domata, addomesticata, asservita”.
Il giorno stesso del casuale incontro con Gagliardi, il 6 ottobre leggo su “La Stampa” un’intervista allo scienziato americano Nicholas Carr, studioso di tecnologia e di economia. E’ convinto che Internet amplifica a dismisura le distrazioni, impedisce la concentrazione e sta già producendo una regressione cerebrale negli uomini del nostro tempo. A suo dire stiamo ridiventando cavernicoli: “I nostri lontani antenati avevano bisogno di mantenere, in ogni istante, l’attenzione su ogni minimo evento intorno a loro. In un ambiente ricco di predatori… era sicuramente molto pericoloso prestare attenzione a un fatto per volta. In un certo modo, quindi, il Web, ci sta riportando indietro, a una modalità più primitiva di articolare i pensieri”. L’unica terapia che Carr sa trovare è una riduzione dell’uso. Non conosco le argomentazioni e le prove fattuali delle conclusioni: il libro che ha scritto uscirà in italiano solo in primavera; ma ho ragione di credere che il suo non sia facile allarmismo e sull'argomento ci sia molto da meditare.

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