3.2.13

Che fortunata! lavora in un bordello (Ida Magli)


Ida Magli
L’antropologa Ida Magli (1925), di formazione musicale e medica, in anni lontani accompagnò con i suoi studi sul sacro e sui rapporti tra il sacro e la sessualità le battaglie delle femministe. Dalla fine degli anni 80 ha conosciuto quella che a molti (e anche a me) sembra una involuzione: delusa dal femminismo, ha sviluppato concezioni francamente reazionarie ed ingaggiato una lunga battaglia contro l’Europa unita. Tutto ciò l’ha portata a fiancheggiare la destra politica italiani scrivendo sui suoi quotidiani (“Il Giornale” e “La Padania”).
Questo vecchio ritaglio, da “la Repubblica”, ci riporta una Magli prima maniera che recensisce un libro francese sulla prostituzione medievale da posizioni culturali contigue al femminismo. Tuttavia, nel modo di condurre la polemica contro le “microstorie” in nome della “lunga durata”, distinguendo con questo criterio il buono e il cattivo della storiografia di matrice “annalistica”, nella Magli comincia a far capolino qualche tentazione “reazionaria”. (S.L.L.)


La prostituzione è uno dei fenomeni meno studiati dagli storici. I saggi che presentano qualche validità non soltanto sono rari, ma cominciano ad apparire solo verso la fine dell' Ottocento, con il risvegliarsi dell'interesse per la storia sociale. Il volume uscito in questi giorni da Laterza (Jacques Rossiaud, La prostituzione nel Medioevo, traduzione di Ezio Pellizer, pagg. 236, lire 24.000) suscita quindi nel lettore una immediata aspettativa, anche perché si muove nell' ambito di quella scuola storica francese che già con diversi articoli pubblicati sulle “Annales” aveva affrontato in vari modi il problema.
Rossiaud dice di voler dare una "spiegazione globale" della prostituzione, prendendo come esempio la rete delle città del Sud-Est della Francia nei secoli XV e XVI, per tentare di "esplorare la vasta zona oscura che divide i due livelli fino a questo momento privilegiati dagli storici della sessualità: quello delle ideologie e della morale e quello dei comportamenti demografici". Alla fine, però, questa "spiegazione globale" appare deludente ed illusoria. La storia di cui parla Rossiaud - sulla scorta, del resto, del suo maestro Georges Duby - rimane pur sempre una storia di "dati", anche se questi dati non sono quelli delle contese politiche e delle battaglie, ma quelli del numero dei postriboli e del "prezzo" di una prostituta.
Nella storia, naturalmente, i "dati" sono sempre molto interessanti, e la documentazione di Rossiaud è ricca di analisi incrociate statisticamente. Risulta così accertato che in quasi tutte le città francesi esisteva a quel tempo un postribolo pubblico, costruito, mantenuto e governato dalle autorità municipali, e i cui nomi sono quanto mai espliciti: maison lupanarde, bon hostel, maison de la ville, maison commune, maison des fillettes. Il compito di reclutare le "ragazze" e di far loro rispettare le regole fissate dalle autorità mantenendo l' ordine nella "casa", era affidato ad una abbesse, così chiamata in analogia alla badessa dei conventi; cosa questa molto significativa (anche se Rossiaud non se ne accorge), in quanto rispecchia la particolare visione che la società aveva di un gruppo femminile governato da una donna.
Oltre al postribolo, uno dei luoghi più frequentati era il "bagno pubblico", in cui la prostituzione, malgrado fosse proibita, avveniva ad un livello di maggior lusso, con ragazze selezionate in base alla gioventù e alla bellezza per il piacere di uomini sposati e di ecclesiastici (cui era proibito l'accesso al postribolo pubblico), pronti a pagare molto pur di godere di buone "prestazioni" e di uscite nascoste e sicure. Le autorità si preoccupavano di far osservare determinate norme di carattere igienico (per esempio, lo "stabilimento" veniva chiuso durante le pestilenze) e di carattere "socio-morale", come l'obbligo per le prostitute di farsi riconoscere grazie a un nastrino rosso sul vestito, il divieto di coprirsi la testa col velo bianco delle vergini (ragazze da marito) o col cappuccio delle maritate (quindi "oneste" per definizione), e infine - insieme agli ebrei e ai lebbrosi - il divieto di "toccare" le merci esposte (chiara norma di "evitazione" per l'impurità).
Non è difficile intravedere la persistenza di costumi e di significati, anche quando se ne è perduta la consapevolezza diretta, nell' usanza delle signore "per bene" di non uscire mai senza il cappello e senza i guanti (usanza che si è estinta soltanto con la seconda guerra mondiale) e in quella specie di "evitazione" del rosso nel vestiario, ritenuto fino a poco tempo fa dal maschio come una forma di implicito invito a farsi avanti. Rossiaud tenta di comprendere quale fosse il ruolo della sessualità nel tardo Medioevo e parla anzitutto degli stupri, dato che questi, lungi dall'essere eccezionali, facevano parte del costume. Si trattava di aggressioni collettive, compiute da un gruppo organizzato (da due a quindici persone) che la sera forzava la porta di una casa prestabilita e violentava la vittima, trascinandola in strada senza che nessuno intervenisse.
Secondo Rossiaud, "la violenza sessuale era una dimensione normale e permanente della vita urbana e le cause vanno ricercate nelle strutture demografiche e matrimoniali". Il problema, a suo giudizio, era infatti la scarsa "disponibilità di donne" per i maschi giovani, data anche la forte differenza di età fra i coniugi (la donna poteva avere anche trent' anni meno del marito) e di conseguenza uno stato di forte tensione fra maschi giovani e anziani. Facendosi sostenitore di questa tesi, Rossiaud deplora le "reticenze" degli storici nell'applicare alla società medioevale europea modelli sociali di tipo etnologico, e non esita ad affermare l'esistenza di bande di giovani, non delinquenti ma desiderosi di turbare l'ordine, i quali "per sfuggire alla noia, ricercavano spontaneamente, di sera, l'avventura e la rissa, sfidavano le guardie, andavano a caccia di ragazze e si dedicavano allo stupro". Secondo lo studioso francese, dunque, "l'aggressività dei gruppi notturni si traduceva naturalmente in violenza sessuale", e questo per due motivi principali: acquistare il privilegio della mascolinità attraverso il possesso violento della donna e dimostrare il proprio disprezzo, in quanto "esclusi", verso coloro che detenevano il potere impadronendosi delle donne di loro proprietà (la concubina del prete, la fantesca mantenuta dal padrone, la moglie momentaneamente lasciata sola dal marito, ecc.).
Sarebbe, questa, di conseguenza, la causa della prostituzione organizzata: l' interesse da parte delle autorità a dare, attraverso l'uso legale delle prostitute, ampia possibilità di sfogo sessuale a coloro che altrimenti avrebbero turbato l'ordine stabilito. Di qui, anche, il riconoscimento, secondo Rossiaud, della "funzione sociale" svolta dalle prostitute, le quali sarebbero state, a dir poco, delle donne invidiabili e felici.
E' difficile dire fino a che punto una ricerca come questa, malgrado la ricchezza e la puntigliosità dei dati, sia povera di "storia", e pertanto mistificante. Non perché essa assuma i modelli etnografici applicandoli all'Europa medioevale, ma perché ne assume tutti i difetti senza giovarsi dei pregi. Dare per scontato che il sistema matrimoniale basato sullo scambio delle donne sia la molla di fondazione di tutte le società, è già un assioma non dimostrato; e soprattutto non è lecito riferirsi ad esso quando si vuole spiegare la prostituzione e la violenza sessuale all'interno del proprio gruppo, dato che questi due fenomeni sono assenti nelle società cui gli etnologi fanno riferimento.
Per parlare della "prostituzione" bisogna per prima cosa definirla; ma Rossiaud non lo fa, il desiderio sessuale maschile essendo per lui cosa ovvia, che non necessita di spiegazioni. Si continua, insomma, a fare una storia della società "maschile" e del potere maschile, in cui le notizie sulla condizione delle donne, oltre ad essere scarse e spesso errate, appaiono in forma indiretta: le donne non sono "oggetto" soltanto nella società che Rossiaud descrive, ma lo sono per lo stesso Rossiaud, come si trattasse di un dato "naturale". Continuiamo, in altri termini, a non sapere nulla, a non voler sapere nulla della sessualità maschile in sé; del perché questa sessualità si configuri come violenza, accompagnata da disprezzo e da odio nei confronti delle donne, sia nella "circolazione" matrimoniale, sia nello stupro e nella prostituzione.
Rossiaud non si sofferma che di sfuggita sulla omosessualità maschile, considerandola un fenomeno di "devianza", condannato dalla Chiesa e oggetto di predicazione morale, non già come un dato "significativo" per la comprensione della sessualità in generale. Manca in definitiva, a questa "storia", l' applicazione della ricerca (l'unica veramente innovativa), delle strutture di lunga durata e dei loro significati, ossia del ricchissimo apporto dell'antropologia e della storia psicologica e sociale francese che, a partire da Durkheim, da Mauss, da Braudel fino a Lèvi-Strauss e a Foucault, ha rivelato quali possibilità di comprensione vi siano anche per la storia europea. Non meraviglia che in Italia susciti tanto entusiasmo (questo testo infatti non è stato ancora pubblicato in Francia) il modo "microsociologico" di fare storia: si è spostato il campo, ma il metodo è lo stesso con il quale si è sempre narrata la storia "politica" e che, tanto per fare un esempio, non ci ha mai permesso di capire che cosa fossero le guerre dal punto di vista delle popolazioni. Con lo studio delle strutture di lunga durata, invece, ci si avvicina "pericolosamente" alla comprensione dei fondamenti della realtà storica e proprio a quel tema della sessualità maschile del quale, come ha ben detto Foucault, il potere vuole che si parli tanto affinché si possa non capirlo affatto.

"la Repubblica", 17 luglio 1984

1 commento:

Anonimo ha detto...

condivido la tua analisi e trovo interessante il contributo.
Massimo

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