12.7.14

Il partito unico articolato (Luciano Canfora)

Luciano Canfora
II disvelamento della dinamica parlamentare e della sua degenerazione tra Otto e Novecento fu espresso da interpreti tra loro ben diversi, ma su questo punto convergenti, quali Gaetano Salvemini, Benedetto Croce e Antonio Granisci. L'affossamento dei partiti all'epoca esistenti e la loro sostituzione con auspicate formazioni nuove e radicalmente diverse divenne il proposito programmatico del periodico che allora Salvemini fondò, «l'Unità»: putrescat ut resurgat era la formula di Salvemini. Croce scrisse allora (gennaio 1912) a Salvemini una efficace diagnosi: «L'esperienza mostra che il partito che governa o sgoverna è sempre uno solo, e ha il consenso di tutti gli altri che fanno le finte di opporsi».
«In molti paesi - notava Gramsci in una scheda del Quaderno 17 - i partiti organici e fondamentali, per necessità di lotta o per altra causa, si sono frazionati in frazioni, ognuna delle quali assume il nome di Partito o anche di Partito indipendente». Si potrebbe osservare, dunque, che due processi opposti approdano ad un risultato molto simile: da una parte i grandi partiti tradizionali che si frazionano in partiti apparentemente o solo formalmente distinti; dall'altra partiti che muovevano da punti di partenza lontani o antipodici che si mettono insieme nel nome della «coesione», e danno vita a qualcosa di non molto diverso da quella unità organica ma articolata in partiti diversi cui Gramsci fa cenno pensando al pluripartitismo puramente "epidermico" di tante società politiche del suo tempo.
Cosa accomuna i due fenomeni? «Spesso perciò - prosegue Gramsci - lo Stato Maggiore intellettuale del Partito organico non appartiene a nessuna di tali frazioni ma opera come se fosse una forza direttrice a sé stante, superiore ai partiti». Gramsci, che scriveva in un'epoca nella quale la forza di «azione politica», come egli si esprime, dei giornali era enorme, si riferisce a centri di opinione e di orientamento valido ad influenzare una pluralità di partiti sostanzialmente affini (il «Times» o il «Corriere della Sera»). Il nostro presente ci ha offerto nuove modalità e nuove forme di tale funzione direttiva e di indirizzo. Nel caso dell'Italia, della Spagna e della Grecia, si è visto il diktat della Banca Centrale Europea (forte dei vincoli sopranazionali costituiti dalla "gabbia d'acciaio" dei parametri di Maastricht) abbattere governi, farne nascere di nuovi, ordinare la nascita di coalizioni, vietare referendum in paesi apparentemente sovrani. «Una forza direttrice a sé stante», ma di quale entità!
Si può sviluppare questa intuizione con una considerazione storica. Partito unico organico apparentemente diviso in più formazioni politiche rivali fu, con diversi gradi di perfezione, il sistema dei partiti politici in Europa finché non sorsero i partiti "operai", comunque denominati, la cui esistenza stessa era ancorata alla base sociale e agli interessi rappresentati: in frontale opposizione nei confronti del «partito unico organico». Come s'è già detto, i partiti "operai" furono i primi veri partiti. Quelli cattolici di massa ne furono una conseguenza.
Al tempo nostro, dunque, abbiamo assistito ad uno sviluppo del tutto nuovo (solo in parte prevedibile): i partiti operai - fatta eccezione, in certa misura, per la Germania - sono scomparsi, la divaricazione partitica si è venuta incardinando su questioni non più sociali ma etico-individuali; e, soprattutto, la «forza direttrice a sé stante» si è "delocalizzata" fuori dei confini statali divenendo perciò stesso inattingibile, protetta e totalitaria nelle sue direttive e decisioni; tale «forza direttrice» è nel potere bancario (BCE e FMI in primo luogo)...

da E' l'Europa che ce lo chiede, Idòla Laterza, 2012

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