17.7.14

Virginia Woolf: senno e sensibilità (Fernando Savater)

La buona letteratura non ha sesso, né tanto meno genere, ma quando la scrive una donna sarà sempre battezzata come letteratura femminile. E le saranno assegnati tratti idiosincratici che le attribuiscono un tono esotico, come se arrivasse da un continente quasi inesplorato. Ma, sono forse le buone scrittrici indigene di un continente sconosciuto dagli uomini, pieno di zone abbandonate dove trovi solo “attenti ai leoni”? Così sembra essere stato, da Madame de Lafayette e Jane Austen, passando per le Brontë, George Sand o la meravigliosa Emily Dickinson, fino agli inizi del XX secolo. Ma dopo è arrivata Virginia Woolf, seguita poi da Simone de Beauvoir, e lo spettro in camicia del femminile in letteratura si è trasformato in un’anticaglia piuttosto buffa, come il fantasma di Canterville. Credere che questa denominazione ci aiuterà a comprendere meglio le opere di Silvina Ocampo e Marguerite Yourcenar, o quelle di Agatha Christie, J.K. Rowling o Fred Vargas, ci sembra adesso una questione ridicola e perfino assurda.
Non esiste una “letteratura femminile”, a scopi critici, ma senza dubbio c’è stata una lunga lotta femminile per farsi spazio nella letteratura monopolizzata e diretta dall’autorità degli uomini. Se oggi questa battaglia si è ormai conclusa e hanno vinto le buone, questo trionfo a poche persone deve tanto quanto a Virginia Woolf. Definirla soltanto scrittrice è poco, perché è stata in tutta l’estensione del termine una donna di lettere, un’umanista nel senso più moderno e innovatore di questa qualificazione: romanziera, autrice di racconti, critica di arte e letteratura, saggista, giornalista, editrice, anima di quella combinazione tra circolo e società segreta che fu il gruppo di Bloomsbury, autrice di un diario irrinunciabile e di una corrispondenza che commuove per la sua penetrante intelligenza e per il suo tormentato coraggio. Se definiamo intellettuale quell’artista che si compromette pubblicamente con cause civili, Virginia Woolf è stata una delle figure intellettuali decisive dello scorso secolo, nonostante si mantenesse lontana dalla lotta dei partiti, perché il suo saggio Una stanza tutta per sé ha tante implicazioni politiche e culturali così come il Io accuso di Zola. Nessuno di noi che l’ha amata attraverso la lettura può consolarsi per non averla sentita conversare…
Come romanziera, risulta inammissibile confinarla nel ruolo di mero epigono di James Joyce, anche solo in merito al fatto che alcuni dei suoi romanzi – Mrs. Dalloway, per esempio - e molte delle sue narrazioni sono tanto buone quanto il meglio della scrittura del grande irlandese. È stata una scrittrice sperimentale, il che nella sua epoca non risulta eccessivamente insolito, ma a cui la maggior parte degli esperimenti riuscirono bene, il che è già più strano. Dimostra penetrazione psicologica, acuta visione sociale, un umore malizioso non meno degno di Swift anche se molto meno esplicito, e occasionali tocchi di autentica riflessione trascendente –filosofica? metafisica?- senza i quali nessun buon narratore arriva ad essere veramente grande. Come critica, tanto delle opere altrui come delle proprie, (disincantata, con piena ragione, per lo scarso riconoscimento che queste ottenevano) raggiunge una penetrazione e una libertà di pensiero veramente insolite, per il suo tempo…o per qualunque. Sapeva leggere e per questo vale la pena tornare al suo prezioso saggetto ¿Cómo debería leerse un libro?, ora edito da José J. de Olañeta.
Non conosco scritto più emozionante –intellettualmente emozionante, non solo per l’aspetto romantico- della lettera di addio a suo marito Leonard quando decise di suicidarsi. Termina con una frase terribile e sincera (“non credo che due persone avrebbero potuto essere più felici di quanto lo siamo stati noi”), la toccante dichiarazione che neppure la felicità basta. Quello che più temiamo di sentire. E comincia: “Sono certa di stare impazzendo di nuovo”. Ma non si trattava solamente di un panico causato dalla saggezza personale. I nazisti minacciavano di invadere l’Inghilterra e l’avevano nella lista delle personalità che dovevano essere eliminate quando avrebbero assoggettato l’isola. Lei ebbe il presentimento di far parte naturale e inevitabile del nemico per i barbari e che in realtà era L’Europa quella che stava impazzendo di nuovo…

El País 23/10/2012 - Traduzione a cura di Asterischi.it (Laura Coletti)


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