28.7.14

Machiavelli / Guicciardini. Un'amicizia particolare (Remo Cesarani)

Si può dire che Machiavelli e Guicciardini fossero due amici? Oppure ha più forza la tradizione critica che li contrappone e li considera, se non due antagonisti, certo due personaggi collocati a due poli estremi? Forse è più giusto dire che si tratta di due personaggi che si conobbero bene, si frequentarono, stimarono e influenzarono reciprocamente, che furono, nella vita privata «amici», e in quella intellettuale due pensatori che dialogarono intensamente anche se non in modo appariscente, ma che poi sono stati chiamati dalla storia, dalle ricostruzioni e dagli schemi degli storici, a rappresentare due personificazioni diverse e contrastanti, quasi polemicamente «nemiche», di una stessa temperie culturale e politica.
A stabilire l'idea della «coppia», ma anche di una coppia costituita da personalità polarmente contrapposte, hanno contribuito energicamente le pagine della Storia della letteratura italiana di Francesco De Sanctis: pagine importanti e significative, fondamentali per l'interpretazione data da De Sanctis del Rinascimento italiano, che però hanno consegnato alla tradizione dei nostri studi una schematizzazione notevolmente irrigidita e un giudizio sui due maggiori nostri scrittori politici del Cinquecento fortemente influenzato dalle idee e dalle passioni del periodo risorgimentale. (Per di più, quando De Sanctis scriveva, si ignoravano ancora molti degli scritti di Guicciardini e non era stata ricostruita in dettagli la storia dei rapporti diretti di amicizia che aveva legato i due personaggi).
Secondo De Sanctis, Machiavelli e Guicciardini, di fronte alla crisi politica e morale dell'Italia del primo cinquecento, reagirono in modo diverso e rivelarono una diversa tempra: Machiavelli, lucidissimo, visse la crisi ma non la subì, anzi la analizzò e studiò allo scopo di combatterla; Guicciardini, anche lui fornito di una finissima conoscenza degli uomini e delle cose, reagì con scetticismo e sfiducia, e un'amara disposizione ad accettare l'inevitabile corso delle cose. Diversi certo i due lo erano, anche fisicamente. Machiavelli, aveva il viso affilato, le labbra sottili e ironiche, gli occhi neri penetranti e arguti: l'immagine che ci è trasmessa da un ritratto di Santi di Tito, che si trova a Firenze in Palazzo Vecchio e si vede riprodotta su enciclopedie e libri, lascia l'impressione di una figura segaligna, di una personalità viva, affascinante, ironica e sfuggente. Guicciardini aveva il corpo massiccio e sostenuto, il collo largo e taurino, i lineamenti solidi e marcati. Nel ritratto di Giuliano Bugiardini, che si trova nella raccolta di famiglia ma è stato divulgato, appare in veste ufficiale, fra pellicce e velluti, quale doveva essere: severo, laconico, riservato, orgoglioso del suo casato e delle sue capacità, disposto ad aprirsi solo a pochi intimi.
Diversi erano i due certamente per età, essendo Guicciardini di 14 anni più giovane; diversi per estrazione sociale, essendo Machiavelli di famiglia non prominente e Guicciardini di famiglia appartenente alla più ristretta e potente oligarchia ottimatizia; diversi per formazione (segretario e destinato a una carriera negli uffici Machiavelli, dottore in diritto civile e destinato a una prestigiosa carriera di ambasciatore e servitore di Firenze o del Papa Guicciardini); diversi per inclinazioni ideologiche e metodo di pensiero (portato alle grandi affermazioni teoriche, basate sulla storia e l'esperienza, Machiavelli, sospettoso di ogni generalizzazione, attento alla concretezza minuta dei fatti e alla molteplicità delle prospettive Guicciardini).
La diversità sta stampata anche sulle buste delle lettere che i due cominciarono a scambiarsi, nel 1521, quando Guicciardini era governatore papale a Modena e Machiavelli inviato da Firenze a svolgere una missione diplomatica, chiaramente al di sotto delle sue aspirazioni e abilità politiche e forse con qualche intenzione di ironia, presso il litigioso Capitolo generale dei frati minori. Mentre Guicciardini si rivolge «Al magnifico messer Niccolo Machiavelli nuntio fiorentino», Machiavelli si rivolge al suo corrispondente in aulico e cerimonioso latino «Magnifico Domino Francisco de Guicciardini I.V. doctori Mutinae Regiique gubernatori dignissimo suo plurimo». E mentre Guicciardini iniziava con un «Machiavello carissimo», Machiavelli rispondeva con un «Magnifice vir, major observandissime». E tuttavia, nello scambio immediato della lettera (cosi come, possiamo intuire, negli scambi verbali) i due trovarono subito un territorio di intesa, complicità e familiarità (quindi di amicizia): il linguaggio comico, l'aneddotica maliziosa ed erotica, della trasformazione scherzosa di sé e degli altri, a sfogar l'umor nero e le non poche meditazioni pensose e preoccupate sulle vicende politiche e militari di Firenze e d'Italia.
Guicciardini. divertito dell'incarico «religioso» dato a Machiavelli, trovava che averlo scelto per tale bisogna era come l'aver attribuito interessi muliebri a due noti sodomiti fiorentini: «non altrimento che se a Pacchierotto, mentre viveva, fosse stato dato il carico, o a ser Sano, di trovare una bella et galante moglie a uno amico». Machiavelli rispondeva per le rime e, subito dopo l'invocazione rispettosa al «Magnifice vir», scriveva: «Io ero in sul cello quando arrivò il vostro messo, et appunto pensavo alle stravaganze di questo mondo», e proiettava la situazione (quella di dover spingere i frati minori a scegliere per Firenze un loro predicatore) in una possibile novella boccaccesca o in una trama da Mandragola: «eglino vorrieno un predicatore che insegnasse loro la via del Paradiso, et io vorrei trovarne uno che insegnassi loro la via di andare a casa del diavolo; vorrebbono appresso che fosse huomo produente, intero, reale, et io ne vorrei trovare uno più pazzo che il Ponzo, più versuto che fra Girolamo, più ippocrito che frate Alberto». (Ma intanto, fra le espressioni scherzose, riusciva a infilare qualche riflessione amare sulla sua situazione di cervello fino politico sottimpiegato).
Il terreno di incontro così fissato fra Machiavelli e Guicciardini - quello della espressività linguistica, della narrazione novellistica, della trascrizione comica e teatrale - diede l'occasione, in quei frangenti, alla costituzione di un piccolo e straordinario carteggio (pari a quello su un'uguale intesa «comica» fra Machiavelli e l'ambasciatore fiorentino Francesco Vettori). Ha detto bene Giorgio Inglese, curatore di una bella edizioncina, nella Bur, delle Lettere di Machiavelli e Francesco Vettori e Francesco Guicciardini: «La ricchezza di queste pagine epistolari sta tutta nel conflitto che subito si apre - e sarà sapientemente giocato da entrambi gli interlocutori - tra la cifra 'comica' e il patrimonio di serietà che i protagonisti espongono al rischio calcolato della vanificazione».
La verità è che il terreno comune di incontro (e di amicizia e collaborazione) va ben oltre la complicità comica e narrativa di episodi come quello di Carpi. Gli studi hanno pian piano ricostruito il rapporto fra Machiavelli e Guicciardini, e hanno dimostrato che i due avevano non poche opinioni in comune, che si frequentarono a lungo, portarono avanti un impegnativo dialogo intellettuale, si influenzarono a vicenda. Qualche studioso ha insistito sull'influsso esercitato da Machiavelli sul più giovane Guicciardini, e ha parlato di Guicciardini come «del primo dei machiavellisti». I lettori si sono scaltriti e trovati più volte a cogliere, nelle pagine distese della Storia d'Italia o in quelle concentrate dei Ricordi degli improvvisi e guizzanti momenti machiavelliani; così come hanno di molto problematizzato la coerenza ideologica e di pensiero di Machiavelli e colto qua e là, nelle lettere, in alcune pagine delle Storie fiorentine, perfino dei Discorsi, dei momenti di indugio analitico guicciardiniano.
Effettivamente Machiavelli e Guicciardini impararono a conoscersi presto ed ebbero qualche frequentazione già nel periodo dell'impiego di Machiavelli nella segreteria soderiniana (quando Guicciardini era, giovanissimo, ambasciatore della Repubblica in Spagna). Il primo pensiero politico di Guicciardini e le sue prime prove di storico furono tuttavia del tutto indipendenti dalle prove parallele di Machiavelli. Quando, però, Machiavelli scrisse il Principe e i Discorsi, pur non essendo destinati alla diffusione, Guicciardini li ebbe molto presto fra le mani, le studiò e discusse, ne tenne conto nello scrivere (in particolare i due discorsi su Come assicurare lo stato ai Medici e il dialogo Del reggimento di Firenze), iniziò anzi a scrivere, attorno al 1529, le Considerazioni intorno ai Discorsi di Machiavelli sulla prima Deca di Tito Livio, un'opera rimasta frammentaria, interessante per l'analisi e il continuo contraddittorio delle idee di Machiavelli, talvolta noiosa e arida.

Basta la reciproca stima, l'attenzione alla carriera e ai pensieri dell'altro, la costruzione di un'intesa «comica» per le serate insieme e le lettere spedite sulla spinta dell'umore, per poter parlare di «amicizia»? Forse non basta, ma a rafforzare il rapporto fra Machiavelli e Guicciardini ci fu un dialogo intellettuale che fu molto più sottile e profondo di quanto si creda, anche in scritti non dichiaratamente dedicati al confronto sistematico delle posizioni. L'opera stessa di storico di Guicciardini sarebbe stata probabilmente diversa se non ci fosse stato, a ispirarne molti atteggiamenti e posizioni l'opera di teorico e di storico di Machiavelli.

il manifesto, 31 agosto 1990

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