7.7.14

La vita rivoluzionaria di Frederick Engels (Franco Romanò)

Per il sito “overleft” Franco Romanò ha recensito nel 2011 una nuova biografia di Engels (Tristram Hunt, La vita rivoluzionaria di Frederick Engels, ISBN, Milano 2010). Riprendo qui l'ampio e interessante articolo. (S.L.L.)

1.
“Byron e Shelley, erano letti solo dalla classe operaia perché in casa di un borghese erano disdicevoli.” Questa affermazione di Engels, citata da Hunt in questa biografia ci dà subito la cifra del libro: una meticolosa ricognizione della formazione del pensiero di Engels e delle sue osservazioni ‘sul campo’ o sarebbe meglio dire sui diversi campi (da manager dell’azienda di famiglia, a soldato e stratega durante la sollevazione prussiana, all’apprezzamento - da vero intenditore - del vino di Provenza, fino all’organizzatore che porterà alla nascita del Partito socialdemocratico tedesco), sembrano costituire un unico modo di procedere da parte di una personalità che faceva dell’esperienza diretta il suo vero campo d'azione. In questo senso, dal libro emerge quello che già si sapeva ma che trova verifiche puntuali e meticolose: la sua complementarietà con Marx, diversissimo da lui, l'accettazione senza invidia (solo con qualche sofferenza durante il periodo ‘manageriale’ della sua vita che Engels subì per mantenere economicamente l'amico), del ruolo di spalla, sottolineata da una frase che ricorre più volte nel libro: "… Marx era un genio, noi altri al massimo avevamo talento…”.
Tornando all'affermazione citata, l’ho trovata sorprendente di primo acchito, eppure se si pensa alla cura che nelle sezioni del partito comunista (parlo anche di quello italiano) aveva la parte letteraria dell’educazione di massa (sarebbe davvero interessante, una ricerca specifica sulle biblioteche delle sezioni), non può stupire più di tanto, se non per il fatto che si parli di poesia, mentre era certamente maggiore l’attenzione dedicata alla narrativa perché fisiologicamente più didattica. Il quadro che emerge dal libro, comunque è quello di un movimento operaio inglese già fortemente organizzato nelle società di mutuo soccorso, in tutto l’arcipelago di organizzazioni oweniane, che Engels a detta di Hunt non disprezzava per nulla. Con Owen, infatti, mantenne un rapporto durante tutta la vita, anche quando il marxismo si fece scientifico da utopistico che era.

2.
Piccola parentesi sul merito della citazione iniziale. Byron per noi oggi, oltre che incarnare il tipo di una certa eccentricità aristocratica, ci ricorda pure l’ideale borghese e romantico dell’intellettuale e del poeta martire della libertà, che muore combattendo in Grecia, patria di tutti i poeti. Apparentemente un personaggio lontano dalla sensibilità operaia e invece la mancanza di moralismo permette all’operaio di infischiarsene che fosse un signore noto per avere molti debiti e per costruire case senza il tetto (con gli effetti prevedibili in una clima come quello inglese), ma pur sempre un benestante rispetto a chi passava fino a 17 ore in fabbrica: l’operaio guardava ai suoi versi epici, seppure a volte bruttini, ma sempre popolari e al richiamo rivoluzionario che essi contenevano, seppure di una lotta di liberazione nazionale. Stupisce di più Shelley, di lettura assai più difficile, ma certamente considerato più pericoloso e tenuto d’occhio dai servizi di sicurezza, tanto che si arrivò a ipotizzare dal parte di qualcuno che il famoso viaggio in barca da Livorno a Lerici, fosse stato vivamente consigliato in previsione della tempesta, piuttosto che sconsigliato, da parte di qualcuno interessato alla sua scomparsa. Leggende, probabilmente, ma che potevano avere un aggancio nelle idee di Shelley. Che la borghesia inglese, invece non li amasse è quasi ovvio: da un lato doveva far dimenticare il suo trascorso rivoluzionario dei primi decenni del ‘600, la decapitazione di Carlo Primo e la dittatura repubblicana di Cromwell; poi non amava la poesia in generale perché la considerava pericolosa, inutile e improduttiva mentre aveva investito molto sulla prosa come strumento di educazione delle masse, almeno la parte meno codina.

3.
Si capisce molto bene leggendo il libro, il senso di una frase peraltro famosa, e credo pronunciata da Lenin e cioè che il marxismo era filosofia classica tedesca ,capitalismo inglese e politica francese. Leggendo Hunt si comprende che senza il bagno di realtà compiuto sia da Engels sia da Marx a Londra e Manchester, il comunismo tedesco sarebbe rimasto solo un edificio teorico, una speculazione filosofica o poco più: tesi avallata da Hunt stesso. In questo senso il contributo maggiore di Engels, per come emerge anche da queste pagine, è proprio La situazione della classe operaia in Inghilterra, un libro assolutamente geniale e prezioso che fornì a Marx un materiale enorme per far fare un passo avanti alla teoria. La biografia dedica molte pagine a questo libro e fa bene. L’opera, tuttavia, non nasce dal nulla, nel senso che Engels è un maestro del reportage come dimostrano anche le precoci Lettere dal Wuppertal pubblicate sul Telegraph nel 1839. Anche alcuni dei principi teorici che saranno fatti propri da Marx ed elaborati da lui, hanno la loro prima formulazione in Engels e in questo libro: per esempio, l’idea che la classe operaia emancipando e liberando se stessa avrebbe liberato ed emancipato ogni altra forma di oppressione è di Engels e non di Marx, che naturalmente la fa propria condividendola in pieno; ma ciò che è interessante e che emerge più volte dal libro, è che tutte le riflessioni teoriche di Engels nascono da una profonda esperienza diretta sul campo. Diverso il discorso quando il nostro si occuperà di filosofia e antropologia: Hunt ne parla nell’ultima parte del libro, su cui ritornerò. Insomma, il nesso teoria prassi che verrà elaborato da Marx prendendo il nucleo centrale della filosofia di Fichte e inserendola nel suo sistema, ha in Engels un seguace direi naturale, dotato di una grande capacità e profondità d’osservazione. Anche la genesi del libro è importante e il biografo la ricostruisce, facendo emergere a sua volta la meticolosità di Engels nel raccogliere dati ed elaborarli; ma questo non sarebbe bastato perché quello che Engels riesce a fare è ancora di più e cioè combinare profondità d’indagine a descrizione e persino narrazione asciutta che non ha nulla da invidiare in certe parti alla prosa di Defoe, più che non a quella di Dickens cui è stato talvolta associato. Piccola parentesi italiana: nello scrivere un saggio su Verga, Capuana e Padula per un libro collettivo che uscirà presto, mi sono imbattuto in un libro assolutamente straordinario: si tratta di Gente di Calabria di Vincenzo Padula, un’analisi delle classi contadine nelle Calabrie pre e post unitarie davvero notevole, anch’essa capace di combinare una documentazione enorme con uno stile narrativo pregevole, tanto da non avere davvero nulla da invidiare al proprio contemporaneo più illustre: un altro dei tanti dimenticati italiani e chiusa la parentesi. Torniamo a Engels e al metodo e in particolare un aspetto: egli cita solo fonti ufficiali e avversarie nella raccolta di dati. Non è un’osservazione peregrina anzi è molto attuale perché è un metodo largamente abbandonato dalla pubblicistica di sinistra, dove l’auto citazione è la norma e dove il citare avversari è addirittura ritenuta sospetta.

4.
Engels, Owen e Carlyle. Al rapporto con Owen il libro dedica diverse pagine, disseminate nell’intera opera a testimonianza del fatto che Engels mantenne con lui un rapporto di stima che non venne mai meno; anzi, nell’ultima parte del libro, dove Hunt affronta tutta la tematica antropologica di Engels, egli sottolinea giustamente che certe affermazioni fortemente utopiche del nostro sono debitrici nei confronti di Owen e persino di Fourier. Altrettanto interessanti sono le altre frequentazioni dell’ambiente culturale londinese e inglese in generale da parte di Engels, molto meno di Marx che era un po’ un orso assai collerico con tratti di insofferenza molto marcati. Carlyle era un verde reazionario, rapportato ai nostri tempi un fondamentalista che inorridisce se mangi carne d’agnello ma che non alza neppure un sopracciglio su tutto il resto. Però era anche un grande sociologo e insieme a Ruskin, durante l’intero ‘800, e preceduto da Burke, un critico che definirei di nuova generazione. Questi tre, infatti, sono i primi critici della cultura, non semplicemente, d’arte, di letteratura ecc., i primi di quella tipologia di intellettuale moderna che nel ‘900 sarà ben rappresentata da Walter Benjamin, per esempio. Ancora una volta a Engels interessa capire la cultura borghese: io non so bene come nasca in tempi recenti il culto per la cosiddetta cultura alternativa, che è estranea al modo di procedere di Engles e anche di Marx, che infatti scrisse che secondo lui la classe operaia tedesca era l’erede della filosofia classica tedesca e non certo del folklore o della cultura popolare.

5.
Il capitalista industriale Engels. È la parte più sofferta della sua vicenda biografica, ma niente affatto contraddittoria se la si segue bene dall’inizio come fa puntualmente Hunt. Engels, è in rotta con la famiglia da sempre (gli Engels avevano una fiorente industria cotoniera, una multinazionale per i tempi, visto che possedevano molte filiali all’estero e precisamente in Inghilterra dove Engels lavorerà) e cercò più volte di emanciparsi completamente da essa: seguendo Hunt si comprende che se avesse dovuto badare esclusivamente a se stesso, la sua rottura definitiva sarebbe avvenuta assai prima. Il problema è che Engels mantenne Marx per tutta la vita, non essendo il primo in grado di farlo, tenuto conto di tutta una serie di ragioni ben note: la salute assolutamente precaria, la sua totale incapacità di gestire un bilancio famigliare, una famiglia numerosa e falcidiata da problemi di ogni genere a parte le morti precoci, il fatto che si dedicasse al lavoro teorico in modo totalizzante. Vorrei capirla meglio questa storia della miseria di Marx secondo Attali perché, se s’intende che il Moro non era in grado di badare a se stesso la cosa è assolutamente vera, ma è pur vero che Engels lo mantenne sempre fino al punto di tornare a Canossa, riconciliarsi con la famiglia e accettare l’incarico di amministratore nella filiale inglese dell’industria degli Engels. Fu il momento più sofferto della sua vita e gli si può credere perché quando non fu più necessario non rimase in azienda un giorno di più, nonostante la stima di cui era circondato per la sua capacità lavorativa: il libro di Hunt comincia proprio con la testimonianza di Eleonor Marx sull’ultimo giorno di lavoro di Engels: “Ero con Engels quando arrivò la fine dei suoi lavori forzati e capii cosa doveva aver passato per tutti quegli anni… Non dimenticherò mai l’aria trionfale con cui, quella mattina, esclamò «per l’ultima volta!» mentre si infilava gli stivali per andare in ufficio. Qualche ora dopo lo stavamo aspettando al cancello. Roteava il bastone da passeggio e cantava, il volto raggiante. Poi apparecchiammo la tavola per festeggiare e bevemmo champagne felici.”

6.
Engels stratega militare e fondatore del partito socialdemocratico tedesco. I due aspetti vanno presi in considerazione insieme. Engels partecipò ai moti insurrezionali della Prussia, rivelando capacità militari notevoli non solo sul campo ma anche nel capire la strategia bellica. Invece, durante quei moti, ebbe uno scarsissimo ruolo politico, tanto che torna da quell’esperienza definendola una farsa. Hunt ricorda che Marx gli fece notare che “se tu non avessi partecipato a quella farsa, noi oggi non potremmo dire la nostra su quegli avvenimenti”. Emerge qui un punto cui il biografo non dedica a mio avviso tutta l’importanza che ha e sarà invece una costante: il nesso teoria prassi ancora una volta. Per Marx la conoscenza non può procedere per via solamente astratta, sebbene sia detta da uomo che dedicò quasi interamente al sua vita alla teoria: però proprio l’intuizione che il concetto fichtiano di praxis era essenziale (più che non certi slogan a volte forieri di equivoci come quello famosissimo “i filosofi hanno descritto il mondo ora si tratta di cambiarlo”)e strategica: lo si vedrà nel caso della Comune di Parigi. Problema attualissimo anche questo, quando molto pensiero che contemporaneo che si rifà e dice di rifarsi a Marx è solo un’esegesi del suo pensiero, oppure la produzione di analisi sempre più raffinate ma incapaci di produrre o di nutrirsi di una qualsiasi prassi, anzi tenendosene volutamente alla larga. Quanto all’organizzatore, Hunt ricostruisce pazientemente il percorso più squisitamente politico di Engels, prendendo le distanze nell’ultima parte (secondo me giustamente) da alcune sciocchezze. Hunt ricorda un giudizio lapidario (per smontarlo) che suona così: “Senza Engels non ci sarebbe stata l’Unione Sovietica”. Engels aveva capacità organizzative e politiche che permisero di far nascere il partito operaio tedesco, facendo uscire il comunismo dall’ambiguità movimentista. Fino a quel momento avevano definito i comunisti come avanguardia di un movimento più vasto (avanguardia nel senso di parte più attiva e determinata ma niente di più), ma l’esperienza (ancora una volta il nesso essenziale teoria-prassi) della Comune di Parigi li spinse a tagliar corto: la favola di un Marx movimentista e di un Engels che è il germe della peggiore burocrazia sovietica è stata talvolta raccontata ma non ha nulla di consistente. Fino alla Comune di Parigi, il problema dell’organizzazione dei comunisti non viene considerato essenziale da nessuno dei due, dopo sì e da entrambi. Marx, però, non aveva le capacità di Engels e neppure il suo buon carattere e la pazienza che ci vuole a costruire un’organizzazione politica e infatti s’impicciò pochissimo delle vicende interne al partito e più in generale alle questioni politico-organizzative: intervenne solo per lo scioglimento della Prima internazionale e per la critica al programma di Gotha. La celebre citazione latina con cui il libro si conclude però (dixi et servavi animam meam) è sufficientemente ironica e autoironica da lasciare intendere che Marx sapeva benissimo che fondare un partito implica anche capacità di mediazione, di confluenze fra correnti diverse; pur dicendo chiaramente ciò che pensava sapeva altrettanto bene che il partito tedesco, nasceva assai poco comunista, fortemente condizionato dalle filosofie evoluzioniste e positiviste di Bernstein, e pur tuttavia era importante che nascesse. Quanto alla strategia e alla tattica del partito, Hunt mette bene in evidenza l’atteggiamento fortemente pragmatico del Gran Lama. La continua espansione del partito e i suoi successi elettorali inducono Engels, agli inizi degli anni ’90, a ipotizzare addirittura, per la Germania, la possibilità di un accesso al potere della classe operaia in modo legale e con le elezioni a suffragio universale: “Noi i rivoluzionari stiamo avendo risultati di gran lunga migliori con i metodi legali che con la sovversione...”. Non è una posizione irreversibile e anzi, Engels avverte come questo gli sembra possibile solo in Germania e a certe condizioni che potrebbero venire meno, ma ciò che è interessante è proprio l’atteggiamento flessibile, per nulla dogmatico. Ciò che Engels non smetterà mai di mettere in luce è che l’azione politica è sempre e per definizione un intreccio fra azione legale e non, questione sepolta dalla sinistra di struzzi odierna. Detto questo è quindi un po’ temerario sostenere che Engels sarebbe il nonno dell’Unione Sovietica, che non sarebbe nata senza Lenin e senza una concezione del partito ancora diversa e forse in parte estranea sia a Marx sia a Engels, perché il vero ispiratore del partito leninista sono piuttosto i giacobini francesi.

7.
Engels filosofo e antropologo. Si tratta del capitolo più affascinante e contraddittorio dell'opera: affascinante perché è in questo Engels che si trovano le visioni più utopiche, ma è anche l'Engels più problematico e scisso. Utopico perché neppure in Marx si trova un'affermazione perentoria come questa: “Nella famiglia l'uomo è la borghesia la donna il proletariato, con risultati prevedibilmente crudi e spesso letali.” Lo stesso uomo però ironizza in modo pesante e assolutamente misogino su Annie Besant e altre socialiste dell'epoca: il loro tratto di signore borghesi era certamente criticabile, ma Engels lo fa con un tono che tradisce la sua misoginia: in fondo Owen aveva gli stessi difetti ma il Gran Lama lo tratta in modo diverso. Il suo errore di fondo a livello antropologico, fu quello di prendere per oro colato Morgan sugli Irochesi. Morgan non era un ciarlatano, ma neppure uno scienziato: amava talmente i suoi indiani che vedeva nelle loro istituzioni anche quello che non c'era, ma Engels non se ne accorse e lo prese alla lettera. Tuttavia, rimane indiscutibile il fatto che Engels aveva negli scritti antropologici una visione del socialismo come complessità lontana dall'economicismo, attenta quanto mai ai rapporti sociali; purché si chiuda un occhio sulla misoginia!

8.
Engels curatore delle opere di Marx. Si trattò di un’impresa colossale, nella quale si calò con la consueta dedizione, dal momento che la vista non era più quella di un tempo. Marx aveva una scrittura semi incomprensibile e numerosi difetti. Gli unici momenti di sconcerto e di insofferenza nei confronti dell’amico di una vita Engels li provò proprio nei confronti del modo di scrivere di Marx: intervenne più volte quando era ancora in vita per sollecitarlo a portare a termine il libro secondo e terzo del capitale, affranto ogni volta dal fatto che l’altro tergiversava oppure divagava. Marx era un grande scrittore solo quando diventava polemista acceso, oppure nei testi filosofici o in certe fulminanti sintesi. Nella scrittura del Capitale era prolisso, si perdeva in divagazioni inutili, lo stile era sciatto ed Engels lo mette in luce. Ricorre anche all’aiuto di Bebel perché vuole far capire quale sia la difficoltà di curare quelle parti dell’opera. La porta a termine con un sospiro di sollievo circondato da polemiche a non finire; le correnti ostili anche all’intero del mondo socialista lo accusarono di averne manipolato i testi ma Hunt ridimensiona tutto ciò riportando il tutto alla obiettiva difficoltà d'interpretazione, di cui anche altri furono testimoni. In ogni caso Engels ritenne sempre che l’aver portato a termine il lavoro di cura delle opere di Marx fosse il suo compito più importante; soltanto dopo averlo adempiuto il “secondo violino”, espressione usata da Hunt stesso, “si rivelò un primo violino.”

9.
Engles, Marx e alcuni luoghi comuni. Fra i meriti di Hunt c’è anche quello di ricostruire puntualmente la genesi di una battuta di Marx, passata troppo alla storia e origine di troppe leggende e interpretazioni fuorvianti. Mentre entrambi erano alle prese con le teorie di Duhring, uscì un libretto di un tale che Marx lesse reagendo alla fine con una delle sue solite e proverbiali sfuriate colleriche. Durante tale filippica pronuncia anche la famosa frase “Se gira questa roba io non sono marxista”. La frase puntualmente ricostruita da Hunt passa alla storia nella forma più lapidaria possibile e cioè Marx non era marxista, vulgata da leggenda metropolita che travisa prima di tutto la frase stessa e il contesto in cui viene pronunciata: credo che a chiunque di noi siano sfuggite frasi simili per cose analoghe e anche meno importanti, solo che per i grandi personaggi storici non diventano celebri solo le battute o gli slogan straordinari (un fantasma si aggira per l’Europa, oppure proletari di tutto il mondo unitevi), ma anche le frasi più o meno estemporanee e non sempre felici. Hunt fa bene a ridimensionare questa riconducendola prima di tutto al suo contesto che le dà un senso profondamente diverso da come viene tramandato e cioè una critica anticipata al travisamento del suo pensiero. Vorrei aggiungere però qualcosa di più come commento mio. Certo che Marx non era marxista, ma in un altro senso: perché era comunista! Infatti scrisse insieme a Engels il Manifesto del Partito Comunista, non del partito marxista! Oggi questa precisazione vale ancora di più che allora perché in certo senso marxisti lo sono diventati un po’ tutti! Un esempio puramente linguistico: quando la presidente della Confindustria Marcegaglia parla di mercato del lavoro probabilmente non sa o non le viene in mente che senza Marx ed Engels tale espressione non esisterebbe neppure! In quanto scienziati sociali che hanno cambiato il linguaggio dell’economia e non solo, il lessico di entrambi e anche un certo modo di porsi dell’analisi sociale è oggi fatto proprio da molti: anche Tremonti è un po’ marxista così come pure il Papa è diventato galileano: ma il primo dei due non è comunista e il secondo, se potesse, processerebbe i Galileo di oggi!

10.
Engels e le donne. Si tratta del capitolo più spinoso, costellato di molte zone d’ombra e dal sospetto di una violenza. Il biografo ricostruisce puntualmente tale vicenda ma è costretto a fermarsi su una soglia di reticenza che riguarda tutto l’ambiente socialista londinese e non, un segreto protetto anche dalle donne, tanto che la figlia di Marx parlandone o la stessa Jenny si riferiscono sempre a un fatto increscioso, ma senza mai entrare nel dettaglio. Quello che mise però in imbarazzo più di ogni altra cosa gli ambienti socialisti (bisogna dire a onor del vero che l’episodio increscioso era a conoscenza di un numero ristretto di persone e militanti), fu la sua relazione con Mary Burns, che era una dipendente degli Engels. Va pure detto che tale relazione, pur frammezzata da altre storie, periodi in cui si lasciavano per poi ritrovarsi, durò tutta la vita. Come sempre l'ipocrisia se la prende con la pagliuzza ma dimentica la trave!


in “sinistra in rete” da “overleft”, 2011

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