12.7.14

Amadeo Bordiga. Aspettando la Rivoluzione (Massimo L. Salvadori)

Stalin non era solito distribuire complimenti. Per questo fa ancor oggi impressione leggere quanto disse di Bordiga, quando questi era già una pecora nera. Sbeffeggiando altri oppositori, accusati di doppiezza, Stalin assumeva a misura di rettitudine proprio Bordiga, che, affermò, andava «rispettato» e a cui bisognava «prestar fede» poiché «egli dice ciò che pensa». Eppure, nonostante le qualità di coraggio, onestà e capacità di suscitare forte simpatia umana, che oggi sappiamo gli erano unanimemente riconosciute da coloro con i quali combatté la battaglia rivoluzionaria prima della sua espulsione dal PC (della cui fondazione era stato il maggiore artefice), Bordiga venne trascinato da Togliatti e dai suoi, nel clima dello stalinismo trionfante, in un fango morale e politico.
Nel bilancio dei primi Trenta anni di vita e di lotte del PCI, tracciato sotto la supervisione di Togliatti, Bordiga appariva come un Trozkij del comunismo italiano, un controrivoluzionario, un vigliacco, un venduto. Poi, nel clima della destalinizzazione e a confronto con la dura oggettività dei documenti salvati da Tasca, fu lo stesso Togliatti a porre nel 1960 le basi di una revisione di giudizio. Nella sua Storia, Spriano ha segnato un netto distacco dalla mitologia negativa, e anche volgare, in cui Bordiga era stato avvolto dal Pci. E un altro comunista, Franco Livorsi, con il suo Amadeo Bordiga (1889 -1970) (Editori Riuniti, pp. 469, lire 6.500), ci ha finalmente dato un compiuto lavoro sul capo e teorico comunista, al quale Andreina De Clementi nel 1971 aveva già dedicato una monografia.
Marxista senza dubbi e incertezze, Bordiga era un convinto determinista, e da siffatto determinismo teorico derivò il suo stile di militante: attivissimo nella fase che sentiva di avanzata della rivoluzione; capace di reggere il totale isolamento, con caparbia e pedagogica indifferenza verso borghesi e «falsi rivoluzionari», nelle fasi che giudicava di irrimediabile riflusso, senza mai perdere fiducia nel destino, come ebbe a scrivere poco prima della morte in una lettera del 1969 a Terracini, della immancabile «nostra rivoluzione, plurinazionale, monopartitica e monoclassista, ossia soprattutto senza la peggiore muffa interclassista: quella gioventù così detta "studente"».

Determinismo teorico
I punti di tale dottrinarismo deterministico possono essere fissati attraverso alcune affermazioni capitali di Bordiga stesso, come le seguenti: «Noi non crediamo alla influenza che esercitano negli avvenimenti gli uomini vivi; crediamo ancor meno a quella dei morti» (1914) ; «Corollario del principio della lotta di classe è l'assoluta intransigenza tattica e l'esclusione di ogni accordo, anche temporaneo, con classi e partiti 'borghesi» (1918) ; «Al momento decisivo della sua storia la borghesia (...) si difende attraverso i campioni del metodo socialdemocratico» (1919) ; «La classe presuppone il partito (...). La vera e l'unica concezione rivoluzionaria dell'azione di classe sta nella delega della direzione di essa al partito» (1921).
Spinto da una concezione tanto semplificata quanto vigorosamente sostenuta del marxismo, Bordiga fece scelte pratiche intransigentemente coerenti. Negli anni dell'ascesa rivoluzionaria fra la guerra e il biennio rosso, egli fu in tappe successive il fautore di una linea vicina a quella di Lenin, di trasformazione della guerra della borghesia in guerra civile; il critico implacabile delle debolezze del massimalismo socialista; l'organizzatore più attivo e autorevole della corrente comunista nel Psi, la cui funzione concepiva secondo criteri di «primato» del partito i quali lo portarono a polemizzare, sul tema del rapporto consigli-partito, con Granisci, accusato di «spontaneismo» e di «sindacalismo». Fondato il partito comunista, Bordiga assistette allo sfacelo dello Stato liberale, alla crisi socialista e all'avvento della reazione fascista, attendendo che tutti questi elementi trovassero il loro comun denominatore storico nella dimostrazione dell'impossibilità di altra soluzione per la società che la rivoluzione proletaria e quindi nella espansione della forza di ricomposizione sociale di un PC incrollabilmente attestato sulle sue posizioni, quasi notaio dell'avvenire socialista.

Nessuna alleanza
Allorché il fascismo prese il potere, giudicando i regimi antirivoluzionari alla luce del solo «cui prodest» rivoluzionario, negò che il partito dovesse elaborare altra strategia che quella dell'«attesa» intransigente del maturare delle condizioni necessarie alla rivoluzione; e non solo combatté ogni ricerca di alleanze da parte del partito con altre forze politiche, ma respinse come «laburismo » ogni strategia «intermedia», scontrandosi infine su questo terreno nuovamente con Gramsci. Quando il fascismo da un lato e l'involuzione staliniana dall'altro si consolidarono (nel 1926 aveva avuto un celebre scontro con Stalin, che criticò apertamente per essersi messo a capo di un socialismo «nazionale» tale da sacrificare la rivoluzione mondiale) Bordiga, espulso nel marzo 1930 dal PC, si isolò senza incertezze.
Continuò a guardare incessantemente nel «cielo» della storia, interpretandone i «segni», per scorgervi la ricomparsa della buona stella e tracciare l'itinerario dell'astro della rivoluzione nuovamente e definitivamente trionfante. Il modo in cui trasse la lezione dalla lettura degli astri fece scandalo fra i suoi ex compagni. Fecero scandalo il suo appartarsi di fronte al regime fascista e la sua opposizione allo stalinismo; fece scandalo soprattutto il fatto che durante la seconda guerra mondiale, fedele al «suo» marxismo rivoluzionario, avesse considerato la grande coalizione antifascista con gli stessi occhi con cui aveva considerato l'altra coalizione: entrambi schieramenti imperialistici; più pericoloso il primo perché dotato, attraverso il «democraticismo», di maggiore carica di «integrazione» delle masse lavoratrici.
Poche personalità della storia del movimento operaio appaiono, a mio avviso, più incastonate nella loro storia, e anche più bruciate da essa, di Amadeo Bordiga marxista. Quel che però rimane di lui per un verso è un «tipo» storicamente significativo e per l'altro una testimonianza di imperturbabile e «spinoziano» atteggiamento mentale.


“la Repubblica”, 29 maggio 1977

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