L'indimenticabile direttore Carlucci |
Il cinema, quello di ieri
ancor più che di oggi, quello di sempre, naturalmente pullula di
alberghi. Grandi alberghi di lusso celebri e riconoscibili: il Ritz
piuttosto che il George V, il Grand Hotel di Rimini o quello di
Cortina, l'Excelsior di Roma e quello del Lido di Venezia, così come
i grandi hotel-casinò di Las Vegas; ma anche, e soprattutto, anonimi
hotel (ultimo quello parigino di Une liaison pornographique,
complice dei misteriosi giochi erotici della coppia protagonista),
modeste pensioni, tristi locande e motel di passaggio
(indimenticabile quello di Norman Bates in Psycho) o semplici
stanze in affitto, che fanno da sfondo ad avventure e passioni,
delitti e incontri fatali, intrecci spionistici e commedie degli
equivoci.
Cominciamo infatti con
l'annotare che l'albergo, come ambientazione, come location e
come suggestione, o come necessità narrativa, è il principe di
alcuni generi codificati. La spy story è uno di questi, ma è
la sophisticated comedy, la commedia sofisticata in tutte le
sue diverse e successive espressioni - dal Lubitsch di Mancia
competente e di Partita a quattro, ad alcuni film di Billy
Wilder, dalle numerose reincarnazioni del ladro gentiluomo su sfondo
giallo-rosa (il Cary Grant dell'hitchcockiano Caccia al ladro
opera in Costa azzurra, tra Montecarlo e la Croisette) a tutte le
versioni più moderne e nevrotiche dello stesso genere uscite dalla
penna del commediografo Neil Simon - la regina incontrastata di un
cinema dove c'è "gente che va e gente che viene", dove
molte porte si aprono e si chiudono, dove da fastose suite si ordina
champagne dopo essere rientrati carichi di pacchi provenienti da
famose sartorie parigine e gioiellerie newyorkesi, e dove compiacenti
portieri o direttori d hotel - da quello di Pretty Woman a
quello di Il laureato, all'indimenticabile Carlucci di Che
cosa è successo tra mio padre e tua madre girato da Wilder a
Ischia - osservano sornioni, consigliano discreti, guidano dall'ombra
come perfetti uomini di mondo.
Ma c'è un archetipo, e
si chiama inequivocabilmente “Grand Hotel”. È quello dove, nel
film omonimo del 1932, Greta Garbo e John Barrymore, Joan Crawford,
Wallace Beery e altre star di prima grandezza dell'epoca, intrecciano
strazianti destini sullo sfondo di una Berlino caotica e tentacolare
e dove, tra gente che va e gente che viene, appunto, baroni decaduti
e topi d'albergo, ballerine russe sull'orlo del suicidio e giocatori
d'azzardo, cercano ciascuno la propria ancora di salvezza al centro
di un mondo sconvolto dal rumore delle armi e in corsa verso un
ancora peggiore catastrofe. Sempre la stessa Berlino grande capitale
messa in ginocchio dalla sconfitta del 1914-1918, era stata
protagonista di un'altra memorabile prova di, come dire?, "cinema
alberghiero". Era il 1924 e il cinema non parlava ancora, ma la
mimica ridondante e la gestualità enfatica, lo sguardo mobile e
magnetico di Emil Jannings, il professor Unrath di Marlene-Angelo
Azzurro, non si possono dimenticare; la parabola del portiere dalla
livrea gallonata dell'hotel Atlantic, degradato per vecchiaia a
custode delle toilettes, è la stessa di un impero umiliato ma non
rassegnato a ripiegare su un ruolo da comparsa della storia. Ma qui
nel film L'ultima risata ovvero Der Letze Man c'era la
mano di Mumau, cioè di un grandissimo regista.
Un giro del mondo, e
degli alberghi, in compagnia del cinema? Anche se quelli irreali, o
quelli che c'erano e non ci sono più, o quelli che fanno da spunto o
da riferimento o da pretesto sono più di quelli reali e
riconoscibili, è possibile, come no. Si sa che uno dei luoghi
massimamente felliniani è il Grand Hotel di Rimini e il regista lo
ha ricordato nel suo Amarcord così come i grandi alberghi di
via Veneto sono corposa presenza d'ambiente nelle scorribande
notturne delle Dolce vita, mentre l'artificio di Otto e
mezzo rimanda a tante riconoscibili situazioni da stazione
termale (come anche Oci ciorne, il bel film di Mikhalkov con
Mastroianni). Venezia, poi, soprattutto quella decadente del Lido.
Quella del viscontiano Morte a Venezia dove l'incontro tra von
Aschenbach e Tadzio si svolge sulla spiaggia del Des Bains. Come
quella della spiaggia e dei capanni moreschi dell'Excelsior , presa
in prestito da un'ambientazione in realtà tutta americana per il
tète-a-tète dal tragico epilogo tra De Niro ed Elizabeth McGovern
da Sergio Leone nel suo capolavoro C'era una volta in America.
Cortina e in particolare
il suo Grand Hotel sono scenario di tanti film, da La pantera rosa
a Vacanze d'inverno di Camillo Mastrocinque, modello molti
anni dopo di tanti epigoni chiamati Vanzina, Oldoini, Neri Parenti
per i loro filmetti vacanziero-natalizi. Dalla Firenze di Camera
con vista alle perle dell'arcipelago partenopeo, ai nuovi ricchi
della Costa Smeralda delle Vacanze intelligenti di Sordi
fruttarolo romano e signora che riprendeva lo stesso personaggio già
interpretato dal comico in un episodio di Le coppie: l'Italia
dà il suo bel contributo al tema. E la Sicilia, poi, quella di
Taormina in particolare: stazione inevitabile del pellegrinaggio il
San Domenico dove Ferzetti e la Vitti protagonisti dell'enigmatica
storia che apriva la celebre trilogia dell'incomunicabilità di
Antonioni, si ritrovano alla fine dell'Avventura.
Ma il mondo è grande, il
cinema pure, e innumerevoli potrebbero essere i capitoli di questa
ricognizione. Complice la scrittura brillante e nervosa di Neil Simon
ci ritroviamo al Plaza di New York in Appartamento al Plaza (Plaza
Suite, con l'impareggiabile Walter Matthau) o al Beverly Hills
Hotel evocativo di glorie hollywoodiane in California Suite,
tratti entrambi dalla medesima commedia. Assai più esotici
suggerimenti portano con sé le promesse di mistero tropicale e di
riparo ombroso all'umida calura habanera e di suggestiva sospensione
tra prima e dopo la Revolution castrista, il monumentale Hotel
Nacional che fa capolino in Havana con Robert Redford o l'antico
Sevilla nella città vecchia frequentata dal Nostro agente
all'Avana, impersonato con un tocco originale di britannico
umorismo da Alec Guinness nel film ispirato al romanzo spionistico di
Graham Greene.
L'inventario potrebbe non
aver mai fine, tra la Parigi di Sciarada (deliziosi Cary Grant
e Audrey Hepbum) o di Frantic, e la Barcellona di Professione
reporter, o la Lisbona "città bianca" e ripida di
Alain Tanner, o la Francia popolare e nebbiosa di Carnè, o l'India
coloniale riportata in auge dal grande David Lean ispirato da Forster
o l'Egitto galleggiante del Poirot di Assassinio sul Nilo. Ma
concludiamo invece con un'immagine recentissima, quella del degradato
e folle One million dollar hotel, wendersiano omaggio a
un'umanità di reietti, che non troverete in nessuna guida turistica.
“i Viaggi di
Repubblica”, 6 luglio 2000
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