NAPOLI
Dopo quelli di Riace,
l'archeologia ci restituisce un altro bronzo; un cavaliere sul suo
cavallo. È stato trovato a Miseno e sarà visibile al pubblico a
partire dal 18 giugno prossimo nel museo di Napoli. Niente a che
vedere con i Riace: qui l'impatto è di tutt' altro genere. Manca
buona parte del corpo del cavallo e questo crea dei punti di vista
obbligati. Da dietro, per esempio, le gambe divaricate e nervose di
questo cavaliere verde, la corta tunica al vento, la mano che tira le
briglie, il busto che si getta indietro per bilanciare l'impeto del
cavallo, creano una forte sensazione di movimento. E anche
frontalmente c'è molta agitazione: per l'improvviso strattone il
cavallo si è impennato, ha sollevato ambedue le zampe anteriori; la
testa, poi, così scattante e nervosa, le vene a fior di pelle e le
froge dilatate, è davvero straordinaria.
Invece è la faccia del
cavaliere che lascia interdetti: non è affatto un giovane, è un
signore d'età, dal naso aquilino, gli occhi piccoli, le palpebre
pesanti. Chi è? È l' imperatore Nerva, settantenne; ma è anche
Domiziano; ed è anche Alessandro Magno. Come siano confluite tre
persone in una sola statua non è difficile da spiegare: l'imperatore
Domiziano, che scatenò il terrore ma fu anche un grande
conquistatore, essendo, come tutti i Flavi, basso e grassottello, si
fece rappresentare col corpo di Alessandro Magno, copiando una famosa
statua in cui il re macedone con una mano frena il cavallo e con
l'altra scaglia un giavellotto. Solo la testa era un vero ritratto di
Domiziano.
Però poi Domiziano fu
assassinato e le sue statue abbattute. Ma non questa. Qui si fece un
lavoro di trapianto: la testa di Domiziano fu tagliata in due come un
melone e la parte anteriore sostituita con la faccia di Nerva. Col
risultato che, a guardar bene la testa del cavaliere, i capelli sono
per metà quelli di Domiziano e per metà quelli di Nerva.
Le storie delle vecchie
scoperte archeologiche avevano quasi sempre lo stesso inizio: un
contadino stava arando il suo campo quando, improvvisamente, il bue
sprofondò in una voragine.
“la Repubblica”, 5 aprile 1987
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