«Erano più di una
cinquantina, e invasero il piccolo spiazzo d'erba sporca intorno al
trampolino: per primo partì il Monnezza, biondo come la paglia e
pieno di cigolini rossi, e fece un carpio con le sette bellezze: gli
andarono dietro Remo, lo Spudorato, il Pecetto,il Ciccione...»
questo il modo in cui Pasolini in Ragazzi di vita introduce
Pecetto, un border-line che ne diverrà negli anni a venire,
inaspettatamente, una
sorta di aedo omerico. 'Pecetto' perché il padre faceva il calzolaio
ed usava la pece per impastare e fissare le suole allo spago. E prima
di tornare alla vita civile a fare er carzolaro era finito al
confino a Ventotene insieme a Sandro Pertini per antifascismo. In
verità Silvio Parrello - queste le coordinate anagrafiche al riparo
del nick-name - è appartenuto a una fauna mista di viventi separat
da una linea di confine che divide da sempre i sommersi e i salvati.
Per motivi che neanche la sociologia qualche volta riesce a spiegare
data un'adolescenza vissuta nella banlieue in una promiscuità
molto poco letteraria e in contiguità con una fauna disancorata
dalla mensa dell'acculturazione e da un progetto di vita basato sulle
regole, Pecetto si è ritrovato dalla parte dei 'salvati'. Perché
Monteverde, attraversata dalla malinconia della lettera P, ha
allevato molti figli: da una parte i Pinna,i Proietti, i Pelosi, i
Placidi, l'anima nera del territorio dall'altra Pecetto appunto e,
perché no?, un artista come Dino Pedriali, allievo di Man Ray ed
accolito di Andy Wharol, quello stesso Pedriali che aveva immortalato
il poeta nella sua casa di Chia e di cui rese testimonianza un libro
fotografico ormai introvabile.
Un'opera di Silvio Parrello |
Pecetto scopre presto la
pittura ed è la cosa di cui si è meno parlato di lui, un'attitudine
innata soprattutto se si pensa ad un apprendistato assolutamente
autodidattico. La sua pittura prende le mosse dai macchiaioli per
approdare, attraverso Rousseau Il Doganiere e Kandinskij, a Marc
Chagall. Di Chagall ha il passo gioioso e leggero di una umanità in
fuga da un contesto prosaico, quasi un anelito, da una marrana che in
tempi eroici aveva costituito il fondale di una rappresentazione dove
aveva fatto irruzione la tragedia e la perdita dell'innocenza, per
questo virato in suggestioni oniriche che restituissero lo scempio di
un progrom cosacco o, nello specifico, l'alienazione delle realtà
periferiche. Eppure, se non si vorrà prescindere dalla sua essenza
autoriale, dalla sua individualità, dovremo prima o poi separarlo -
foss'anche per un attimo - dal mondo pasoliniano che lo ha espresso e
ricordarci di lui come un pittore di talento, un pictor maximus
che ha attinto alle corde e ai chiaroscuri di un tessuto urbano
degradato per librarsi in voli pindarici ma che gli consentono la
leggerezza di una gazza. Dovremmo, prima o poi, riportarlo alla sua
reale dimensione che non è quella, necessariamente, di poeta cieco,
ma piuttosto di un amanuense alla corte dei Medici.
Pecetto è, anche, un
poeta, un poeta che usa quartine baciate, con invadente e progressiva
naïveté dove l'oggetto del suo interesse è sempre il suo
famoso mentore che frequentò per anni prima che quello assurgesse ad
una notorietà planetaria. Ossessivamente il verso inciampa sulla
notte di novembre di 40 anni fa, sui sicari, sui complici
istituzionali, sul degrado dei Servizi che invece di proteggere la
società civile le remano contro per favorire l'insediamento di uno
Stato parallelo. Forse i suoi versi più disarmanti sono quelli più
lontani dall'esperienza letteraria, quelli che guardano ad una sorta
di ideale Timbouctou ora rasa al suolo dal cemento: «La nizza i
carrettini/la scuola crollata/il bagno giù ai piloni/è storia ormai
passata».
Esce oggi, per i tipi di
Art e Muse, David and Matthaus Edizioni, Poesie e pensieri per
Pasolini, un libro definito erroneamente 'saggio', ma piuttosto
una miscellanea di scritti che spaziano dal ricordo personale alla
poesia, fino ad arrivare all'invettiva sotto forma di denuncia frutto
di una sua personalissima indagine durata anni e nella quale dipana
in modo icastico una matassa ingarbugliata dalla Ragion di Stato.
Perché, come dice sempre con cantilenante esternazione, «la verità
non sta nelle aule dei Tribunali ma va ricercata nelle patrie
galere». Sono decine le figure che si sono avvicendate nel suo
studio di via Ozanam, spesso amici, agenti altre volte che lo
tenevano sotto controllo per indagare se lui sapesse i 'nomi'
disperando che poi li facesse. Perché il suo piccolo studio da
bohème è stato fatto segno di ladri comuni e arcigni doppiopetti
che lanciavano di tanto in tanto un input, ogni volta una sorta di
memento mori a prescindere solo nel caso che. Sono lontane le nuotate
nel Tevere allorché a bracciate larghe Pecetto tagliava il fiume in
diagonale, controcorrente, affiancato da Pier Paolo per andare a
rubare l'uva sull'altra sponda, quella sotto la Basilica di San
Paolo.
Ci sono, immortalate nel
libro, gesta epiche che ci ricordano Zampanò, come quella di
Pasolini che solleva una mucca: «Una mucca sollevata/sul monte di
Splendore/una forza smisurata/forse più di un lottatore». E qui si
fa fatica a separare l'epica e il sogno dalla realtà. Ma,
d'altronde, le gesta di Ulisse non costituiscono forse un impiantito
fantastico che introduce alla decodificazione di una realtà
altrimenti non decrittabile?
La memoria di Pecetto è
portentosa e lo porta a declamare pressoché l'intera opera poetica
del suo Maestro che recita con enfasi e compartecipazione. E in
questo ci ricorda Cicciu Busacca, il cantastorie che ci racconta,
solo per fare un esempio, la storia di Salvatore Giuliano con
strumenti più immediati del saggio politico esponendosi più
apertamente alle rimostranze e alla minaccia. Come un battitore
libero, senza più paura né speranze. Il suo studio diventa così
una sorta di sancta sanctorum dove tutto comincia e tutto si
ricompone, una sorta - questa sì - di memento mori al contrario dove
è lui a sfidare il Potere, a dire 'io so' pur non sapendo i nomi.
Estemporaneamente anche Pelosi gli fa visita in un tentativo fuori
tempo massimo di chiedere ed ottenere un improbabile perdono, come fa
recandosi al tempio colui che cerca di mondare i propri peccati.
Fatto sta che questo personaggio atipico, fuori dalle regole e
assolutamente non irreggimentabile rimane oggi una sorta di baluardo,
molto meglio di quei magistrati che si aggirano come lemuri, da anni,
intorno a un caso che NON deve essere risolto. Ma è questo l'atout
maggiore del Potere: far divertire i cantastorie che girino per i
paesi giocando all'invettiva e sopprimerli poi quando scoprono sicari
e mandanti. Proprio come è successo a Peppino Impastato. Il tema
dell'oblio è il preferito dal Potere.
Quando la Giustizia non può o non deve fare il suo corso i lunghi anni trascorsi concorrono ad avvelenare i pozzi, a rendere i contorni di un avvenimento sbiaditi, a rendere l'oggettività di un avvenimento delittuoso incoltivabile. Pecetto si oppone a tutto questo, è il baluardo che con accenti accorati ancorché inespressi, con la passione estrema per la denuncia civile si oppone alla palude che avanza. E, accorato, è come se capisse che il suo tempo è scaduto, interrogandosi su chi potrà raccogliere il testimone che registri lo scempio e l'imbarbarimento: «Quel che furono bambini/ora è gente tramontata/i famosi grattacieli/sembran favola inventata».
Quando la Giustizia non può o non deve fare il suo corso i lunghi anni trascorsi concorrono ad avvelenare i pozzi, a rendere i contorni di un avvenimento sbiaditi, a rendere l'oggettività di un avvenimento delittuoso incoltivabile. Pecetto si oppone a tutto questo, è il baluardo che con accenti accorati ancorché inespressi, con la passione estrema per la denuncia civile si oppone alla palude che avanza. E, accorato, è come se capisse che il suo tempo è scaduto, interrogandosi su chi potrà raccogliere il testimone che registri lo scempio e l'imbarbarimento: «Quel che furono bambini/ora è gente tramontata/i famosi grattacieli/sembran favola inventata».
alias - il manifesto, 25 lugliuo 2015
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