«Scettico e
razionalista«. È con questo atteggiamento che Charles Darwin, di
cui proprio in questi giorni si commemora la nascita (12-2-1809), ha
saputo nutrire non solo la rivoluzione biologica operata dalle sue
teorie, ma anche il suo progressivo congedo dalle convinzioni
religiose della giovinezza. Per approdare all'incredulità
(disbelief) di un agnosticismo capace di esortare anche i
credenti a non scambiare mai la loro fede per conoscenza effettiva
delle cose. Una simile attitudine critica, maturata nel clima
tutt'altro che tollerante dell'Inghilterra vittoriana, Darwin non
l'ha mai dismessa. Ed essa, lungo la storia dell'illuminismo moderno,
costituisce ancora oggi un'inaggirabile lezione di scrupoloso
rispetto per la ricerca scientifica e di laica rettitudine nell'uso
pubblico delle proprie convinzioni filosofiche e religiose. Una
lezione di cui, proprio nell'odierno clima culturale e politico del
nostro Paese, sarebbe veramente difficile esagerare l'attualità.
Darwin, come indicò
anche Freud, ha completato a livello biologico la rivoluzione
cosmologica avviata da Copernico. Più precisamente: le sue teorie
hanno consentito di superare la «schizofrenia concettuale» (Ayala)
tra mondo della materia inanimata e mondo della materia vivente. Il
primo già indagabile e conoscibile mediante la scienza. Il secondo
ancora sottratto a quest'ultima e spiegabile magari soltanto facendo
appello a cause sovrannaturali. Grazie a Darwin, anche l'evoluzione
della vita può essere studiata come ogni altro processo naturale.
Governato da meccanismi soltanto fisici (variazioni casuali e azione
cumulativa della selezione naturale). E del quale fa parte anche homo
sapiens, incluse le sue capacità intellettuali ed etiche.
Dopo una simile
rivoluzione, nulla è più come prima. Non solo l'uomo e la sua
storia hanno perduto ogni primato antropocentrico rispetto al resto
del mondo vivente. È stato insomma ferito per sempre, come ben vide
Freud, il narcisismo o «amor proprio dell'umanità». Ma anche la
teologia si è vista costretta a far subentrare al creatore e
disegnatore onnipotente della tradizione il Dio umile e vulnerabile
del teismo evoluzionistico, che si limita ad accompagnare con amore
l'odissea evolutiva, senza intervenire direttamente neppure sul male
fisico (sprechi, sofferenze, eliminazioni di specie) che ne segna i
processi.
Un simile lavoro di
revisione critica risulta certamente impegnativo, viste le
implicazioni antropologiche, etiche e religiose che inevitabilmente
comporta. Ma ad esso possono sperare di sottrarsi solo coloro che,
come i vari sostenitori protestanti e cattolici del Disegno
Intelligente, non esitano ad attaccare persino sul piano strettamente
scientifico la teoria darwiniana dell'evoluzione. Ricordata invece,
proprio in questi giorni, con le seguenti parole dalla nostra
Accademia dei Lincei: essa «ha ricevuto il consenso praticamente
unanime della scienza moderna». E risulta ormai sostenuta da una
«quantità gigantesca» di reperti fossili, risultati sperimentali e
considerazioni teoriche.
Dover ancora denunciare,
come si è sentita costretta a fare la stessa Accademia, quanto siano
infondate le critiche al darwinismo e alla necessità di insegnarlo
nelle scuole, è certo uno dei segni più allarmanti della carenza di
laicità che oggi minaccia tutta la nostra vita pubblica. Segno
insomma dell'innegabile pazienza di cui i laici devono saper fare
esercizio di fronte al ritorno non del sentimento religioso in quanto
tale, ma del fondamentalismo protestante o dell'integralismo
cattolico. Incapaci entrambi di confrontarsi con la scienza e con la
filosofia moderne. Nonché con l'inaggirabile pluralismo di valori
etico-politici che esse possono ispirare.
Di una simile pazienza
nei confronti degli oscurantisti che attaccano proprio la teoria
dell'evoluzione, diceva di averne ben poca persino un liberale del
calibro di Friedrich von Hayek. Che perciò si dichiarava riluttante
ad accettare per sé la definizione di conservatore. Forse
nell'Italia di oggi, di pazienza ne serve di più. Della pazienza
intesa come virtù, però. Non come compromesso al ribasso con chi,
per dirlo proprio con le parole di Darwin, si mostra del tutto
incapace di resistere alla tentazione di trasformare i propri
sentimenti e le proprie intime convinzioni di fede in «prova di ciò
che esiste realmente». E perciò - a cominciare dalla gerarchia
cattolica - pretende di essere l'unico difensore della vera scienza,
della sana laicità e della stessa dignità umana. Minacciate invece
alla radice dal presunto scientismo ideologico dei laicisti.
Ecco, contro un simile
ritorno neointegralista al primato pubblico della religione, c'è
veramente bisogno non di cedimenti, ma della pazienza costruttiva dei
laici. Sorretta sempre dall'«atteggiamento scettico e razionalista»
cui spronava anche Darwin. E perciò mai rassegnata. Né cinicamente
o superficialmente accomodante.
“il Riformista”, 9
febbraio 2008
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