Il papa cattolico Eugenio Pacelli (Pio XII) |
Il 4 giugno 1944 era domenica. Le
truppe alleate cominciarono ad entrare in Roma verso sera. Il mattino dopo,
alle 7, una piccola folla si radunò in Piazza San Pietro. Gridava perché il
papa si affacciasse. Pio XII venne alla finestra e diede una benedizione, senza
dire una parola. Alle 10 la folla era aumentata. Un carro armato americano era
entrato nella piazza e si era fermato ai piedi della scalinata della basilica.
Alle acclamazioni, Pacelli si affacciò di nuovo. Quando vide il carro armato,
allibì. Chiuse la finestra e telefonò immediatamente in Segreteria di Stato
perché lo facessero sparire.
Appena il carro armato se ne fu
andato, arrivò una jeep. C'era sopra il generale Clark, il comandante delle
forze alleate, che si vantava di aver preso Roma dal sud, cosa che non aveva
fatto nemmeno Annibale. Riverso sul sedile, contemplava la grandiosa facciata
della basilica. Gli si avvicinò un monsignore. Era O' Flaherty, la
"primula rossa" del Vaticano, che sotto il naso dei tedeschi e dei
fascisti era riuscito, in mirabolanti imprese, a salvare decine di soldati
inglesi. O' Flaherty, che lavorava al Sant'Uffizio e la cui storia andrà poi a
finire in un film con Gregory Peck, si lamentava che lui, irlandese, dovesse
occuparsi della salvezza di fedeli sudditi di Sua Maestà britannica. Si
avvicinò, dunque, a Clark. "Generale", disse, "posso esserle
utile in qualche cosa?". "Sì, mi indichi la via per il
Campidoglio". O' Flaherty si rivolse uno che era lì con la bicicletta e
gli disse di fare strada all' americano. E fu così che, su indicazione del
Vaticano, il generale Mark Wayne Clark occupò il Campidoglio, preceduto da un
ciclista.
Nel pomeriggio, una "folla
sterminata", come dicono le cronache, sopra la quale ondeggiavano anche
molte bandiere rosse, si trovò in Piazza San Pietro ad acclamare Pio XII,
"Defensor civitatis". Pacelli si affacciò alla loggia centrale della
basilica e fece un discorso: "Roma, ieri ancora trepidante per la vita dei
suoi figli e delle sue figlie...". Dal Vaticano, dai conventi e dai
seminari, avevano cominciato ad uscire le migliaia di persone che vi avevano
trovato rifugio. Il dar asilo ai ricercati dai tedeschi e dai fascisti era stato,
in quei mesi, a Roma, l'azione più diffusa e spontanea degli istituti religiosi.
Soltanto per quanto riguarda gli ebrei, secondo una ricerca di Renzo De Felice,
almeno 4.000 ne furono ospitati in ambienti ecclesiastici.
Non si trattò soltanto di carità
e assistenza cristiana. Alcuni istituti divennero centri di ospitalità di grosso
rilievo organizzativo e politico. Tali furono il Seminario maggiore al
Laterano, l'Abbazia di San Paolo fuori le Mura, il Seminario lombardo di Piazza
Santa Maria Maggiore. Questi due ultimi edifici extraterritoriali della Santa
Sede, pochi mesi prima della liberazione di Roma conobbero l'invasione e la
perquisizione dei fascisti della banda Koch. Molti dei rifugiati vestivano da
preti, mescolati in mezzo ai chierici veri. "Tutti", riferisce un'informativa
di ambiente ecclesiastico, "prendevano regolarmente messa, anche i più
violenti anticlericali, e 03654 qualcuno, come Ruini, ben noto massone al pari
di Bonomi, prendeva anche la comunione". Sull'incursione della banda Koch
al Seminario lombardo, narra un rapporto: "Il rettore stava sulle scale
con Koch. Cercava di mostrarsi calmo il più possibile. Passò davanti a loro un
gruppetto di chierici veri e falsi. "Bravi, andate a scuola!" disse
con un accento che nessuno riuscì più a dimenticare. Koch seguì a lungo il
gruppo dei falsi chierici, che si sentirono gelare il sangue, e disse
sarcasticamente al rettore: "Monsignore, tutti chierici, eh? Tutti
chierici dopo l'8 settembre"".
A San Giovanni aveva trovato
rifugio quasi l'intero Cln. C'erano poi Ruini, Saleri, De Gasperi, Saragat,
Nenni, Bonomi, Casati. Vi si era nascosto il generale Bencivenga, comandante
della piazza di Roma, che aveva installato una radio in contatto con Bari.
Kappler richiese formalmente alla Santa Sede che Bencivenga uscisse dal
Laterano o rinunciasse al comando, alla fine di maggio 1944. Montini, allora
Sostituto della Segreteria di Stato, eluse il problema, negando la presenza del
generale in San Giovanni (in effetti, Bencivenga si trovava in un palazzo
attiguo, sempre extraterritoriale); ma i tedeschi, al momento di abbandonare
Roma, spararono un colpo di cannone contro l'edificio in cui il generale aveva
trovato asilo. Per gli aiuti finanziari ai rifugiati del Laterano provvedeva l'Istituto
per le opere di religione, la banca della Santa Sede. I soldi elargiti dallo
Ior provenivano in gran parte dal governo del Sud.
Hugh O' Flaherty |
Il Laterano, negli ultimi tempi
dell' occupazione tedesca di Roma, con la presenza dei leaders dei partiti, dei
membri del Cln e del comandante militare della capitale, si trovò certamente ad
esercitare un preciso ruolo politico. E nasceva il rapporto stretto tra la
Chiesa e le nuove forze politiche che subentravano al vecchio regime fascista.
Un' attività di primo piano, in questo senso, ebbero allora monsignor Ronca,
che era il rettore del Laterano, e monsignor Barbieri, dello stesso Seminario,
che prese i primi contatti col generale Cadorna e la cui casa, in seguito,
divenne luogo d'incontro di leaders politici di ogni colorazione. La
"successione politica" in Italia fu un problema che interessò subito
i vertici del Vaticano. A grandi linee si potrebbe dire che le preoccupazioni
della Chiesa romana, con un'azione dello stesso pontefice e del Vicariato, fu
quella di porre anzitutto una base sociale, etica e religiosa al rinnovamento
politico.
La grande adunata del popolo
romano in Piazza San Pietro, il giorno dopo la liberazione di Roma, aveva anche
un significato in questo senso. Quel pomeriggio i romani si ammassarono tra il
colonnato del Bernini, quasi a concludere un lungo periodo, durante il quale la
Santa Sede e il papa erano rimasti, in Roma, l'unica realtà istituzionale cui
fare riferimento. Il Cardinale Vicario, Marchetti Selvaggiani, si incaricò di
ricordare espressamente ai romani il "debito" che essi, per la
provvidenziale incruenta liberazione della città, avevano contratto con Pio
XII. Dal canto suo, papa Pacelli, oltre a dare indicazioni morali per la
salvezza della famiglia e della gioventù, condannava coloro che, già in quei
momenti difficili, approfittavano per "arricchirsi disonestamente, sfruttando
il bisogno e la miseria dei loro fratelli, aumentando infinitamente i
prezzi".
Per incidere
"cattolicamente" sull' opinione pubblica romana, si pensò in fretta
ad accaparrarsi “Il Messaggero”. Se ne incaricò monsignor Ronca, già un mese
prima che arrivassero gli alleati, prendendo contatti con i Perrone, che erano
i proprietari del giornale e tenendo informata costantemente la Segreteria di
Stato. L'accordo fu raggiunto a fine maggio, alla vigilia della liberazione di
Roma. Scrive monsignor Ronca: "Il Messaggero uscirà come giornale di
notizie con ispirazione cattolica, con il fine di moralizzare le coscienze...
la cronaca sarà censurata, ma a fine moralizzatore. Linee politiche: lotta a
fondo contro la massoneria, lotta - pur contenuta nella forma - contro il
comunismo, collaborazione indiretta alla Democrazia cristiana; per l'Italia non
vi è salvezza che nella religione e nell'ordine: appoggiarsi alla Chiesa
significa salvare l'Italia. I Perrone accettano ora e dopo tutti i suggerimenti
della Santa Sede".
Tre giorni dopo l' entrata degli
americani nella capitale, De Gasperi, che evidentemente non era al corrente
della trattativa, sferrava su “Il Popolo” un attacco al “Messaggero” per il suo
passato filofascista, prendendosi immediatamente un rabbuffo da monsignor
Ronca, in nome delle "esigenze del cattolicesimo".
Restava la questione dell'assetto
politico italiano. Su questo punto, in un primo tempo non c'è piena convergenza
tra i massimi responsabili della politica vaticana. Tardini, che è agli affari
straordinari della Segreteria di Stato, e Ottaviani, che è a capo del Sant'Uffizio,
sono propensi a considerare una pluralità di forze cattoliche. Ottaviani non
vede male nemmeno il gruppo dei cattolici comunisti di Rodano e Ossicini.
Montini, invece, appoggia l'idea del partito unico di De Gasperi. A poco a poco
è questa la linea vaticana che prevarrà.
Gli ordini di "tenere l'unità"
andranno anche al Nord non ancora liberato. David Maria Turoldo, il religioso
servita che operò nella Resistenza a Milano, racconta di essere stato chiamato
dal vescovo di Bergamo nel 1944. "L'ordine del Vaticano", scrive,
"era: totale unità dei cattolici, formazione del partito unico da
contrapporre al comunismo; base del partito l' interclassismo, con obbedienza
assoluta alla gerachia. Mia obiezione: "E se come cattolico non mi
sentissi di condividere l'impostazione?". Risposta: "Lei si
metterebbe contro la gerarchia". Dicevo: "Se facessimo due partiti cattolici:
uno progressista e l'altro conservaotre, non potremmo ritrovarci tutti nei due
schieramenti senza crisi di coscienza?". Risposta: "L'ordine è per un
partito unico". Mi provai ad insistere: "Non correremmo così il
rischio di travolgere la Chiesa nelle vicende di un partito, di ridurre la
stessa Chiesa a livello di un partito?". Risposta: "Prima di tutto l'unità.
Roma vuole l' unità a tutti i costi"".
"La Repubblica", 25 maggio 1984
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