Anders Zorn, La pentola di patate |
La natura sembra essersi arresa
alla convenzione. Non ho mai visto un autunno più autunno di questo, più
indefettibile: nei colori delle acque, del cielo, delle rade nuvole, degli
alberi; nella dolcezza dell'aria; negli odori. Se non in qualche quadro. Ecco:
ci si sente come dentro un quadro. O meglio: come in un luogo, una stagione,
un'ora che sono state fermate in quadro famoso; irripetibilmente, come si usa
dire: e invece si ridiscioglie e si ripete per noi, intorno a noi. Un quadro di
Camille Pissarro? Ma no, di Anders Zorn. E così finalmente, nella sua terra, in
quest'aria trasparente e dolcissima, tutte le donne nude delle sue acqueforti e
dei suoi quadri tra gli alberi, sulle rive scoscese, immerse nelle acque
limpide o che ne escono madide — trovano, per così dire, un'anagrafe.
Zorn ha risolto la sua vita in
una specie di ubiquità. Parigi e la Svezia. Molto parigino e al tempo stesso
molto svedese. Se si guarda il grande catalogo della sua opera grafica, si ha
l'impressione che abbia vissuto due vite: una a Parigi, ritraendo donne di
piccola virtù o di grande rango, artisti e scrittori celebri, uomini d'affari;
un'altra in Svezia, nella provincia svedese, a incidere donne nude in piena
aria e interni di case contadine. Unico caso, credo, di artista o scrittore
svedese infrancesato, nonostante il trapianto, tuttora considerato dagli
svedesi felice, di una dinastia francese sul trono di Svezia.
da Nero su nero, Einaudi, 1979
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