Un intervento dell’anno scorso,
significativa indignazione di uno storico per un teoria di mistificazioni
“rovesciste” che non si arresta. (S.L.L.)
Graziani (a destra) con il capo delle SS Himmler e Bocchini |
Diciamo la verità: Graziani ci
mancava.
Ci ha pensato la Regione Lazio,
sotto l’illuminata guida della signora Polverini, a far rientrare nel pantheon
dei grandi della patria questo arnese del peggior fascismo. O meglio, ci ha
pensato il signor Nessuno che guida uno sconosciuto borgo non lontano dalla
capitale, che, con il sostegno politico e finanziario della Regione, ha
concluso l’interrotto lavoro per la realizzazione di un “sacrario” dedicato a
colui che fu insignito dal re Vittorio Emanuele III (“sciaboletta”), su
proposta del duce, del titolo di “maresciallo d’Italia”: Rodolfo Graziani,
appunto.
Non v’è che dire. Il
revisionismo, nella sua veste più triviale ed estrema, quella che mi onoro di
aver battezzato “rovescismo”, procede nella sua marcia trionfale, e segna punti
specialmente nell’area fascismo / antifascismo, incorporando il primo nella
storia nazionale, evidenziandone i “meriti” e obliterandone i crimini, ed
espellendo, sminuendo il ruolo del secondo.
Dopo le picconature di Renzo De
Felice, che godè di notevoli sponde politiche (a partire da Bettino Craxi e Gianfranco
Fini), si aprì la voragine. Passando dalle mani degli storici a quelle di
dilettanti allo sbaraglio, si perse qualsiasi cautela di metodo e di giudizio:
si giunse con una serie di passi via via più accelerati, al vero e proprio
ribaltamento della verità, come se la storia fosse un campo in cui a seconda
dei giocatori si potesse decidere come sono andati i fatti, e distribuire la
palma dei carnefici e delle vittime in base al governo in carica; e, forse
ancora peggio, al “sentire comune”, creato in realtà dai talk show, che hanno
trasformato la Storia da scienza a opinionismo.
Un Bruno Vespa, per esempio, ha
delle belle responsabilità in questo tipo di lavoro volto a demolire la stessa
scientificità della storiografia. E a far passare nella pubblica opinione
l’idea della necessità di “riscrivere” la storia, magari dalla parte dei
“vinti” (Pansa docet), come se appunto la storia fosse una partita di calcio, e
dopo la sconfitta di una squadra occorresse darle la rivincita. E la storia
fosse un campo neutro, in cui ciascuno tira la sua palla, quasi che la verità
dei fatti non esistesse, e che tutto dipendesse dalle “opinioni”. Sicché
abbiamo scoperto che il fascismo non era affatto male, tanto che godè di un
consenso spontaneo di massa; che Mussolini era un grand’uomo, che commise il
solo errore di fidarsi di chi non doveva; che i partigiani erano canaglie
assetate di sangue; che la loro azione non solo non servì a nulla ma fu
deleteria e causò vittime innocenti …
Il risultato ultimo, per ora, è
la riabilitazione di un tristo figuro come il generale Graziani, il quale per
sopperire alle proprie modestissime capacità tattico-strategiche, usava
delatori (fu così che il capo della resistenza libica Omar al-Muktar venne
catturato e poi impiccato davanti a 20.000 libici attoniti, nel ’31) e pratiche
di sterminio di massa, come, oltre che nella “riconquista” della Libia, nella
campagna di Etiopia, quando nel ’37, dopo un fallito attentato, egli si diede a
una vendetta terribile, con eliminazioni di massa e con l’uccisione di tutti i
cristiani copti di Debré Libanos, compresi i giovanissimi conversi che si
formavano nel monastero, uno degli atti più atroci della storia del ‘900.
Graziani proseguì la sua carriera
di incompetente genocidario nella Guerra mondiale, tanto da essere esonerato
dal servizio, per poi venire ricuperato come inane ministro della Difesa della
Repubblica di Salò, incaricato di ricostruirne l’esercito, compito ben al di
sopra delle sue possibilità e capacità. Nel disfacimento del regime, Graziani
cercò la via di salvezza individuale, ma arrestato dagli inglesi, a dispetto
dell’essere stato dichiarato colpevole di crimini contro l’umanità, se la cavò,
tra indulti e amnistie, con due anni di galera, concludendo la sua poco
brillante carriera come presidente del neonato Msi, non senza andarsene
sbattendo la porta. A questo personaggio, che appare in tutta la sua pochezza,
grande solo nella criminalità, si dedica oggi un mausoleo. Certo non saremo noi
a deporre fiori in memoriam.
Il Fatto Quotidiano, 15 agosto
2012
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