Che bel
mestiere quello di Silvio Bedini, funzionario della Smithsonian Institution, il
complesso di musei americani che raccoglie oltre cento milioni di oggetti. Ora,
per esempio, sta inseguendo una mummia egiziana che apparteneva alla collezione
del cardinale Flavio Chigi - fu forse la prima mummia portata a Roma, nel 1660
- e attualmente dovrebbe trovarsi a Dresda, sopravvissuta chissà come agli
incendiari bombardamenti dell' ultima guerra.
Una
volta, raccogliendo armi antiche, Bedini si imbattè in uno strano orologio
senza lancette, che acquistò per pochi dollari. Era l'orologio silenzioso che i
fratelli Campani avevano costruito per l'insonne papa Alessandro VII, con una
lampada a olio che girava dietro il quadrante traforato per segnare
discretamente le ore.
Silvio
Bedini che, nonostante il nome, ha più familiarità con la lingua inglese che
con quella italiana, si è fermato a Roma in questi giorni, catturato dalla sua
grande passione: la scienza italiana del Seicento, uno "scenario" in
cui principi e prelati si muovono con l'eleganza dei dotti mecenati,
contribuendo a quell'ultima grande sintesi del sapere che precede la
frammentazione moderna.
La
ragione specifica della sosta di Bedini nella capitale è stato il seminario su
Athanasius Kircher, il gesuita di origine tedesca, l'erudito che per sfuggire
alle persecuzioni della Guerra dei Trent'Anni approdò a Roma nel 1635 e qui
operò fino al 1680, anno della morte. Il seminario su Kircher, che si è concluso
l'altro giorno all'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, dovrebbe preludere -
secondo una proposta di Giulio Macchi accettata dal Comune di Roma - a una
mostra al Collegio Romano dove ebbe sede il museo kircheriano: la più
importante collezione scientifica italiana, e forse europea, dell' epoca.
Nella
"Roma triumphans" della
Controriforma, padre Kircher disponeva di una risorsa che farebbe invidia alla
pur potente Smithsonian di Bedini: l'organizzazione su scala mondiale della
Compagnia di Gesù. Nel quartier generale della Compagnia, al Collegio Romano,
affluivano missionari dai quattro angoli della terra recando oggetti, reperti,
testimonianze. E nella centrale romana di accumulazione del sapere, l'enciclopedico
Kircher costruì il famoso museo, poi disperso, come quasi tutte queste
collezioni, nell' Ottocento.
Athanasius
si occupava delle più diverse discipline, dalla fisica all' egittologia, dalla
geografia alla musica, quasi sempre mischiando brillanti illuminazioni con
errori grossolani. Nei suoi quarantaquattro volumi (ne scriveva uno all' anno)
si intrecciano spunti di razionalità galileiana e pregiudizi alla don Ferrante,
non mancando, nel cocktail, quella dimensione fantastica, quasi surreale, che
oggi tanto affascina. Nel suo mondo prodigioso e imprevedibile c'è però un filo
conduttore: la divinità, la quale si manifesta nelle armonie che reggono il
tutto: armonie magnetiche, matematiche, musicali. Nel "Magneticum Naturae Regnum", l'attrazione
terrestre, la gravitazione universale, le simpatie e antipatie che dominano il
regno animale sono ricondotte all'unica fonte dell' amore divino, che lega il
mondo con "nodi segreti". Il suo museo romano, come del resto quello
milanese e coevo di Manfredo Settala, ha le caratteristiche, insieme, dell'esposizione
scientifica, con strumenti funzionanti, della collezione antropologica e della
"Wunderkammer", la camera delle meraviglie, che è un po' la versione
nordica e teatrale del museo scientifico all'italiana.
Al
seminario kircheriano qualcuno ha ricordato, accanto ad audaci stravaganze
(come l'idea, sostenuta dal gesuita, che la Torre di Babele, per l'altezza e la
concentrazione del peso, sarebbe riuscita a rovesciare la terra), momenti di
grande lucidità. Gli studi di matematica e di musica di Athanasius sono uno dei
presupposti, non solo teorici ma filosofici, del lavoro di Bach, in cui
struttura ed emozione si amalgamano perfettamente: "irrazionale e
razionale possono coesistere su differenti livelli", come scrive Douglas
Hofstadter nel suo notissimo best-seller su Goedel,
Escher e Bach. Silvio Bedini è, inutile dirlo, entusiasta dell'iniziativa
romana. L'idea di ritrovare i pezzi della collezione kircheriana e magari di
rimettere insieme il famoso museo esercita sul "custode dei libri
rari" - questa è la sua qualifica alla Smithsonian Institution - una forte
attrazione. Per uno studioso come lui, che viene da un paese dalla breve
storia, i giacimenti di opere del passato, l'immenso patrimonio di
testimonianze negletto e sepolto nei sotterranei dei palazzi italiani, è una
vera terra promessa.
“la
Repubblica”, 11 maggio 1985
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