Sarebbe sciocco negarlo: gli animali domestici costituiscono per la vita umana un conforto emotivo, un aiuto pratico ma anche un perenne enigma. Si tratta di organismi allevati per millenni a nostra immagine e somiglianza allo scopo di farli entrare più facilmente in contatto con un animale, l’Homo sapiens, verso il quale le altre forme di vita nutrono di solito una diffidenza a dir poco motivata. Nonostante ciò ogni giorno abbiamo a che fare con animali comunque imprevedibili: invece di mangiare il topo, un gatto lo depone sull’uscio per rimarcare il legame che lo unisce a noi; un cane muore d’inedia perché si rifiuta di nutrirsi in attesa che arrivi il padrone scomparso; un pappagallo tropicale, fuggito dalla gabbia, si adatta mirabilmente al clima di Roma dando vita a una colonia urbana di pennuti verdi e arancioni.
La variazione degli animali e della piante allo stato domestico (Einaudi
«I millenni) è l’opera di Charles Darwin che sfrutta questa inquietudine domestica
per spiegare in cosa consiste la teoria dell’origine delle specie come
«discendenza con modificazione». L’espressione, ampollosa e poco agile,
tradisce la consapevolezza che il termine «evoluzione» contiene un equivoco al
proprio interno, poiché sembra accennare a un processo lineare dotato di un
fine prestabilito.
Anche se noto soprattutto per i
suoi viaggi avventurosi nei mari del Sud, Darwin è innanzitutto un allevatore e
un coltivatore: adora lo splendore sedentario delle orchidee e la modestia
della cura dei giardini; studia i tanti animali che, insieme ai figli, gli
gironzolano per casa. La variazione utilizza le fonti più diverse: esperienze dirette
di allevamento e osservazione naturalistica, discussioni circa le teorie
scientifiche più accreditate, citazioni di pubblicazioni specialistiche, aneddoti
di allevatori e vivaisti raccolti da Darwin in dialoghi appassionati e
informali. Non è però un’opera di erudizione: è un libro teoricamente decisivo,
terzo anello della formidabile trilogia che, insieme all’Origine delle specie e all’Origine
dell’uomo, ha cambiato il nostro modo di vedere il mondo dei viventi.
In una edizione italiana
ricchissima (…), La variazione
propone più di ottocento pagine frutto di quindici anni di lavoro (1860-1875)
nelle quali si affrontano con coraggio sfide che la teoria dell’evoluzione
ancora oggi è chiamata ad affrontare. La selezione naturale è una forza inderogabile?
Come si origina la variazione delle forme selezionate in natura?
Per capire il significato del libro
occorre tener conto innanzi tutto della sua spregiudicatezza, in evidenza già
nel titolo. L’accostamento tra selezione artificiale (l’agricoltore che cerca
di rendere più resistente il mais o più profumate le sue arance) e selezione naturale
(la forza alla base dell’estinzione dei dinosauri a vantaggio di animali
piccoli e prolifici come i mammiferi) rappresenta ancora oggi un punto dolente.
Ne Gli errori di Darwin (Feltrinelli,
2010), ad esempio, Massimo Piattelli Palmarini e Jerry Fodor affermano che
questo parallelismo non regge perché presuppone l’esistenza in natura di un
fine in base al quale effettuare la selezione. Nella Variazione Darwin dimostra di essere consapevole del rischio che
corre nel proporre il paragone e per questo spiega il senso dell’accostamento.
L’agricoltore imita gli eventi naturali nel tentativo di produrre una rosa blu
o una pera più saporita. La somiglianza tra selezione artificiale e naturale
non risiede in una intenzione comune e nascosta
ma, al contrario, nel fatto che variazione e selezione si muovono lungo binari
in entrambi i casi imprevedibili. Un allevatore di cavalli da corsa si trova di
fronte a un dilemma pratico: per un verso far incrociare un animale particolarmente
veloce con animali consanguinei vuol dire mantenere vivo il carattere che più
gli interessa, la velocità. Per un altro, l’incrocio assiduo tra parenti
prossimi aumenta le possibilità di malformazioni.
La gestione di queste due
variabili non può che procedere per tentativi ed errori, in buona parte alla
cieca. Difficile conoscere la precisa discendenza di ogni esemplare perché è
possibile, ad esempio, che un carattere emerga dopo diverse generazioni di
latenza. Può accadere che nostro figlio assomigli più al nonno che al padre;
capita che la prole di piccioni striati esibisca un improvviso colore blu a
tinta unita, retaggio di un progenitore allo stato selvatico vissuto parecchie generazioni
addietro.
La lezione da trarre dalla
domesticazione di piante e animali va dunque rovesciata: non solo la natura non
agisce come un soggetto dotato di intelletto e finalità, ma anche chi lavora
per dominare i meccanismi evolutivi è costretto a sottomettersi alla logica
della contingenza. La selezione naturale è il protagonista indiscusso dei
fenomeni evolutivi ma può agire solo sul materiale fornitogli dalla variabilità
costitutiva del mondo naturale. Contro ogni vulgata teologica, gli animali
cambiano: anche la Bibbia, osserva
Darwin, contiene indicazioni su come allevare gli animali e gestire
trasformazioni dovute ai fattori più diversi. Tra dettagli tecnici circa la
conformazione ossea dei levrieri o le dimensioni dell’uva spina, emergono gli interrogativi
di un Darwin rigoroso ma tutt’altro che ideologico. Il cambiamento delle
condizioni di vita e l’uso degli organi può essere il motore della variabilità:
una dieta diversa può contribuire all’allungamento dell’intestino dei maiali;
il cibo abbondante e il poco
esercizio può portare i conigli di allevamento a dar vita a specie più
corpulente.
Darwin seguace di Lamarck?
Niente affatto. Le abitudini di vita
possono incidere sulle variazioni proposte dalle specie attraverso crescita e riproduzione, ma è
sempre la selezione a stabilire cosa sia adatto alla sopravvivenza. Piuttosto,
a tormentare Darwin è il modo nel quale possono essere ereditati i caratteri.
Invece di geni (la genetica è scienza del Novecento), Darwin parla di
misteriose «gemme riproduttive» che sarebbero presenti in tutte le cellule di un
corpo vivente e in grado di farlo riprodurre. Si tratta di una teoria sbagliata,
a volte contorta, ma non per questo banale. Darwin è alla ricerca di un
principio che riguardi tutte le forme viventi, non solo gli animali ma anche i
vegetali. È impressionato dai fenomeni rigenerativi delle piante, dalle loro capacità
di innesto, talea e ibridazione: invece di mettere questi fenomeni sullo
sfondo, come ancora oggi spesso accade, La variazione ha il coraggio di porli
in primo piano come principi dell’ereditarietà.
Proprio perché colpito dalle
capacità di rigenerazione dell’abete potato male o della salamandra tagliata in
due, Darwin parla dell’ereditarietà in termini che oggi definiremmo
«epigenetici». La trasmissione ereditaria non è un processo che avviene in blocco,
alla nascita, ma ha un carattere continuo in grado di emergere nei momenti più
diversi della crescita di una forma di vita.
Konrad Lorenz, il fondatore
dell’etologia contemporanea, utilizzerà la metafora dell’autoaddomesticamento degli
uomini per condannare la decadenza del mondo occidentale e aderire al nazismo. Per
Darwin, invece, la domesticazione non indica né progresso, né degenerazione:
incarna piuttosto la manifestazione più eclatante del carattere sfuggente di carattere
sfuggente di quel che sul pianeta Terra vive.
“alias - il manifesto”, 12
novembre 2011
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