Alberto Savinio |
Questo testo, ripreso dalla
pagina culturale di “Repubblica” è una scheda, una “voce” da dizionario,
realizzata di Alberto Savinio, magnifica per essenzialità di scrittura,
ricchezza informativa, capacità di suggestione. Savinio è noto soprattutto come
fratello di Giorgio De Chirico, ma è ampiamente meritevole - come pittore e come
scrittore - di autonoma fama.
Le dame galanti, il libro di cui qui soprattutto ragiona, nella Francia ancora percorsa da qualche fremito di puritanesimo ugonotto, è riuscito a passare dalla categoria del “libri proibiti” a quella dei “classici”. Nell’Italia cattolica, ritenuta dal cattolico Savinio se non più tollerante almeno più accomodante, ciò non è accaduto e non esistono traduzioni nelle grandi collezioni di classici.
Un piccolo assaggio, opera mia, lo si trova in questo blog. (S.L.L.)
Le dame galanti, il libro di cui qui soprattutto ragiona, nella Francia ancora percorsa da qualche fremito di puritanesimo ugonotto, è riuscito a passare dalla categoria del “libri proibiti” a quella dei “classici”. Nell’Italia cattolica, ritenuta dal cattolico Savinio se non più tollerante almeno più accomodante, ciò non è accaduto e non esistono traduzioni nelle grandi collezioni di classici.
Un piccolo assaggio, opera mia, lo si trova in questo blog. (S.L.L.)
Pietro di Bourdeille, abate e
signore di Brantôme, nacque a Bourdeilles (Dordogna) nel 1527. Giovanissimo, fu
investito dell'abbazia di Brantôme che, a quel tempo, costituiva uno dei più
ricchi proventi della provincia perigordina. Durante la sua infanzia che si
svolse libera e campestre, fu indirizzato più che altro in quelle facoltà che,
più tardi, avrebbero fatto di lui uno dei soliti e tipici ecclesiastici
dell'epoca.
Ma il destino non alla Chiesa lo
assegnava, sì alla Corte, alle camere e anticamere dei re.
Prima però di vestire la livrea
del palazzo, il giovane Brantôme, che era avventuroso, partì in lunghi viaggi e
in lontane visitazioni di paesi: girò tutta la Francia; nel 1559 scese in
Italia; salì in Inghilterra e in Scozia, nel 1561, al seguito di Maria Stuarda;
passò, nel 1564, in Ispagna e nel Portogallo e ivi partecipò alle guerre di
questo paese contro gli africani, e si spinse fin nel Marocco. Tornato in
Francia e insignito dell'«habito de Christo» che il re Sebastiano gli aveva
dato in ricompensa delle prodezze compiute contro i Turchi e i Mori, fu ammesso
a Corte da Carlo IX nella qualità di gentiluomo di camera. Ma, morto Carlo e
succedutogli Enrico III, questi incominciò a vedere di malocchio l'amicizia del
cortigiano per il duca d'Alençon (Le dame
galanti sono dedicate: a Monsignor il duca di Alençon e di Brabante, Conte
di Fiandra, figlio e fratello dei nostri re). La prudenza, l'angustia e, pare,
anche le conseguenze di una infelice caduta da cavallo, determinarono Brantôme
a lasciare il Louvre. Egli si ritirò dunque nelle proprie terre ove, a modo di
passatempo, cominciò a scrivere vari libri di memorie. Rimangono di lui: Vite degli uomini illustri e dei grandi
capitani francesi; Vite dei grandi
capitani stranieri, Vite delle dame
illustri; Vite delle dame galanti;
Aneddoti intorno al duello; Spacconate e bestemmie degli Spagnuoli.
Queste opere non furono stampate se non parecchi anni dopo la morte del loro
autore, la quale accadde il 16 luglio 1614.
Tra i vari scritti di Pietro di Brantôme,
Le dame galanti costituiscono la sua
opera più significativa. Per il carattere, essa opera, vastissima e ciclica, di
grande interesse per la storia del secolo XVI, si può qualificare un «trattato
naturalistico dell'amore». E il libro ebbe influenza grandissima su tutta la
letteratura posteriore.
E' deplorevole però che opere
poderose, come Le dame galanti, siano
state relegate in certo confinamento cauteloso che puzza di clandestino e di
turpe. Il pregiudizio puritano — e quale spirito di vendetta doveva animare gli
Ugonotti contro Pietro di Brantôme, da costui combattuti con le armi (nel 1568
a Mensignac, l'anno seguente a Jarnac) e beffeggiati con la penna! — volle
porre il marchio infamante sull'opera del guascone.
Noi pensammo dunque che il
miglior mezzo per rompere la nefasta fama che toglie dalla libera circolazione
queste opere belle e meritevoli di essere lette da tutti, è il divulgarle, non
più sotto il velo del libro clandestino ma nella veste chiara e nobile del
libro classico.
“la Repubblica”, 21 novembre 1982
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