La lettura di un fenomeno sociale
da parte di un’antropologa colta e acuta. La Magli, al tempo dell’articolo,
fiancheggiava – non senza alcune fondate critiche – il femminismo;
successivamente ha compiuto scelte a mio avviso sbagliate e destrorse, sia sul
piano culturale che sul piano politico, culminate nell’appoggio alla Lega e a
Forza Italia, ma la sua feroce requisitoria contro la costruzione europea contiene
spunti analitici originali e convincenti.
Il testo qui riproposto è stato
scritto più di trent’anni fa e, nel bene e nel male, si nota. Non c’è per
esempio la tendenza, tipica dell’Italia più recente, a cercare scorciatoie
legislative per problemi che sono culturali. La Magli non chiede nuove
fattispecie di reato né aumenti di pena, ma scrive che lo strumento più
efficace di lotta è una grande battaglia di idee e di educazione. In ogni caso
la riflessione di Magli merita ancor oggi molta attenzione. (S.L.L.)
Dice Lévi-Strauss che l’istinto
sessuale è il solo stimolo naturale il cui appagamento possa essere differito.
Ed è per questo che proprio sulla sessualità è stato possibile instaurare la
prima regola: lo scambio ordinato fra uomini di determinate donne. Una « norma
» che, appunto in quanto tale, segna il passaggio dalla natura alla cultura.
Naturalmente, qui per istinto
s'intende lo stimolo sessuale maschie; ed è dunque imponendo una regola a questo
istinto, imparando ad appagarlo soltanto nei modi prescritti, che si è
instaurata la cultura. Questo è forse il motivo per cui la violenza sessuale »
— cioè l'appagamento dell'istinto al di fuori della norma — appare come di
comportamento più intollerabile: esso infatti mette in causa non soltanto
coloro che ne sono i protagonisti, ma tutta la società, che, proprio in quanto
è edificata sulle norme, proprio in quanto vive della cultura, è messa in crisi
dal rifiuto e dal sovvertimento della prima regola.
Eppure c'è, nello stupro, qualcosa di più e di
diverso, qualcosa che va oltre questa prima e fondamentale premessa (che di per
sé non sarebbe sufficiente a spiegare l'intensificarsi degli episodi di
violenza sessuale in determinati moment e in determinate occasioni della storia.
Questo qualcosa di più è costituito dal significato che l’oggetto dello stimolo
sessuale, la donna, ha assunto nella costruzione della vita sociale e della
cultura, e di conseguenza dal significato della sessualità come tale: un
significato che va molto al di là di quello dell'istinto naturale.
In altri termini, l'instaurarsi
della prima regola culturale sull'appagamento ordinato dello stimolo sessuale
ha costituito la sessuauiita in «simbolo» che supera di gran lunga il «dato», e
ha permesso la costruzione, sulla sessualità, dei rapporti fondamentali di «comunicazione»
nel gruppo. Gli uomini si scambiano ordinatamente le donne e instaurano così
fra loro un patto di alleanza, in base al quale rinunciano ad appropriarsi di
qualsiasi donna e al tempo stesso fanno della donna un «segno », un «oggetto di
comunicazione» fra loro. La donna diventa così non il destinatario principale
dell'azione sessuale, ma lo strumento attraverso il quale si realizzano fra gli
uomini comunicazioni concrete e simboliche: comunicazioni dirette a tutto il
gruppo, alla società. Questo spiega perché sia così facile servirsi dell'immagine
e del segno femminile per comunicare, per inviare messaggi di qualsiasi tipo, e
perché, d'altra parte, la violenza sessuale sia il gesto di maggiore violenza
che la donna possa subire: lo stupro, infatti, la nega totalmente come persona
e ne fa, concretamente e simbolicamente, una cosa e uno strumento della società
e contro la società.
Se infatti, come si diceva, la
società si è fondata sula regola che vieta l'appagamento delo stimolo sessuale
al di fuori dello scambio ordinato dele donne, la violenza sessuale si presenta
come il segno più immediato, e al tempo stesso simbolicamente più pregnante,
della ribellione contro la società, anzi la sua stessa negazione. Per questo lo
stupro è spesso un'azione compiuta da gruppi di maschi costituiti in bande, che
manifestano, con la violenza sessuale, nella forma più diretta, a livello
profondo e più o meno consapevole, il rifiuto totale delle norme culturali, e
si servono quindi di quel segno, di quella « parola per eccellenza » che è la
donna (qualsiasi donna) per esprimere il loro disprezzo e la loro ribellione alle
regole della società. La loro violenza, dunque, non si stabilisce contro la
donna (cosa che non sarebbe possibile, perché la donna è soltanto oggetto e
strumento), ma contro gli altri uomini, contro le istituzioni.
D'altra parte, proprio perché la
sessualità è il terreno sul quale si è costruito il patto d'alleanza, la
solidarietà fra maschi, la violenza sessuale da parte di un gruppo, l'uso in
comune di una medesima donna, serve a cementare concretamente e simbolicamente nello
stesso tempo, la loro soldarietà, il loro stesso essere «gruppo». Se scambiarsi
le donne, infatti, è stata la prima regola sociale, niente come scambiarsi la
stessa donna (è per questo che non ha nessuna importanza l'identità di questa
donna, anzi più è casuale e sconosciuta, più è strumento della società anonima
nel suo insieme) è segno della propria esistenza come gruppo, e come gruppo
eversivo. Con un solo .gesto — l'appropriarsi della stessa donna — si nega la
regola fondamentale della società e al tempo stesso ci si scambia, in quel
simbolo per eccellenza che è il corpo della donna, il proprio patto di sangue,
la propria « essenza».
C'è un'omosessualità implicita e
latente in tutto questo? Credo che non ci possano essere dubbi in proposito. Un
gruppo è realmente solidale quando in esso si stabilisce in qualche modo un
legame libidico. Ma questo legame può, il più delle volte, rimanere inconscio,
e simbolicamente realizzarsi in quel «luogo» che è il corpo della donna,
percepito sempre come strumento di comunicazione fra gli uomini. D'altra parte,
è proprio questa omosessualità latente che permette anche la riduzione della
donna, nello stupro, a puro e semplice «oggetto», di cui non hanno nessuna
importanza i connotati di attrazione sessuale, lo stimolo erotico; può essere
giovane o vecchia, bella o brutta, conosciuta o sconosciuta: non ha nessuna
importanza. L'unica cosa che conta è che, attraverso quello strumento simbolico
che è il suo corpo, i maschi possano saldare, senza parole perché lo scambio
della donna è la loro «parola», un legame sessuale in qualche modo fondato sulle
«essenze» e sublimato.
Nel disprezzo verso la donna,
nella violenza su di lei, si concentrano dunque significati psicologici,
sociali e culturali così profondi, che solo portando consapevolmente alla luce
e cambiando le strutture inconsce della cultura sarà possibile togliere la
donna dalla condizione di oggetto e segno simbolico, e quindi dalla sua
esposizione a quelle forme violente di possesso sessuale che maggiormente la negano
come soggetto e come persona.
“la Repubblica”, 1 maggio 1979
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