John Trumper |
La 'ndrangheta? È molto più
vecchia di quanto si pensi. Nata mille anni fa, è figlia di un'antica crisi
politica ed economica. Ed è scaturita dalla necessità di colmare un vuoto di
potere. Parola di John Trumper, uno degli esponenti della linguistica moderna.
Lo spiega in un suo recente saggio intitolato Slang and Jargons, che non ha ancora visto la luce in Italia,
essendo apparso sinora solo in inglese per i tipi della Cambridge University,
nel volume Romance languages curato
da Martin Maiden, John Charles Smith e Adam Ledgeway. Roba che scotta! E che
quaggiù farà discutere non soltanto gli studiosi di lingue antiche, quando sarà
tradotta in italiano.
È uno studio destinato a
riscrivere la storia della 'ndrangheta dalle fondamenta. Si fonda
sull'etimologia della parola.
Il prof non ha dubbi: «Andragatos è soltanto un nome, vuol dire
"buon uomo". Per fare chiarezza, occorre osservare i verbi greci. Dai
due elementi, cioè andros e agatos, si è creato un nuovo verbo greco
andragatizo che significa: "in
origine ho coraggio". Interessante, tuttavia, è l'uso dei due verbi nelle
prime epopee popolari del medio greco. Ho studiato le tre edizioni del Digenes
Acritas che è una famosa epopea popolare medievale. La più antica è quella di
Grottafferrata, la seconda del monastero delle isole di Andros e la terza è
nell'Escorial di Madrid. All'inizio sembra ci sia stato un conflitto: da una
parte i termini andrio ("ho
coraggio") con andria
("coraggio"), dall'altra andragatizo
("faccio il coraggioso") con il sostantivo andragathia. La seconda coppia (verbo e sostantivo) si specializza
con il senso di "esercitare un ruolo di borghese o piccolo nobile che sa
usare le armi". Sono quegli uomini che i Bizantini usavano per colmare i
vuoti di potere della propria governance nelle terre periferiche».
Nell'amministrazione dell'epoca,
per esempio, verso l'anno mille, c'è un famoso Andrea di Rende che diventa il
giudice bizantino a Squillace. Lui è un giudice di carriera. Comunque, nel
frattempo, molta piccola nobiltà bizantina, tipo i Malena, riempie gli spazi
lasciati dal potere centrale in momenti di vacatio.
«Eh sì - spiega Trumper - perché hanno studiato, allora possono leggere lo Ius civile di Giustiniano nella versione
greca. Così riescono ad emettere sentenze in greco corretto. Ma sanno usare
bene pure la spada, quindi hanno la capacità di comandare soldati. Per rendere
esecutiva una sentenza, possono ordinare a una truppa di farlo. È gente che
normalmente non ha una funzione amministrativa, però in casi straordinari,
viene chiamata ad esercitarla».
In questa fase storica si
verificano spesso vuoti di potere. «All'epoca i Bizantini cominciano a perdere
terreno in Calabria. Già nell'880 riprendono Santa Severina e Amantea, occupate
dagli Arabi. Li rispediscono in mare. Santa Severina è fortificata nell'ambito
della riconquista dello Ionio. Amantea invece viene persa una seconda volta.
Gli Arabi ci resteranno per più di cento anni. Infatti sono presenti ancora
arabismi nel lessico dei pescatori. Termini che non trovi nel resto della
regione. Per esempio, l'ambra, cioè la rosamarina, una gustosa e piccante
specialità calabra. I pescatori di Tropea e Amantea la chiamano ambra, che è la
parola araba per la neonata di pesce».
Dunque nel cuore del medioevo, a
queste latitudini, i cambiamenti geopolitici sono improvvisi e ripetuti.
Trumper sottolinea che «a un certo punto al generale Niceforo Focas non
interessa più la Calabria, perché c'è un vuoto di potere al centro dell'impero.
Allora ritorna a Costantinopoli e diventa imperatore. Nei suoi domini italici,
l'amministrazione bizantina riesce a malapena a fare il censimento delle
proprietà. Lo affida alla chiesa. A Reggio fa il censimento dei gelsi, del
vino, delle altre produzioni. I Bizantini inventano il famoso kapnikon: "vedi un filo di fumo,
calcoli le tasse". Oggi possiamo anche quantificare la popolazione del
tempo, in base a questo criterio.
Di fatto, l'Impero d'oriente
perde potere in periferia, eppure prova a trattenerlo. Quando nel 1060 arrivano
i Normanni, trovano un paese allo sbando, con gli Arabi che invadono, depredano
e si ritirano perché non possono gestire un territorio così tortuoso e vasto.
Mantengono la Sicilia, ma non hanno i mezzi per controllare tutta la Calabria.
Allora fanno delle scorribande. Una volta cercano persino di occupare Cosenza,
ma muoiono tutti di malaria lungo il Crati. Arrivano fino a Montalto,
addirittura a Gergeri. Cafaruni e Gergeri sono gli unici nomi arabi di Cosenza.
Hafr vuol dire dirupo. Gergeri è il luogo in cui fanno crescere le canne da
zucchero lungo il fiume».
Ma, con l'arrivo dei Normanni, la
situazione sembra cambiare: presidiano alcune zone, normannizzano Cosenza,
impongono la loro amministrazione, buttano fuori gli arcivescovi greci di
Bisignano e Cosenza (Costantia), che erano suffraganei di Reggio, e li
sostituiscono con Arnolfo I e Arnolfo II.
«Arrivano quasi a chiudere Vibo e
Nicotera. Ruggero - spiega Trumper - ci sistema il suo scrivano, Goffredo di
Malaterra, che è suo biografo, ne racconta la campagna militare. Ruggero
istituisce il vescovato di Mileto per il suo scrivano. Lui pensa: "quando
passo da qui, voglio una casa, pace, lo scrivano al mio servizio, che poi è il
vescovo". Lancia un ultimatum all'arcivescovo metropolita di tutta la
Calabria e la Sicilia, che è greco: "se vuoi restare qui, tu devi dire la
messa in latino". Il vescovo non la prende bene: "io non celebro
messa senza l'acqua calda", che per un ortodosso rappresenta il momento clou dell'anafora della messa. Quando si
mescola l'acqua col vino, nella liturgia greca c'è l'epiklesis. Non è la recita
delle parole di Cristo che crea il corpo e il sangue di Cristo, bensì la
preghiera rivolta allo spirito santo nell'atto di versare l'acqua calda nel
calice. Quello rappresenta la figura dello spirito santo. Il vescovo non ci
sta: "noi non siamo latini, noi non consacriamo nulla con le parole di
Cristo, noi consacriamo con le tre hypostaseis
della trinità". In sintesi, sta dicendo a Ruggero: "io la messa
latina non te la recito". Ruggero capisce perché con lui c'è Brunone che
lo consiglia, e risponde: "c'è una nave che parte per Costantinopoli. Le
auguro un felice viaggio". E istituisce il vescovato metropolita
latino-normanno della Calabria».
Però neanche lui possiede
abbastanza potere. Deve tenere la Sicilia. Sta arrivando a Palermo. La capitale
bizantina è stata Siracusa. «Con gli Arabi - prosegue lo studioso - Panormos
diventa Al Balarm. Il termine moderno Palermo deriva dalla pronuncia araba del
greco Panormos. I normanni seguono l'esempio arabo, cioè scelgono Palermo
capitale. In Calabria invece dominano il Tirreno cosentino, vibonese e reggino,
ma di fatto lasciano lo Ionio. Lì rimangono i vescovi greci, però questi non
possono chiedere ai Bizantini di intervenire. Non sono più vescovi sotto un
imperatore di Bisanzio, non hanno più il potere di riscuotere le tasse,
prerogativa che spettava loro in precedenza, come il potere di organizzare
l'esercito. Sono il vescovo di Cassano e quello di Locri a mandare l'esercito
contro Ruggero. Non riescono comunque a frenare l'avanzata normanna. Ruggero
vince perché questi vescovi non hanno capacità strategiche nell'arte della
guerra. Tuttavia, sono loro i livelli più alti dell'amministrazione bizantina.
Non ci sono giudici, non c'è un generale. Nella battaglia di Cassano, il
vescovo greco indossa l'armatura, monta a cavallo e guida le truppe, seguito
dal protopapas mandato da Locri.
Perde, perché non sa condurre una battaglia. I vescovi erano stati buoni solo a
riscuotere tasse per mandarne una parte a Costantinopoli. In questa fase,
dunque, la Calabria è allo sbando.
Ma neanche i Normanni
istituiscono un forte governo. Si passa dal debole governo bizantino al debole
governo normanno. Altrettanto fragile sarà anche quello angioino. Queste terre
vivono per secoli in una palese debolezza istituzionale». Allora succede una
cosa nuova: «gli uomini che prima esercitavano la funzione di giudici,
formavano la corte, il tribunale, quelli che sapevano leggere e scrivere, gli
andragatoi, diventano i nuovi capi. Andrangata è un deverbale che deriva dal
verbo andragatizen. Se traduciamo andragatizen morfema per morfema dal greco al
calabrese, arriviamo ad andragatiàri. Nel dialetto reggino la G velare di
solito sparisce. La aguglia diventa aùgghia. Una gatta è la iatta. Per
conservare il suono velare GH mettono davanti la N. Allora andragatiàri diventa
andrangatiàri. Questa è la prova della provenienza reggina della parola. Il
verbo reggino andrangatiàri è un deverbale, sostantivo: quelli che esercitano
il potere di andragatiàri».
La conferma arriva dalla
cartografia europea. Trumper segnala che «olandesi e inglesi, nel '400,
chiamano la Calabria 'Andragathia regio', la regione della Andragathia, dove
governa il non governo. Per primi riconoscono questo fatto. Ciò significa che
la 'ndrangheta nasce, non solo come parola ma come istituzione, molto prima
della camorra che emerge tra '600 e '700. Fare camorria significa fare
compagnia. La camorra è una comitiva d'affari napoletana, a differenza della
mafia siciliana che irrompe nel 1825. Incarna la ribellione contro gli inglesi
che, dopo il congresso di Vienna del 1815, avevano ottenuto il controllo del
commercio della Sicilia e nel centro del Mediterraneo. I nobili siciliani non
se ne preoccupano, perché sono protetti, come i Borboni, dalla flotta inglese.
E poi vanno a divertirsi altrove. Ma i loro intermediari, la nuova classe
media, si ribellano, perché perdono la gestione dei traffici commerciali».
il manifesto, 18 agosto 2011
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