Lo strabismo analogico e il
coraggio della storia
Hanno fatto il deserto e l’hanno
chiamato democrazia. La democrazia è la lotta per la democrazia. Sono i temi
centrali dell’Intervista sul potere di
Luciano Canfora, a cura di Antonio Carioti, Editori Laterza, 2013.
All’analisi del «meccanismo
elitario del potere» Canfora ha dedicato studi assidui, con un’attenzione
particolare alle dinamiche continuità/mutamento nelle esperienze rivoluzionarie
dell’Ottocento e del Novecento. La “democrazia”, istituita nell’Atene dei
liberi e degli schiavi, è un processo conflittuale, è la lotta per il
superamento dell’oligarchia. Ma sono le tradizionali dinamiche di potere, anche
nelle fasi di rottura rivoluzionaria, a svolgere un ruolo determinante nei
processi storici. Certo, nelle fasi rivoluzionarie (in Francia, in Unione
Sovietica e nei paesi dell’est europeo, in Cina) si sperimentano percorsi di
ampliamento della base sociale del potere politico ed economico, ma le
dinamiche di continuità si riaffermano sistematicamente sul mutamento,
coniugandosi con i retroterra nazionali. È la storia del socialismo nell’Unione
Sovietica di Lenin e di Stalin, è la storia della “rivoluzione fascista” in
Italia, del “socialismo nazionale” in Germania, del «nazionalsocialismo» (la
definizione, folgorante, è di Canfora) nella Cina post-maoista. La storia
richiede un esercizio continuo di attraversamento della complessità, con il
coraggio dello «strabismo» (guardare contemporaneamente al passato e al
presente) e del pensiero analogico (assumersi il rischio delle connessioni tra
dinamiche molto distanti e diverse, apparentemente contraddittorie).
Il colloquio si svolge tra un
intellettuale comunista, storico di formazione filologica classica, e un
giornalista di cultura liberista. Con sapiente ironia e in dialogo con il
lettore, Canfora risponde alle provocazioni “comuni” dell’intervistatore (sulle
nefandezze del giacobinismo e del comunismo, sulle magnifiche sorti e progressive
dell’impresa e del mercato), e traccia il proprio percorso, anche
autobiografico, di storico e politico. La questione centrale per Canfora, fin
dal 1956, è l’analisi delle dinamiche di potere durante e dopo le crisi
rivoluzionarie. Da Budapest all’Atene di Pericle. Dalla “democrazia” ateniese
alle “democrazie popolari”, passando per la Francia del 1789-1815: «I giacobini
facevano molta confusione, usavano Plutarco e Tito Livio come una sorta di
Bibbia su cui giurare. […] A loro volta i bolscevichi avrebbero tratto gran
parte del loro lessico dall’esperienza francese, accusandosi reciprocamente di
essere bonapartisti o termidoriani. […] ritengo che trarre ispirazione da
alcuni segmenti dell’esperienza antica per giungere a una visione politica
avanzata non sia una forzatura arbitraria». Sui modelli di democrazia diretta aggiunge:
«Erodoto non fu creduto quando raccontò che il notabile persiano Otanes voleva
introdurre la democrazia nel suo paese. Gli Ateniesi avevano pensato che fosse
un’impresa impossibile, perché si trattava di un impero troppo vasto. Il modo
di superare quella difficoltà ai bolscevichi parve essere l’attribuzione di
poteri a un reticolo diffuso di consigli operai e contadini, i soviet.
L’esperienza della democrazia consiliare, in nome della quale venne compiuta la
rivoluzione d’Ottobre, si esaurì presto; resta il fatto che nacque come
tentativo di adattare al tempo presente il sistema assembleare: come dire, la
‘democrazia diretta’ dell’antica Atene».
E’ un esempio significativo dello
strabismo analogico con cui Canfora passa in rassegna le tematiche del
presente, scavando nel loro retroterra storico-culturale e assumendosi la
responsabilità del giudizio storico e politico sugli scenari a venire: la crisi
irreparabile della democrazia rappresentativa, la catastrofe della “Fortezza
Europa” a egemonia tedesca, il “tramonto” dell’Occidente, l’inevitabile
conflitto tra Cina e Stati Uniti d’America. Per venire al paesaggio italiano
(marginale nello scenario mondiale), l’agonia di un potere oligarchico
perennemente straccione, l’agonia di una “sinistra” compatibile e servile, il
deperimento delle istituzioni “democratiche”, lo smantellamento dello Stato
sociale, la distruzione della scuola pubblica e dell’Università, la debolezza
delle élites intellettuali
indispensabili a qualunque processo di reale cambiamento.
Ma allora? chiede allarmato
l’intervistatore appellandosi agli “ideali di libertà”. La risposta di Canfora
è lucidamente implacata: «L’antica prevalenza delle oligarchie […] nel tempo ha
avuto le declinazioni più variabili, senza mai scomparire. Che oggi riappaia
dopo due secoli di lotte democratiche memorabili […] pone problemi molto gravi.
Ed è ingenuo pensare di poter trovare facilmente un rimedio, anche perché molte
soluzioni sono state messe alla prova e hanno rivelato limiti insuperabili.
Faccio solo un esempio: alla fine della Prima guerra mondiale l’ipotesi
consiliare o sovietista, fondata sul primato delle assemblee operaie, ha
esercitato un fascino straordinario, da Torino a Düsserdolf e fino a Budapest,
ma è poi rapidamente appassita, perché ha dato luogo ad altre forme di
oligarchia. […] A mio parere, il luogo dove le tendenze oligarchiche dominanti
possono essere messe in discussione è il laboratorio immenso costituito dal mondo
della formazione e della scuola. […] È lì che l’educazione antioligarchica, su base
critica, può farsi strada».
Insomma l’eccezione alla regola,
dalla rivoluzione del 1789 in poi, è la lotta per la democrazia e per il
socialismo, con la consapevolezza della necessaria conoscenza, senza rimozioni
né autocensure, senza semplificazioni, delle esperienze storiche («Se non
conosce il passato del mondo in cui vive, il cittadino diventa un suddito»).
Perché la prossima fase rivoluzionaria, che sarà planetaria, prodotta dalla
crisi strutturale del capitalismo globalizzato, possa declinare in termini più
avanzati la teoria e la pratica della democrazia e del socialismo. La storia
non finisce mai.
“micropolis”, settembre 2013
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