Con il titolo Il leone e la volpe fu pubblicato nel
1995 da Einaudi un lungo dialogo tra Paolo Volponi e Francesco Leonetti: era la
rievocazione di un' amicizia lunga, nata negli anni Cinquanta al tempo della
rivista “Officina”, animata da Pasolini e Fortini, e la ricostruzione di un
clima politico-intellettuale, di un grande fervore di idee in cui emerge la
figura di un industriale atipico, Adriano Olivetti. Il “Corsera” pubblicò come
“anticipazione” alcuni brani del volume, tra i quali ho recuperato quello che segue centrato sulla
figura di Adriano Olivetti.
Francesco Leonetti e Paolo Volponi |
LEONETTI. Mi devi ricostruire con
maggiore precisione il tuo rapporto con Adriano Olivetti, in principio, con
riferimento alle idee, alle letture, all'ambiente a lui connesso.
VOLPONI. Io mi ero formato a Urbino praticamente per conto mio. I miei
professori erano amici che avevano qualche anno più di me ed erano più bravi
perché andavano a scuola; io non ci andavo e quindi seguivo loro anche nelle
letture. Però non andando a scuola andavo a vedere le botteghe e quindi sapevo
cosa erano il lavoro, l'organizzazione, gli operai, le ore di lavoro, la
durezza del lavoro, la fatica e le delusioni, la necessità del rinnovo di
impianti, le cambiali, le casse di risparmio che non danno credito, che non
danno fiducia a chi lavora e che mettono le piccole botteghe in condizione di
fare un lavoro stentato. Fui presentato ad Adriano da Carlo Bo e da Franco
Fortini. Il mio curriculum vitae lo
scrisse a macchina Franco Fortini nel 49 a Milano. Fortini lavorava
all'Olivetti ma non era un "olivettiano", nel senso che non era un
ammiratore di Adriano: aveva con lui dei conflitti. Si stimavano reciprocamente
e si disapprovavano: si criticavano molto però si rispettavano, tanto che
Fortini lavorava per Adriano e Adriano faceva lavorare Fortini, alla pubblicità
; e lui lo ripagava inventando dei nomi per le macchine; per esempio il nome
Lexikon l'ha inventato Fortini. Fortini mi conosceva attraverso un libretto di
poesie che avevo stampato nel 48. La mia conoscenza di Gramsci, allora, non
c'era per niente; e non c'era nemmeno la conoscenza dei testi di sociologia
industriale. Dove trovava Adriano i dirigenti? In quel momento, dopo la guerra,
doveva farseli, e allora faceva colloqui e puntava sugli intellettuali, sugli
uomini di ricerca, di fantasia, sui poeti, perché li riteneva portatori di una
capacità di operare, di innovare. Così aveva affidato la pubblicità a Sinisgalli,
un poeta, e Sinisgalli l'aveva ripagato bene perché la pubblicità della
Olivetti allora era esemplare, certamente fuori dall'ordinario, addirittura
bella. Aveva grandi architetti che gli avevano progettato fabbriche bellissime,
case per gli operai, un'urbanistica per la fabbrica di Ivrea. Ivrea non è mai
diventata un centro convulso, una periferia industriale nel senso corrente
della parola, una città squallida, come dormitorio, ma è rimasta una cittadina
che è cresciuta bene, con bei quartieri, belle case, servizi e trasporti
organizzati. Gli intellettuali che erano lì di che formazione erano? Di varia
formazione. C'era Pampaloni che era un cattolico, e quindi aveva una formazione
essenzialmente letteraria e politica, come un cardinale Richelieu che sa
suggerire al principe delle idee. Però c' era anche Bigiaretti di cui si sapeva
che votava per il Partito comunista, aveva fatto la Resistenza e probabilmente
aveva già' letto Gramsci. C'era Franco Momigliano che era un comunista e che
forse in qualche modo si può definire un sociologo, anche se allora la parola
sembrava strana; c'era Gallino che era in fabbrica e faceva studi ed
esperimenti in fabbrica, e poi ha scritto il primo testo di sociologia
industriale su quell'esperienza. E' passato per l'Olivetti anche Insolera; c'era
anche una certa cultura di sinistra rigidamente di classe, rappresentata soprattutto
da Fortini e anche da Insolera. Adriano mi ricevette a Milano, in uno studio
delle edizioni Comunità e mi interrogò . Che cosa gli interessava sapere da me?
Quanto io conoscessi della realtà di Urbino, come vivevo a Urbino, cosa
succedeva a Urbino, se c'era un piano regolatore a Urbino, quanti artigiani c'erano
e che cosa si produceva a Urbino e che cosa conoscevo io del mondo del lavoro.
Le mie letture erano state soprattutto letterarie. Avevo letto molto perché noi
quando avevamo dai tredici, quattordici anni fino ai vent'anni leggevamo molto,
l'estate la passavamo sui libri. Avevo letto tutti i romanzi dell'Ottocento
russo, e francese, poco Salgari, tutto Jack London. Libri che mi abbiano
illuminato nella scuola ce ne sono stati pochi, ma mi hanno appassionato molto
i testi della poesia: l'Orlando furioso,
i lirici greci, devo dire, l'Antologia di
Spoon River di Lee Masters, che mi ha fatto ritrovare un autentico mondo di
verità anche minute, fuori dalle visioni scolastiche e accademiche, fuori dalle
finzioni che la letteratura ancora dava alla realtà , che era un modo di non
capire e di non vedere la realtà stessa. Sul piano politico che cosa avevo
letto? Verri, Cattaneo; e prima Campanella, qualcosa di Bruno perché ero
appassionato dall'idea di questi personaggi dell'eresia non letteraria, di
coraggiosi, perché io soffrivo molto, ero nevrotico, chiuso: avevo vent'anni
nel 44, e il 44 era gia una data terminale della liberazione: ma nel 40 avevo
sedici anni, nel 41 c'era l'oscuramento fuori e poi si aveva paura del nemico
che volava sopra di noi, c'era anche fra noi un pesante oscurantismo. Gli altri
che erano all'Olivetti erano secondo me più preparati, per esempio Momigliano,
Guiducci, Pizzorno. Poi c'era una corrente di scienziati, di urbanisti, dei
quali mi sfugge ora anche il nome, che si sono formati all'Olivetti, che hanno
fatto lì le loro esperienze. La lettura e la scoperta di Gramsci e dei problemi
del taylorismo e dell'alienazione sono venuti insieme, secondo me. Intanto io
avevo conosciuto Pier Paolo Pasolini che è stato un mio maestro insieme ad
Adriano. Pasolini, che ho conosciuto nel ' 52, mi ha aperto anche a certi
studi: mi chiamava "marxista lirico" perché io sono un uomo un poco
approssimativo, forse, ma il termine era anche un augurio. Le mie scoperte sono
state fatte in questo largo ambiente: Olivetti, Pasolini, la sociologia, l'
urbanistica, la rivista "Officina", dove ho incontrato te. (...)
Corriere della Sera, 5 febbraio 1995
Corriere della Sera, 5 febbraio 1995
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