Su “L'Espresso” del 21 settembre
1980 Leonardo Sciascia commentava la (allora) recente uccisione, all’interno
del Convento di Santa Maria di Gesù, a Palermo, di un frate, padre Giacinto, al
secolo Stefano Castronovo, le cui attitudini e abitudini – tra cui quelle di
girare armato di tutto punto e di organizzare in convento festini non casti -
lasciavano pochi dubbi sulle sue relazioni con il mondo della mafia militante.
(S.L.L.)
Negli anni della mia infanzia, ad
ogni estate passava per le campagne un monaco raccoglitore: a cavallo di una
mula, sudicio, barbuto e tenebroso. Era un'apparizione consuetudinaria ed attesa,
e tuttavia dava una suggestione e soggezione che somigliavano alla paura. Attesa
perché portava la cosiddetta "santa figliolanza": un foglio
silografato con preghiere che si credeva servissero a scongiurare i lampi, che
nei primi temporali dell'autunno facevano sempre qualche vittima. Per quel
foglio, al monaco non bastavano quei pochi soldi che ne erano il prezzo: voleva
sempre altro, frumento, olio, mandorle, pistacchi. A noi bambini si
raccomandava sempre di non avvicinarlo: e ci raccontavano terribili storie di
monaci con carabine sotto la tonaca e capaci di ogni scelleratezza.
Questa immagine, inscritta tra i
terrori infantili, ha avuto poi tante conferme: il monaco di Santo Stefano
Quisquina che aveva sparato sul vescovo di Agrigento, i monaci di Mazzarino...
Ricordo di essere andato con Enrico
Emanuelli a Mazzarino, per i fatti in cui i monaci di quel convento erano
implicati. Sentimmo tanti ridevoli e atroci aneddoti, ma atrocissimo ci sembrò
quello - e mi pare Emanuelli l'abbia trascritto nel suo articolo - del monaco
che, entrato nella farmacia il cui proprietario non voleva cedere al ricatto,
si avvicinò a carezzare il bambino, su cui era stato mosso il ricatto, dicendo:
"Quanto è bello, sembra vivo." Come a dire, visto che il padre non
pagava, che si poteva considerarlo morto.
Ben lontani insomma e da fra
Galdino e da padre Cristoforo. E a parte i casi eclatanti, credo che una
tradizione di perversità, di delinquenza, di oscuri e sicuri ricetti e
ricettazioni percorra la storia di certi conventi siciliani. E siamo a padre
Giacinto. Ben conosciuto per i suoi libertinaggi e per i suoi intrallazzi, mai
che un padre provinciale si sia scomodato a scomodarlo: magari a fargli fare un
comodo viaggio fino a Rimini (dove, se ricordate, a piedi fu mandato padre
Cristoforo da Pescarenico). In quanto agli altri poteri, credo se lo tenessero
caro e se ne servissero: e ho l'impressione che la sua esecuzione sia stata decretata
in quanto sospetto di delazione. Tra le tante attività, di cui parlano i
giornali, una ne aveva padre Giacinto che è tipica del "confidente",
e cioè l'usura. (In questo momento, a Palermo, credo che la mafia stia facendo
pulizia di tutti i sospettati di "confidenza".) Che padre Giacinto lo
fosse, non si può affermarlo: ma l'ipotesi è tra le più ragionevoli.
E viene da immaginare tutta una storia alla Graham Greene in versione siciliana: questo prete a un certo punto braccato e dal poliziotto e dal mafioso; il poliziotto per strappargli confidenze, il sicario mafioso per definitivamente impedirgliele. E l'Ordine, il sacramento dell'Ordine, dentro questo uomo spavaldo, avido, libertino: una piccola luce vacillante. Avrà avuto, sotto i colpi che l'hanno ucciso, un più vivido guizzo?
E viene da immaginare tutta una storia alla Graham Greene in versione siciliana: questo prete a un certo punto braccato e dal poliziotto e dal mafioso; il poliziotto per strappargli confidenze, il sicario mafioso per definitivamente impedirgliele. E l'Ordine, il sacramento dell'Ordine, dentro questo uomo spavaldo, avido, libertino: una piccola luce vacillante. Avrà avuto, sotto i colpi che l'hanno ucciso, un più vivido guizzo?
Ora in A futura memoria, Tascabili Bompiani, V ed. 2012
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