Da un vecchio “alias” riprendo
gran parte di un bell’articolo che smonta alcune favole e ridicolizza alcuni
riti. (S.L.L.)
(...) Grazie ai più recenti studi storici
dei popoli antichi, si manda definitivamente in soffitta la leggenda delle origini
celtiche del popolo veneto ritenute invece rigorosamente autoctone. Mentre
nella confinante Lombardia i Celti arrivarono secoli prima conquistandola, nel
Veneto angulus, cosi definito dai
Romani, i Celti si insediarono a piccoli e pacifici gruppi solo attorno al V
sec. a.C. e influenzarono più le leggi del mercato e della moda, a colpi di
fibule ed orecchini a terminazione complessa, anelli e armille a sella o a
viticci, che il sistema di potere del popolo veneto ritenuto dagli studiosi,
nell’Italia antica, secondo solo agli Etruschi.
Teopompo ((380 a.C.) scriveva che
nel IV sec. a.C. nel Veneto erano attive 50 città, tutte collegate col mare.
Alcune come Adria vi sorgevano in prossimità, altre come Padova vi si
collegavano attraverso il Medoaco, altre ancora come Vicenza o Oderzo erano
collegate al mare tramite piccoli canali. Ateste sorgeva sulle rive dell’Adige,
Atesis, prendendone il nome.
Grandi o piccoli centri che fossero
fatto stà che nel V sec. a.C i Veneti vantavano già da almeno 400 anni una
struttura statale ormai consolidata sia politicamente che economicamente e
culturalmente. «Mentre nella vicina Lombardia i Celti si sono già stanziati
dall’età del bronzo, in Veneto arrivano a piccoli gruppi e non riescono ad
influenzare in modo rilevante la società. Le prime avvisaglie si registrano nel
V sec. a.C. ma il celtismo sarà sempre una fenomeno della marginalità - spiega
Angela Ruta Serafini, già direttrice del Museo Nazionale Atestino e autrice di numerosi
saggi sui Celti nel Veneto – scelgono di stare ai margini della società, si
insediano in centri poco importanti, si dedicano alla agricoltura o alla
pastorizia. Costituiscono un ceto medio basso che svolge anche opera di
mercenariato».
La leggenda che vuole Lombardi e
Veneti uniti da origini comuni celtiche, dunque, è una ricostruzione errata
delle vicende storiche per nulla confermata dalle testimonianze archeologiche
né dagli studi epigrafici o linguistici. Il rito dell’ampolla non ha nulla a che
fare, pertanto, con le origini dell’antico popolo chiamato dai Romani la X
regio Venetia ed Histria la quale, già nel VI sec. a.C., vantava una propria
tradizione scrittoria, segno di una evidente unità linguistica.
Il padovano Tito Livio narra di una
prima calata di contingenti celtici tra l’inizio del VI sec. e l’incendio di
Roma (390 o 396 a.C.). «L’inserimento dei Celti all’inizio avviene come una
pacifica integrazione delle diverse etnie di Celti, Etruschi ed indigeni
probabilmente su basi commerciali o come forza lavoro o di mercenariato»
conferma la professoressa Loredana Capuis, docente di Civiltà dell’Italia
preromana all’università di Padova, nonché membro dell’Istituto Nazionale di
Studi Etruschi ed Italici, nel suo volume I
Veneti.
Le invasioni storiche legate al
nome di Brenno portano gli Insubri nella Lombardia centro occidentale, i
Cenomani tra Oglio e Mincio, fino a Verona, i Boi e i Lingoni in Emilia, i Senoni
nelle Marche. Solo il Veneto viene risparmiato anche se nel territorio di
frizione con i Cenomani, tra Mincio-Tartaro-Adige, i cambiamenti sul piano
economico e culturale sono evidenti.
Per Adria, invece, non esiste
alcun riscontro archeologico di una dominazione celtica: i pochi oggetti
celtici ritrovati in alcune tombe del IV e III sec. sono parte di arredi
pregiati che circolavano genericamente in quel periodo mentre la maggior parte degli
altri oggetti di corredo, ceramiche, perle d’ambra o oreficerie, sono di
tradizione etrusca. Cosi come le iscrizioni che sono per lo più greche ed
etrusche tranne una, riferibile ad onomastica celtica.
Non risulta realistica nemmeno la
tesi dell’occupazione celtica di Adria provata dalla sepoltura dei cavalli,
rito funebre diffuso tra i Celti, assieme ai carri di cavalli. Tra i Veneti,
infatti, le sepolture di
cavalli sono diffuse già dal VI
secolo. «Non si deve mai parlare di origine ma di formazione di un popolo - spiega
la professoressa Capuis - un popolo c’è, si trasforma per contatti commerciali
con gli altri popoli. Certo non si possono escludere gli arrivi ma non quelli di
massa. Tutti i grandi salti culturali sono legati agli arrivi di mode e di
merci che portano nuove conoscenze e nuove tecniche, gli artigiani aprono nuove
botteghe».
La calata dei barbari è dunque un
mito antistorico. «Ci sono stati piccoli spostamenti, piccole migrazioni per lo
più di stampo commerciale. Le invasioni sono eventi particolari ma non
avvengono in epoca storica - conclude la studiosa - in Veneto poi l’arrivo dei Celti,
a differenza di quello che succede in Lombardia, la penetrazione è lenta e di
tipo commerciale e porta al diffondersi di mode celtiche, soprattutto di
gioielli. Si insediano in territori poco sfruttati e si venetizzano con
matrimoni misti. Gli scavi ci rivelano che si trattava di gruppi di agricoltori
o di pastori. Ad esempio nelle tombe troviamo le cesoie tipico mezzo per tosare
le pecore».
In quanto ai matrimoni misti
nelle ricche tombe paleovenete (la Benvenuti 123 ad Este) compaiono nomi di donne
venete con gamonimico di origine celtica o di donne di origine celtica con
gamonimico veneto. Lo rivelano gli studi di Aldo Luigi Prosdocimi, professore
ordinario di glottologia all’università di Padova nonché tra i più importanti studiosi
delle lingue e dialetti dell’Italia antica. «Quando la romanizzazione è ormai
una realtà nel Veneto si insediano piccole comunità di Cenomani in zone marginali
come, nell’estense, Arquà Petrarca ai margini sud orientali
dei colli Euganei o Megliadino San
Fidenzio, tra Montagnana ed Este».
Diversa è invece la situazione nel
veronese dove i Cenomani arrivano nel III sec. a.C. in zone poco o per niente
occupate dai veneti come Povegliano, Vigasio, Valeggio, Nogarole Rocca e Isola
Rizza. Qui si integrano perfettamente nella comunità romana. Idem per l’area tra
Lessinia ed Alto Vicentino, vicina all’area retica, dove luoghi di culto,
lingua ed oggetti quali fibule, cesoie, falci, asce, indicano probabili
presenze celtiche. Stabili comunità celtiche sono presenti anche nel Veneto orientale
ai cui margini vivevano comunità carniche. A testimoniarlo sepolture di
guerrieri con la spada deposta lungo il fianco destro.
Ma allora quali sono le origini dei
veneti? «Molto probabilmente - spiega Ruta Serafini – si tratta di una
popolazione autoctona trasformatasi a contatto con gli altri popoli». Pura
leggenda anche le origini orientali dei Veneti, che li voleva originari dalla
lontana Paflagonia. Una leggenda alimentata dai Romani che con Virgilio e
Livio, voci ufficiali del regime di Augusto, in un clima di chiara propaganda politica,
sponsorizzano la comune origine tra i due popoli e parlano di origine troiane
dei veneti legate alla saga di Antenore ed Enea. L’obiettivo è legittimare, sulla
base del mito, l’alleanza con Roma che porterà poi Veneti e Cenomani ad
allearsi all’Urbe proprio in funzione anticeltica. Le stesse origini attribuite
700 anni prima, nel V sec. a.C. da Sofocle. Anche in questo caso per fornire legittimazione
all’espansionismo commerciale di Atene nel mare Adriatico.
“alias - il manifesto”, 12 novembre 2011
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