27.10.13

Popoli antichi. L’origine dei Veneti (Beatrice Andreose)

Da un vecchio “alias” riprendo gran parte di un bell’articolo che smonta alcune favole e ridicolizza alcuni riti. (S.L.L.)

(...) Grazie ai più recenti studi storici dei popoli antichi, si manda definitivamente in soffitta la leggenda delle origini celtiche del popolo veneto ritenute invece rigorosamente autoctone. Mentre nella confinante Lombardia i Celti arrivarono secoli prima conquistandola, nel Veneto angulus, cosi definito dai Romani, i Celti si insediarono a piccoli e pacifici gruppi solo attorno al V sec. a.C. e influenzarono più le leggi del mercato e della moda, a colpi di fibule ed orecchini a terminazione complessa, anelli e armille a sella o a viticci, che il sistema di potere del popolo veneto ritenuto dagli studiosi, nell’Italia antica, secondo solo agli Etruschi.
Teopompo ((380 a.C.) scriveva che nel IV sec. a.C. nel Veneto erano attive 50 città, tutte collegate col mare. Alcune come Adria vi sorgevano in prossimità, altre come Padova vi si collegavano attraverso il Medoaco, altre ancora come Vicenza o Oderzo erano collegate al mare tramite piccoli canali. Ateste sorgeva sulle rive dell’Adige, Atesis, prendendone il nome.
Grandi o piccoli centri che fossero fatto stà che nel V sec. a.C i Veneti vantavano già da almeno 400 anni una struttura statale ormai consolidata sia politicamente che economicamente e culturalmente. «Mentre nella vicina Lombardia i Celti si sono già stanziati dall’età del bronzo, in Veneto arrivano a piccoli gruppi e non riescono ad influenzare in modo rilevante la società. Le prime avvisaglie si registrano nel V sec. a.C. ma il celtismo sarà sempre una fenomeno della marginalità - spiega Angela Ruta Serafini, già direttrice del Museo Nazionale Atestino e autrice di numerosi saggi sui Celti nel Veneto – scelgono di stare ai margini della società, si insediano in centri poco importanti, si dedicano alla agricoltura o alla pastorizia. Costituiscono un ceto medio basso che svolge anche opera di mercenariato».
La leggenda che vuole Lombardi e Veneti uniti da origini comuni celtiche, dunque, è una ricostruzione errata delle vicende storiche per nulla confermata dalle testimonianze archeologiche né dagli studi epigrafici o linguistici. Il rito dell’ampolla non ha nulla a che fare, pertanto, con le origini dell’antico popolo chiamato dai Romani la X regio Venetia ed Histria la quale, già nel VI sec. a.C., vantava una propria tradizione scrittoria, segno di una evidente unità linguistica.
Il padovano Tito Livio narra di una prima calata di contingenti celtici tra l’inizio del VI sec. e l’incendio di Roma (390 o 396 a.C.). «L’inserimento dei Celti all’inizio avviene come una pacifica integrazione delle diverse etnie di Celti, Etruschi ed indigeni probabilmente su basi commerciali o come forza lavoro o di mercenariato» conferma la professoressa Loredana Capuis, docente di Civiltà dell’Italia preromana all’università di Padova, nonché membro dell’Istituto Nazionale di Studi Etruschi ed Italici, nel suo volume I Veneti.
Le invasioni storiche legate al nome di Brenno portano gli Insubri nella Lombardia centro occidentale, i Cenomani tra Oglio e Mincio, fino a Verona, i Boi e i Lingoni in Emilia, i Senoni nelle Marche. Solo il Veneto viene risparmiato anche se nel territorio di frizione con i Cenomani, tra Mincio-Tartaro-Adige, i cambiamenti sul piano economico e culturale sono evidenti.
Per Adria, invece, non esiste alcun riscontro archeologico di una dominazione celtica: i pochi oggetti celtici ritrovati in alcune tombe del IV e III sec. sono parte di arredi pregiati che circolavano genericamente in quel periodo mentre la maggior parte degli altri oggetti di corredo, ceramiche, perle d’ambra o oreficerie, sono di tradizione etrusca. Cosi come le iscrizioni che sono per lo più greche ed etrusche tranne una, riferibile ad onomastica celtica.
Non risulta realistica nemmeno la tesi dell’occupazione celtica di Adria provata dalla sepoltura dei cavalli, rito funebre diffuso tra i Celti, assieme ai carri di cavalli. Tra i Veneti, infatti, le sepolture di
cavalli sono diffuse già dal VI secolo. «Non si deve mai parlare di origine ma di formazione di un popolo - spiega la professoressa Capuis - un popolo c’è, si trasforma per contatti commerciali con gli altri popoli. Certo non si possono escludere gli arrivi ma non quelli di massa. Tutti i grandi salti culturali sono legati agli arrivi di mode e di merci che portano nuove conoscenze e nuove tecniche, gli artigiani aprono nuove botteghe».
La calata dei barbari è dunque un mito antistorico. «Ci sono stati piccoli spostamenti, piccole migrazioni per lo più di stampo commerciale. Le invasioni sono eventi particolari ma non avvengono in epoca storica - conclude la studiosa - in Veneto poi l’arrivo dei Celti, a differenza di quello che succede in Lombardia, la penetrazione è lenta e di tipo commerciale e porta al diffondersi di mode celtiche, soprattutto di gioielli. Si insediano in territori poco sfruttati e si venetizzano con matrimoni misti. Gli scavi ci rivelano che si trattava di gruppi di agricoltori o di pastori. Ad esempio nelle tombe troviamo le cesoie tipico mezzo per tosare le pecore».
In quanto ai matrimoni misti nelle ricche tombe paleovenete (la Benvenuti 123 ad Este) compaiono nomi di donne venete con gamonimico di origine celtica o di donne di origine celtica con gamonimico veneto. Lo rivelano gli studi di Aldo Luigi Prosdocimi, professore ordinario di glottologia all’università di Padova nonché tra i più importanti studiosi delle lingue e dialetti dell’Italia antica. «Quando la romanizzazione è ormai una realtà nel Veneto si insediano piccole comunità di Cenomani in zone marginali come, nell’estense, Arquà Petrarca ai margini sud orientali
dei colli Euganei o Megliadino San Fidenzio, tra Montagnana ed Este».
Diversa è invece la situazione nel veronese dove i Cenomani arrivano nel III sec. a.C. in zone poco o per niente occupate dai veneti come Povegliano, Vigasio, Valeggio, Nogarole Rocca e Isola Rizza. Qui si integrano perfettamente nella comunità romana. Idem per l’area tra Lessinia ed Alto Vicentino, vicina all’area retica, dove luoghi di culto, lingua ed oggetti quali fibule, cesoie, falci, asce, indicano probabili presenze celtiche. Stabili comunità celtiche sono presenti anche nel Veneto orientale ai cui margini vivevano comunità carniche. A testimoniarlo sepolture di guerrieri con la spada deposta lungo il fianco destro.
Ma allora quali sono le origini dei veneti? «Molto probabilmente - spiega Ruta Serafini – si tratta di una popolazione autoctona trasformatasi a contatto con gli altri popoli». Pura leggenda anche le origini orientali dei Veneti, che li voleva originari dalla lontana Paflagonia. Una leggenda alimentata dai Romani che con Virgilio e Livio, voci ufficiali del regime di Augusto, in un clima di chiara propaganda politica, sponsorizzano la comune origine tra i due popoli e parlano di origine troiane dei veneti legate alla saga di Antenore ed Enea. L’obiettivo è legittimare, sulla base del mito, l’alleanza con Roma che porterà poi Veneti e Cenomani ad allearsi all’Urbe proprio in funzione anticeltica. Le stesse origini attribuite 700 anni prima, nel V sec. a.C. da Sofocle. Anche in questo caso per fornire legittimazione all’espansionismo commerciale di Atene nel mare Adriatico.


“alias - il manifesto”, 12 novembre 2011

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