Con il titolo che ho ripreso (Alla fine del Politecnico) “il
manifesto” del 28 settembre 1975 pubblicò una lettera di Elio Vittorini a
Franco Fortini dell’ottobre 1947, preceduta da una nota del destinatario.
I due testi sono poi entrati nel I° volume della silloge fortiniana Disobbedienze, da cui li ho tratti. (S.L.L.)
I due testi sono poi entrati nel I° volume della silloge fortiniana Disobbedienze, da cui li ho tratti. (S.L.L.)
Franco Fortini |
La premessa di Fortini
Molto si viene scrivendo in
questi giorni, nel trentennale del «Politecnico» (il primo numero è del 29
settembre 1945, pochi giorni prima che a a Parigi uscisse il primo numero di «Les temps modernes» di Sartre) e in
occasione del reprint edito da Einaudi.
Sull'argomento la bibliografia è
troppo lunga per aggravarla con interventi d'occasione. Per quanto è di
Vittorini, poi, si tornerà a parlare certo di lui organizzatore di cultura, con
miglior fondamento di quaanto oggi si faccia, quando si abbia la pubblicazione,
annunciata, del suo epistolario. Contro chi oggi se lo annette quale «compagno
di sempre» come contro chi gli fa lezione di istituzioni marxiste alla moda
dell'anno corrente, mi pare che quanti allora collaborarono con lui meglio
facciano rinviando alla lettura diretta della rivista.
La lettera che Vittorini mi
indirizzò (fino a due mesi prima vivevo a Milano e ci si vedeva quasi tutti i
giorni) precede di poco la comparsa dell'ultimo numero del mensile. Ero a
Ivrea, impiegato alla Olivetti (la «direzione» di cui parla la lettera). E il
titolo che suggerisce e che accettai è sulla linea di quello che avevo dato (Biographie d'un jeune bourgeois intellectuel)
a uno scritto autobiografico comparso in settembre nel numero di «Les Temps
Modernes» dedicato all'Italia (n.23-24) e il cui sommario era stato concordato
in casa di Vittorini. Elio non considerava affatto l'ipotesi della fine del
periodico se pensava di chiedere, il 5 di novembre, la collaborazione di
Giacomo Noventa. Gli scriveva: «Perché non ci spieghi, in uno studio, o una
serie di studi, che cosa sia Pareto e quale sia stata (o "possa ancora
essere") la sua influenza in Italia? Il lavoro che Gramsci ha svolto per
qualche punto è da svolgere per punti infiniti... C'è persino un Giustino
Fortunato di cui ancora sbrigarsi. Ma Pareto, Pareto, Pareto!!!». Noventa, il
poeta e il saggista cattolico che la sinistra italiana con allegra ignoranza ha
regalato alla destra: ecco a chi si rivolgeva Vittorini, perché scrivesse di
uno che, con Croce e Gentile, Noventa chiamava gli autori delle «teorie del
fascismo prima della guerra Etiopia». È vero che aggiungeva:«Vorrei solo che tu
evitassi, per la delicata posizione politica in cui "Politecnico" si
trova, degli argomenti esplicitamente politici...».
Qualche giovane provi ad
ascoltare il timbro della lettera di Vittorini. Non vi parla di me ma di se
stesso e dell'allora, di un modo di pensare progettare occuparsi del destino
dei compagni e degli amici che oggi sembra tanto più lontano quanto più era
ancora vicino agli anni del rischio e della morte. In che misura il trentenne
che ero abbia saputo guardarsi dai pericoli di cui Elio parlava con tanta
lucidità da far credere, oggi, che parlasse per il se stesso avvenire, quello
del «Menabò» («il nostro contatto... con la cultura autocritica della
borghesia»), non sta a me dirlo. (Credo di averlo fatto, nella sostanza). Mi basta
qui indicare lo spazio grande della sua fraternità e intelligenza. «Gli uomini
del 'questo e quello'»... Non è meno difficile e doveroso oggi di ieri.
La lettera di Vittorini
Milano 27 ottobre 1947
Franco Fortini c/o
Olivetti S.A.
Ivrea (Aosta)
Mio caro Franco,
il tuo articolo Rivoluzione
e Conversione mi sembra molto buono. Ottimo. Anche Vergogna della Poesia è
un buon articolo. Il primo (migliore del secondo) avrebbe meritato di essere
più sviluppato causa l'importanza della questione che tocchi. Ma puoi tornarci
su un'altra volta. Solo vorrei avvertirti su certi pericoli. Ti sei messo a
fare dei periodi lunghissimi che ingarbugliano un po' il tuo pensiero. Inoltre
continui ogni tanto nel vecchio verso delle citazioni non in italiano, e nell'ornamento
di parole dotte, non però tecniche (non dunque necessarie). Di tutto questo ti
avverto per il seguito della tua collaborazione. Non voglio farti perdere tempo
a correggere gli articoli già pronti. Tempo non ce n'è. Non abbiamo tempo, di
fronte alle cose che accadono, di correggere il già fatto. Occorre correggerci
nel fare quello che segue. Caro Franco, le nuove posizioni di lotta sono certo
più impegnative, e certo noi dobbiamo portarci su di esse, ma non per questo
occorre lasciare da parte niente di quello che si può riassumere, come
esperienza comune, nel lavoro che abbiamo chiamato «Politecnico». Solo che
occorre svolgere tale lavoro più tempestivamente e, nello stesso tempo, più
criticamente, più analiticamente, più seriamente.
A proposito, mi sembra di doverti
avvertire anche su un altro pericolo che tu a volte corri. Quello di metterti
in posizione di scelta. (Anche dialetticamente; nel ragionamento; e lo fai
anche a un certo punto nel tuo ultimo articolo). La posizione di aut aut. In una posizione simile un
protestante (come tu sei in effetti, e come io sono in potenza) finisce
fatalmente per fare il gioco della reazione. Tutto quello che gli è
culturalmente più caro si trova protetto (in apparenza) dallo schieramento
reazionario, ed egli sa bene che quello è lo schieramento reazionario, ma
accetterà di schierarsi con la reazione come Socrate accettò la cicuta, come
gli stoici accettavano la morte. Questo non toglie che accetta la reazione...
Non bisogna, Franco. Non dobbiamo
nemmeno dirci «questo o quello». Dobbiamo essere gli uomini del «questo e
quello». Cioè della nuova posizione di azione e allo stesso tempo della nuova
posizione di coscienza. Noi dobbiamo fare di tutto perché la nuova posizione di
azione non ci riporti alla vecchia posizione di coscienza (al marxismo di prima
di Gramsci ecc.). Anzi, dobbiamo far sì che la nuova posizione di coscienza
diventi in assoluto la coscienza della nuova posizione di azione. E persino che
il nostro contatto (Politecnico) con la cultura autocritica della borghesia
diventi vantaggioso per la nuova posizione d'azione. In particolare questo
discorso vale per il tuo Diario dei trent'anni.
Fai attenzione nell'andare
avanti. Può sembrare qua e là che tu cerchi di mediare. E oggi non si tratta di
mediare. Tu oscilli tra una valutazione operaistica-razzistica dell'operaio (da
intellettuale che si sente in colpa) e una condiscendenza al senso comune (sia
morale che razionale) come te lo trovi suggerito dai dirigenti d'azienda. Se da
un lato cadi nel misticismo, dall'altro ti presti a una funzione di riformista:
quella classica a cui la borghesia vuol limitare il socialismo, e di cui ogni
buon borghese dirigente vorrebbe investire ogni intellettuale progressivo che
gli presta il proprio lavoro. È questo che si sente qua e là nel tuo diario.
E io ti dico attenzione non per
il tuo diario. Te lo dico per te stesso e per tutto quello che tu puoi essere
intellettualmente. Guardati, cioè, dalla «direzione». E fai che Ruth ti aiuti a
guardartene. Non meno che a guardarti da quell'altro estremo, il mistico. Per
il Diario
ti proporrei come titolo, Diario di un piccolo borghese. Così
tu vi prenderesti una posizione autocritica e saresti marxisticamente
giustificato per tutto quello che dici. Ma, si capisce, dovresti essere tu ad
assumertelo, un titolo simile: e continuare in funzione di tale titolo. Mica
dovrebbe essere la rivista a dartelo. Poi, per indulgenza verso la nostra
impaginazione, ti sarei grato se per ogni capoverso mettessi un sottotitolo.
(Dopo aver scritto il capoverso, naturalmente). Per il tuo lavoro (a parte il
Dante e Manzoni) vorrei suggerirti: 1) Una tua analisi dello scritto di Gramsci
che tanto ti è piaciuto in «Società». Una tua analisi che sostituisse in
«Politecnico» quel testo in sé così adatto a «Politecnico» - e con le citazioni
essenziali incluse - senza rimandi a «Società». Parlo di Avviamento allo studio della
filosofia eccetera. Era
questo che tu dicevi o no? 2) Un tuo saggio sulla questione da me accennata nel
cappello all'articolo di Del Buono sul romanzo nero. Credo che tu te la senta
molto. Che sia anzi una questione tipicamente tua. Il resto proponi tu stesso.
Ma vieni a Milano per parlare un
po'. Io ora ci sono fino al 3 novembre compreso.
Molti cari saluti insieme alla
Ruth e anche da Ginetta.
tuo Elio
Stiamo preparando un blocco di
articoli su Cervantes e uno su Faulkner. Vorrei sapere se ti interessa scrivere
su questi due argomenti. Ma dovresti dirmi su quale testo in particolare.
Vorrei che il lavoro venisse fuori organico.
Ti mando a parte l'Ungaretti. Ma
questo significa che scriverai un saggio su Ungaretti, non è vero? Un saggio,
come è detto a proposito di Kafka, ma già «civile» non soltanto letterario...
Non mi mandare al diavolo.
Circa il nostro lavoro per
l'antologia svizzera, mi hai mandato una lista di nomi, (ci penso io - pensi tu
- ) ma non mi dici né i passi che hai scelto, né che cosa debbo chiedere
scrivendo ecc.
Franco Fortini, Disobbedienze, I. Gli anni dei movimenti
1972-1985, manifesto libri, 1997
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