Lev Tolstoj |
Esistono oggi in Unione
Sovietica due edizioni principali delle opere di Lev Tolstoj:
l'edizione completa, detta anche del giubileo (Polnoe sobranie
socinenij, 1928-1958, in novanta volumi), e un'edizione ridotta
in venti volumi (Sobranie socinenij) uscita dopo il 1960. Entrambe
sono realizzate con la solidità senza sfarzo caratteristica dei
libri russi, con in più l'amore che la Russia dedica a Tolstoj:
testi scrupolosamente curati, introduzioni e commenti chiari e
concreti dentro le solite austere rilegature a prova di martello.
L'unico inconveniente dell'edizione maggiore è che è ormai
introvabile salvo che nelle biblioteche. L'altra, al contrario,
tirata a centinaia di migliaia di copie, si trova dappertutto. Sono
poche le case sovietiche in cui i suoi venti volumi non stiano lì,
nella scansia dei libri, come pane dello spirito (e ho sentito dire
da più di un giovane sovietico che spesso la polvere vi si ammucchia
sopra: i giovani preferiscono letture che sembrano loro più
eccitanti; e forse hanno ragione, dal loro punto di vista, di non
simpatizzare con uno scrittore anche troppo ufficialmente
accreditato).
Questo Tolstoj per
famiglia non è ridotto solo di volume. Al passaggio dai novanta ai
venti volumi presiede una precisa linea riduttiva, diciamo
agiografica-ideologica, che non tocca ovviamente i romanzi e i
racconti, e investe invece gli scritti memorialistici e dottrinari
(che fecero già paura all'autocrazia zarista e sembra non abbiano
smesso di farne). Il lavoro di duplice riduzione è più che altrove
evidente nei Diari, che offrono una summa, sia pure
frammentaria, della vita e del pensiero tolstoiani. Nei due volumi
dedicati ai Diari da Sobranie socinenij il culto
tolstoiano passa francamente in agiografia. L'operazione può anche
essere benintenzionata: evitare che nei bambini insorgano domande
imbarazzanti; ma non fa capire bene Tolstoij com'era.
Nel confronto fra i due
testi, quello intero e quello ridotto, colpisce subito l'inizio. Nel
secondo si legge: « Da sei giorni sono in clinica e da sei giorni
sono quasi soddisfatto di me. Qui sono completamente solo, nessuno
m'importuna ecc. ». Perché fosse in clinica, non si sa. Ma si viene
a sapere leggendo il testo intero, che aggiunge fra le due frasi: «Ho
preso la "gonorrea", ovviamente per quello per cui di
solito si prende». L'edizione «familiare» è costellata di queste
omissioni per rossore puritano. Tutta una fetta dell'esistenza del
diarista è cancellata con scrupolo. Altri esempi di frasi omesse:
«L'eruzione cutanea non finisce, e io sono convinto che è venerea»
(4 giugno 1852): «Oggi sono stato coi levrieri, ho dormito, c'è
stata una P... (chiaramente, una prostituta)» (5 ottobre 1852); «
Dopo cena sono andato in cerca di ragazze, ma senza successo. Domani
a qualunque costo devo avere una ragazza » (29 giugno 1853).
Sono qui pudicamente
sottaciute non solo le questioni di meretrici e malattie veneree, ma
tutto ciò che può apparire non edificante, come il giucco o
l'incontinenza di gola. Non vi si trova ciò che Tolstoi scrive di sé
il 16 giugno 1852: «Per tutto il giorno sono stato incontinente. Mi
sono ingozzato di dolci turchi, gelato e altre porcherie»; o il 30
giugno 1853:« Durante la giornata ho dormito e giocato a carte. Ho
bevuto insieme a B e mi sono ubriacato. Domani mattina presto penserò
alla ragazza»; o il 10 ottobre 1854: « Ho ricevuto un po' di
denaro. Ne ho sciupato parecchio in sciocchezze: ho giocato a carte,
ho comprato un cavallo e mi sono trasferito in un nuovo
appartamento», a cui segue il 21 dello stesso mese, l'annotazione
drammatica: « Ho perso tutto a carte ».
Quanto al Tolstoj
ideologo, è evidente che l'edizione ridotta non può ignorarlo, dato
il posto e il peso che le annotazioni dottrinarie, politiche e
filosofiche, hanno nei Diari, soprattutto dopo il 1880. Ma si
cerca di liquidarlo in anticipo, nelle introduzioni e nelle note,
opponendo all'utopismo volontarismo moralismo ruralismo tolstoiani la
difesa leninista (in polemica col tolstoismo) del marxismo
scientifico (viene da pensare, a questo proposito, che forse Tolstoj
avrebbe capito la rivoluzione cinese meglio degli epigoni di Lenin).
Non manca poi, anche in questa parte, qualche abile taglietto alle
punte più sporgenti, alle proposizioni più capaci di far nascere
dubbi, come questa, del 3 agosto 1898: «Se avvenisse quello che
predice Marx, accadrebbe solo che il despotismo passerebbe di mano.
Ora dominano i capitalisti, allora dominerebbero i capipartito dei
lavoratori»; o quest'altra, del 21 giugno 1909, di contenuto più
propriamente filosofico (è il razionalismo tolstoiano che tutto
disseziona): «Com'è strano dire che i materialisti devono
inevitabilmente riconoscere la creazione per rispondere alla domanda,
perché la materia?, da dove viene il mondo materiale? i materialisti
si vantano del loro ateismo, ma tutta la loro dottrina implica,
include la concezione di un Dio creatore. "Les extrèmes se
touchent" ». L'altro «estremo», si deduce, è il misticismo,
la religione in quanto mistica, di cui il materialismo si dichiara
l'opposto. Ma sia l'uno che l'altro estremo sono, secondo Tolstoj,
fughe nell'irrazionale.
In Sobranie socinenij
si trovano molte altre omissioni, alcune probabilmente tendenziose,
altre no, dato che in una riduzione qualcosa bisogna pur potare. Fra
gli appunti che si è pensato di tagliare perché ritenuti,
probabilmente in buona fede, non importanti, ce n'è almeno uno che a
me sembra invece bellissimo. Dice: « Ho strappato un fiore e l'ho
gettato via. Ce ne sono tanti e non ho avuto pena. Noi non
apprezziamo l'incomparabile bellezza degli esseri viventi e li
distruggiamo senza averne pena. Ce ne sono tanti... La cultura, la
civiltà, non è altro che la distruzione di queste bellezze e la
loro sostituzione». Un gesto distratto, fatto senza pensare e un
fiore (o un animale, o un uomo) passa dalla vita alla morte. Se c'è
una cosa da imparare da Tolstoj è forse innanzitutto questo: a non
vivere distrattaménte. (E' curioso che anche in Nietzsche troviamo
lo stesso sentimento di rimprovero che in Tolstoj per la
«distrazione» dell'uomo: «Dove utilità o danno non vengono in
considerazione — si legge in Umano, troppo umano — noi abbiamo un
sentimento di piena irresponsabilità: uccidiamo o feriamo per
esempio insetti, o li lasciamo vivere, senza di solito attribuire a
ciò alcuna importanza. Siamo così goffi, che già le nostre
gentilezze verso i fiori o i piccoli animali sono quasi sempre
micidiali»).
“Tuttolibri La Stampa”,
24 gennaio 1976
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