Certi "appannaggi" dei manager industriali o finanziari alla Marchionne o alla Profumo, più che regali, non sono incompatibili soltanto con un regime sociale democratico, basato sul primato politico del popolo basso che tende ad attenuare le disuguaglianze e i loro effetti, ma anche con un liberalismo davvero competitivo e meritocratico. Una competizione presuppone una distanza non eccessiva delle condizioni di partenza. Certi redditi, al contrario, non servono a premiare il meritevole, ma a creare accumulazioni i cui effetti durano generazioni e generazioni, smisuratamente avvantaggiando gli immeritevoli, favorendo una società di privilegi ereditari non dissimile da quelle dei regimi aristocratici e feudali.
Si ha un bel dire che una qualche mobilità sociale è connaturata al sistema capitalistico, che c'è sempre qualcuno che dal basso emerge. "Uno su mille ce la fa" - canta la canzone, uno su mille appunto. La mobilità "meritocratica" cresce invece quando gli appannaggi regali non ci sono, quando si mettono limiti alle remunerazioni pubbliche e private, quando funzionano forti tasse nella eredità dei grandi patrimoni, quando per avere scuole pubbliche gratuite e di qualità o sistemi sanitari universali ed efficienti o per creare opportunità di impresa, si tosano i ricchi.
Negli USA il massimo di mobilità si ebbe in tempi di "New deal" o di politiche rooseveltiane, che il liberismo americano spesso qualifica come "comuniste"; in Italia tra gli anni 60 e 90 del Novecento, in cui fortissimi erano i correttivi "pubblicisti" all'accentuarsi delle disuguaglianze sociali. Senza questi correttivi l'ascensore sociale si rompe e la competizione, quando c'è, è inevitabilmente limitata ai "figli di papà e di mammà".
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