La mascella di Verini |
Tra le curiosità di
questo nostro tempo, che già qualcuno intitola l'epoca del figlio
di Tiziano, c'è l'uso di rovesciare il valore delle parole, per
cui quando senti parlare di “riforma sociale” immediatamente
pensi che ti stiano togliendo qualche diritto, quando odi
“democrazia” ti viene in mente un tiranno e
quando si pronunciano parole come “memoria” o “ricordo”
quello che si pretende è rimozione ed oblio. Nell'ottima “battaglia
delle idee” dell'ultimo “micropolis” (27 febbraio ultimo
scorso) qui “postata”. Roberto Monicchia, con argomentare
documentato, affronta l'ultimo di questi stravolgimenti semantici, in
riferimento ad alcune ispirate frasette pronunciate a proposito della
“giornata della memoria” e di quella “del ricordo” dal
deputato umbro Walter Verini, già noto come attaché di
Walter Veltroni. Si legga che c'è da leggere! (S.L.L.)
Il saluto romano di Polverini |
“Sulle tragedie del
Novecento basta politica settaria”. E’ la sintesi che l’on.
Walter Verini (“Il Messaggero”, 12 febbraio) trae dalle inziative
cui ha preso parte presso l’Itis di Terni per la “Giornata della
memoria” e il “Giorno del ricordo”. Verini nota con
soddisfazione come nel primo caso a discutere con lui vi fosse una
parlamentare di destra, mentre l’Anpi ha organizzato anche il
dibattito sulle foibe. Riducendo all’opera di “qualche nostalgico
dell’estrema destra” e di “una sinistra irrimediabilmente
datata” le contestazioni ricevute, il deputato del Pd nota con
soddisfazione come ormai si possa andare oltre le divisioni
ideologiche che hanno funestato il secolo breve, per costruire una
politica che non consideri mai l’avversario come nemico assoluto.
Se non può esservi una memoria condivisa - aggiunge Verini - è
possibile e necessaria una memoria “intera”.
Difficile replicare a
tanta saggezza, a simile olimpica conciliazione dei torti e delle
ragioni, in cui si riconosce bene l’influenza ideale e perfino lo
stile retorico del mentore di Verini, Veltroni. Ci limitiamo quindi a
dare il nostro contributo, proponendo alcuni appunti utili a rendere
“intera” la memoria.
Nella legge del 2000 che
istituisce la “Giornata della memoria” non ricorre mai la parola
“fascismo”: il ventennale regime di Mussolini, con la feroce coda
dei “ragazzi di Salò”, non pare avere un ruolo specifico nella
costruzione della strada che porta allo sterminio. E la data scelta -
la liberazione di Auschwitz - allontana la memoria delle
responsabilità italiane, che sarebbero state ben più presenti
scegliendo ad esempio il 16 ottobre 1943 (liquidazione del ghetto di
Roma).
Per converso la data
scelta per il giorno del ricordo - il 10 febbraio - non si riferisce
al momento degli eccidi e delle foibe (settembre 1943, aprile-maggio
1945), né all’esodo degli italiani di Istria e Dalmazia, ma alla
firma del trattato di pace. Oltre all’intento di avvicinarsi il più
possibile al 27 gennaio, i promotori di questa legge, volevano forse
contestare gli esiti della seconda guerra mondiale. Si tratta di un
punto chiave, che rimanda ancora al tema delle responsabilità e
della memoria di ieri.
Il 10 febbraio 1947
l’Italia usciva definitivamente da un conflitto che aveva voluto e
condotto; sceglierla come data del “ricordo” significa recidere
le origini profonde di quella tragedia. Giova ricordare che furono
l’Italia e la Germania ad aggredire la Jugoslavia nel 1941, e non
viceversa. Il regime di occupazione italiano fu crudele e feroce
quanto quello tedesco. Ancora: il principale responsabile di quelle
stragi, generale Roatta, fuggì durante il processo per crimini di
guerra (complici i servizi britannici e il Vaticano) e fu poi
prosciolto dalla Cassazione.
Senza dimenticare che la
guerra seguiva un ventennio di politiche violente di
“deslavizzazione” dell’Istria, cominciate già dai governi
liberali e poi rese sistematiche dal fascismo. L’uso del giorno del
ricordo come “contrappeso” logico e storico alla giornata della
memoria e come deresponsabilizzazione tout court dell’Italia
e degli italiani, che ascrive le foibe allo scatenamento di una furia
cieca (alternativamente ideologica: i comunisti! o nazionale: gli
slavi!), è cominciato subito. Lo stesso Napolitano si fece prendere
la mano, insistendo sulle responsabilità “slave”, dovendo poi
scusarsi con il presidente croato Mesic. Figuriamoci come intende il
ricordo la destra:
basti a Verini l’esempio
delle pubblicazioni ufficiali della regione Veneto, in cui si esalta
la Rsi per aver difeso “l’italianità di quelle terre”.
Forse Verini ricorderà
come il premio nobel della letteratura Boris Pahor, sloveno nato a
Trieste, prigioniero di Dachau, rifiutò la cittadinanza onoraria
della città giuliana offerta da un sindaco di An, che rifiutava di
ammettere le responsabilità del fascismo nelle tragedie giuliane del
‘900. Non è quindi in discussione il dovere di ricordare tutte le
vittime delle vicende del confine orientale. Si tratta però di
capire, distinguere, approfondire. Altrimenti si rischia il lavaggio
della coscienza a buon mercato, il ritorno ai rassicuranti luoghi
comuni degli “italiani brava gente”, l’assegnazione generica
delle colpe al ‘900 delle “idee omicide”. Ciò vale anche per
l’esigenza di attualizzare il discorso: le opinioni della destra
attuale circa immigrazione, islam e via discorrendo, mostrano che con
un certo passato vi è un rapporto di piena continuità. Denunciare
certe tendenze una volta era antifascismo; adesso pare si chiami
“politica settaria”.
P.s. La parlamentare di
destra invitata all’Itis per la giornata della memoria era Renata
Polverini, la ex presidente del Lazio nota, oltre che per gli
scandali che hanno travolto la sua giunta, per la ripetuta
ostentazione del saluto romano.
Nessun commento:
Posta un commento