Un'ottima sintesi delle
problematiche costituzionali sui temi della sanità pubblica e della
salute di ciascuno. (SL.L.)
L’art. 32 della
Costituzione “La Repubblica tutela la salute come fondamentale
diritto dell’individuo e interesse della collettività e garantisce
cure gratuite agli indigenti” è l’unico in cui un diritto viene
qualificato “fondamentale”. Grande è il rilievo attribuito alla
salute, presupposto indispensabile per la realizzazione piena della
persona e base di tutti gli altri diritti. In quanto “diritto
primario fondamentale” inerente alla persona deve essere
riconosciuto a tutti: ai cittadini e, nel suo nucleo irriducibile,
agli stranieri qualunque sia la loro posizione rispetto alle leggi
sull’immigrazione e il soggiorno nello Stato (Corte cost., sent.
252/2001; 432/2005). E deve essere assicurato in modo “eguale” in
tutto il territorio nazionale, almeno nei suoi livelli essenziali. Il
“perseguimento di una sempre migliore condizione sanitaria della
popolazione”, uno degli obiettivi primari assegnati alla
Repubblica, coinvolge tutti gli apparati pubblici: l’espressione
‘Repubblica’ designa infatti lo Stato, le Regioni e gli altri
enti pubblici esistenti sul territorio. Diverse sono le situazioni
garantite: dalla pretesa negativa di ciascun individuo a che altri
non tengano comportamenti dannosi per la salute, alla pretesa
positiva verso la Repubblica, tenuta a predisporre mezzi e strutture
per assicurare cure adeguate a tutti e gratuite agli indigenti. Siamo
infatti nel campo dei ‘diritti sociali’ che – a differenza dei
diritti di libertà che esigono la ‘non interferenza’ dello Stato
– per essere soddisfatti richiedono l’intervento pubblico e
l’erogazione di prestazioni positive. L’art. 32 tutela
l’integrità della persona nelle sue molteplici dimensioni fisica,
psichica e sociale: la giurisprudenza, da questa ampia concezione di
‘salute’ è arrivata alla risarcibilità del “danno biologico”,
danno alla salute come bene in sé a prescindere dalle conseguenze
patrimonialmente valutabili sulla produzione del reddito. Dal diritto
all’integrità psico-fisica dell’individuo la giurisprudenza ha
tratto il diritto a un “ambiente salubre” come indispensabile
presupposto: la Corte costituzionale ha dato “riconoscimento
specifico alla salvaguardia dell’ambiente come diritto fondamentale
della persona e interesse della collettività” (sent. 210/1987).
L’ambiente è protetto “come elemento determinativo della qualità
della vita” e “assurge a valore primario e assoluto (sent.
641/1987). Tuttavia il bilanciamento con i costi economici, la
considerazione della necessaria gradualità nell’imposizione alle
imprese della modifica di impianti dannosi e inquinanti, le
tolleranze crescenti, rendono difficile affermare che, a tanti anni
di distanza da quelle sentenze, viviamo in un ‘ambiente salubre’.
Eppure già in Assemblea Costituente si precisava che la tutela della
salute implica anche la prevenzione delle malattie. Con il comma 2
dell’art. 32, “Nessuno può essere sottoposto ad un trattamento
sanitario se non nei casi previsti dalla legge. La legge non può in
nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona
umana”, rientriamo in pieno nella dimensione dei diritti di
libertà. Trattamenti sanitari imposti, ai quali il malato non abbia
consentito, sono rigorosamente vietati; “se non nei casi previsti
dalla legge” è scritto nel testo, che non significa libertà per
la legge di costringere a trattamenti sanitari (come ha sostenuto un
politico scarsamente informato nel caso Englaro). La salute è
tutelata come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della
collettività; due sono dunque i riferimenti costituzionali,
l’individuo e la collettività: il diritto del primo può cedere,
eccezionalmente, soltanto di fronte ad un interesse della seconda. La
persona è al centro del sistema; non la collettività o lo Stato
come nel fascismo. Il trattamento sanitario può essere imposto
soltanto quando sia direttamente in gioco l’interesse collettivo:
ad esempio epidemie, malattie contagiose che per la loro diffusione
si risolvono in un diretto danno sociale. Ogni limitazione alla
libertà individuale deve trovare un’adeguata giustificazione negli
interessi collettivi. Per consentire trattamenti sanitari imposti
l’interesse della collettività dev’essere anche attuale; se si
tenesse conto di un possibile danno futuro, o di un interesse futuro
della collettività a selezionare individui sani, belli e simili, si
arriverebbe ad esiti finali spaventosi: interventi di eugenetica,
conosciuti nei regimi autoritari, come la sterilizzazione
obbligatoria dei portatori di malattie ereditarie, o degli individui
di una certa razza. “La legge non può in nessun caso violare i
limiti imposti dal rispetto della persona umana”, così termina
l’art. 32; ed è interessante ricordare la formula originaria del
Progetto: “Sono vietate le pratiche sanitarie lesive della dignità
umana”. Sulla dignità della persona è costruita l’intera
Costituzione (basta ricordarne i primi articoli) e ad essa, come alla
libertà della persona, si richiamano i Documenti fondamentali che
fissano i principi cardine della nostra civiltà. E’ scindibile la
vita umana dalla dignità e dalla libertà? La domanda ha una
risposta certa: ogni persona è libera di scegliere fra il rischio di
una morte naturale e trattamenti sanitari che le assicurino il
prolungamento di una vita senza libertà e dignità. Incertezze
rimangono sulla ‘naturalità’ della morte (nel progresso
tecnologico) e sull’apprezzamento necessariamente soggettivo del
concetto di vita libera e dignitosa. Per questo la decisione non può
che essere del malato, nessun altro può sostituirsi a lui. Ciascuno
ha il diritto di rifiutare le cure anche per il futuro se non sarà
in grado di esprimersi: la legge potrebbe disciplinare le modalità
di esercizio delle dichiarazioni ma non limitare un diritto: “Il
valore costituzionale dell’inviolabilità della persona” va
costruito “come libertà nella quale è postulata la sfera di
esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo”
e dunque come diritto d’impedire illegittime intromissioni altrui,
ha detto la Corte.
il Fatto 30.3.2010
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