16.3.15

Montale. C'erano anche i 'negri' traduttori (Maria Corti)

Nell'Ottantanove cadevano i muri e si scoprivano gli altarini. Una delle scoperte riguardò Montale. Cominciò Mario Soldati a rivelare che una parte delle recensioni firmate sul “Corriere” da Montale non erano farina del sacco di costui, ma erano scritte da Henry Furst che Montale compensava con una parte dei suoi compensi. Nel mondo letterario non lo si chiamò “subappalto” ma si pensò ai “negri”: così erano stati chiamati nell'Ottocento gli scrittori arruolati da Dumas per aiutarlo a rispettare gli impegni di sette o otto romanzi a puntate da portare avanti contemporaneamente (erano detti d'appendice o feuilletons, giacché apparivano nell'appendice letteraria domenicale dei quotidiani, in Francia chiamata feuilleton). Erano costoro a scrivere, sulla base delle indicazioni generali del “capo”, il quale interveniva per dare l'ultima mano.
Dopo Soldati, a svelare i segreti del premio Nobel, gloria della onesta e laboriosa borghesia italiana, intervenne un piccolo epistolario: vi si si apprendeva che il poeta subappaltava anche la traduzione di romanzi. Da qui il titolo dell'articolo qui postato, della filologa Maria Corti, in fin dei conti assai benevola verso il poeta laureato. (S.L.L.)

Il brano di Soldati con l'accenno alle recensioni di libri americani e inglesi per il “Corriere della sera” scritte da Furst e firmate da Montale fa pensare per stretta analogia ai rapporti fra Montale e Lucia Rodocanachi, traduttrice di romanzi americani usciti negli anni Quaranta a firma di Montale. Questa seconda situazione è illuminante nei riguardi della prima perché, essendo ben documentata, ci guida al di là delle apparenze. Tra l'altro Furst frequentava con Sbarbaro, Barile e i più geograficamente lontani Gadda e Montale, la villa ligure della Rodocanachi. Ecco in che senso il caso è illuminante: Lucia, che è la gentile signora delle lettere di Gadda, preparò per Montale e altri la traduzione letterale, di servizio, di vari testi. Montale le scriveva per Al dio sconosciuto di Steinbeck: “Non mi occorre una traduzione accurata; basta che siano precisi quei 100/200 luoghi (eventualmente slang, termini tecnici) che possono costituire la difficoltà del libro; in modo che la mia revisione possa essere solo stilistico-formale, senza che io debba più ricorrere a vocabolari e possa star sicuro. Mondadori ha fretta” (24 maggio 1940). Orbene, per Green Mansions di W.H. Hudson, il dattiloscritto della traduzione della Rodocanachi si trova nel Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia; si veda ora la stampa einaudiana La vita della foresta di W.H. Hudson nella traduzione di Eugenio Montale, a cura di Maria Antonietta Grignani (1987). Chi esamini questo dattiloscritto è colpito dal metodo di lavoro dei due: la spaziatura è larga in modo che Montale potesse inserirvi a penna gli interventi stilistico-formali. Forse oggi un simile metodo può stupire, ma nel contesto di allora no: l'epistolario alla Rodocanachi, sia edito da Giuseppe Marcenaro, sia inedito e per sua gentilezza consultato dalla Grignani, coinvolge autori come Gadda, Vittorini e altri. Va detto che Montale con le sue doti rabdomantiche raggiunge ottimi esiti, anche se simili operazioni in verità non gli interessavano che sul piano economico. Lo prova il tono scherzoso e ludico con cui manda alla Lucia versetti in rima di siffatto genere: “Addio addio crudele, / ti ho dato troppo spago, / se manchi non ti pago, / volgo altrove le vele. / Lascia i pesci in barile / e Camillo al rabarbaro, / per me ha tanto di barba / questo mestiere vile / ma solo traduzioni / mi chiedono i coglioni!”.
Il tutto vale, finale compreso, anche per le recensioni fatte dal povero Furst.


“la Repubblica”, 28 ottobre 1989  

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