Nell'Ottantanove cadevano
i muri e si scoprivano gli altarini. Una delle scoperte riguardò
Montale. Cominciò Mario Soldati a rivelare che una parte delle
recensioni firmate sul “Corriere” da Montale non erano farina del
sacco di costui, ma erano scritte da Henry Furst che Montale
compensava con una parte dei suoi compensi. Nel mondo letterario non
lo si chiamò “subappalto” ma si pensò ai “negri”: così
erano stati chiamati nell'Ottocento gli scrittori arruolati da Dumas
per aiutarlo a rispettare gli impegni di sette o otto romanzi a
puntate da portare avanti contemporaneamente (erano detti d'appendice
o feuilletons, giacché apparivano nell'appendice letteraria
domenicale dei quotidiani, in Francia chiamata feuilleton).
Erano costoro a scrivere, sulla base delle indicazioni generali del
“capo”, il quale interveniva per dare l'ultima mano.
Dopo
Soldati, a svelare i segreti del premio Nobel, gloria della onesta e
laboriosa borghesia italiana, intervenne un piccolo epistolario: vi
si si apprendeva che il poeta subappaltava anche la traduzione di
romanzi. Da qui il titolo dell'articolo qui postato, della filologa
Maria Corti, in fin dei conti assai benevola verso il poeta laureato.
(S.L.L.)
Il brano di Soldati con
l'accenno alle recensioni di libri americani e inglesi per il
“Corriere della sera” scritte da Furst e firmate da Montale fa
pensare per stretta analogia ai rapporti fra Montale e Lucia
Rodocanachi, traduttrice di romanzi americani usciti negli anni
Quaranta a firma di Montale. Questa seconda situazione è illuminante
nei riguardi della prima perché, essendo ben documentata, ci guida
al di là delle apparenze. Tra l'altro Furst frequentava con
Sbarbaro, Barile e i più geograficamente lontani Gadda e Montale, la
villa ligure della Rodocanachi. Ecco in che senso il caso è
illuminante: Lucia, che è la gentile signora delle lettere di Gadda,
preparò per Montale e altri la traduzione letterale, di servizio, di
vari testi. Montale le scriveva per Al dio sconosciuto di
Steinbeck: “Non mi occorre una traduzione accurata; basta che siano
precisi quei 100/200 luoghi (eventualmente slang, termini tecnici)
che possono costituire la difficoltà del libro; in modo che la mia
revisione possa essere solo stilistico-formale, senza che io debba
più ricorrere a vocabolari e possa star sicuro. Mondadori ha fretta”
(24 maggio 1940). Orbene, per Green Mansions di W.H. Hudson,
il dattiloscritto della traduzione della Rodocanachi si trova nel
Fondo Manoscritti dell'Università di Pavia; si veda ora la stampa
einaudiana La vita della foresta di W.H. Hudson nella
traduzione di Eugenio Montale, a cura di Maria Antonietta Grignani
(1987). Chi esamini questo dattiloscritto è colpito dal metodo di
lavoro dei due: la spaziatura è larga in modo che Montale potesse
inserirvi a penna gli interventi stilistico-formali. Forse oggi un
simile metodo può stupire, ma nel contesto di allora no:
l'epistolario alla Rodocanachi, sia edito da Giuseppe Marcenaro, sia
inedito e per sua gentilezza consultato dalla Grignani, coinvolge
autori come Gadda, Vittorini e altri. Va detto che Montale con le sue
doti rabdomantiche raggiunge ottimi esiti, anche se simili operazioni
in verità non gli interessavano che sul piano economico. Lo prova il
tono scherzoso e ludico con cui manda alla Lucia versetti in rima di
siffatto genere: “Addio addio crudele, / ti ho dato troppo spago, /
se manchi non ti pago, / volgo altrove le vele. / Lascia i pesci in
barile / e Camillo al rabarbaro, / per me ha tanto di barba / questo
mestiere vile / ma solo traduzioni / mi chiedono i coglioni!”.
Il tutto vale, finale
compreso, anche per le recensioni fatte dal povero Furst.
“la Repubblica”, 28
ottobre 1989
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