Vittorio Gassman nei panni di Macbeth |
“Un classico della
critica shakesperiana”: così lo presenta l'attenta curatrice Rosy
Colombo e questo è la Lettura di Macbeth di Agostino
Lombardo, che comparve quarant'anni fa per i tipi di Neri Pozza, e
ora Feltrinelli ripresenta: un classico. Un libro importante, che nel
più puro amore filologico invita a sillabare la tragedia
shakespeariana parola per parola, pur non perdendo mai l'unità
dell´interpretazione, che in sintesi potremmo riassumere così: la
tragedia di Macbeth è la tragedia del potere, quando in particolare
il potere è conquistato con la frode. Ovvero, nel caso specifico in
cui il potente si presenta come l'usurpatore. Neppure per un attimo
Shakespeare ci lascia dimenticare che il cuore del problema è lì
per Macbeth: la corona l´ha strappata a chi l'aveva di diritto.
Macbeth non è un ladro qualunque che chiede o la borsa o la vita,
Macbeth s'è preso tutto, vita e corona. E ora domina la Scozia
qualcuno che non è al "suo" posto: regna il regicida. La
sovversione è al comando. Macbeth è in questo senso la
continuazione dell´Amleto, dal punto di vista di Claudio.
Non è la prima tragedia
del potere che Shakespeare scrive; il suo teatro abbonda di figure di
re spodestati, trucidati, morti in battaglia, perseguitati dai
fantasmi di chi hanno deposto. Riccardo II è il primo a dire che
sono proprio "le tristi cronache della morte dei re" a
interessare il popolo; Shakespeare, il teatrante, direbbe il
pubblico. Ma è la stessa cosa, pubblico e popolo coincidono. Come si
vede, accadeva anche all'inizio del Seicento, a Londra. Non è una
cosa nuova dei nostri tempi. Alle vicende del potere l'uomo comune
non poteva, non può partecipare che così: come fosse a teatro. E
riguardo all´estraneità che si prova di fronte alla recita non v´è
differenza essenziale tra l'uomo monarchico di allora e l'uomo
post-democratico di oggi. Siamo sempre a teatro.
Sono però diverse le
mosse del potente. E cambia la consapevolezza dell'atto. E' perché
sa di aver sbagliato nel governare che Riccardo II cede la corona
all'usurpatore Bolingbroke. Conquista così, fuori tempo massimo,
l´intima coscienza che, al di là dell'appello al diritto divino, al
diritto di stirpe, al puro sangue blu, per essere re bisogna saper
regnare. Elisabetta, la quale non a caso pare si identificasse con
Riccardo, sapeva bene come compiacere il popolo, ingraziarselo, come
dimostrare almeno un po' di giustizia e tolleranza nei confronti
della moltitudine. E governò con modestia regale, e pratico
realismo. Idee più grandiose aveva il suo successore Giacomo, che
venne dalla Scozia invocando idealità monarchiche assolutiste, un
ultimo colpo di coda di fronte ai tempi che cambiavano. E così in
fretta che tra poco gli uomini comuni avrebbero portato davanti al
loro tribunale l'Unico, l'Unto. Lo avrebbero processato! Non fu una
vera e propria rivoluzione, come quella in Francia, ma negli anni
quaranta del Seicento in Inghilterra ci si trovò di fronte a una
scena in un certo senso ancora più memorabile, dove l'Unico, l'Unto,
dovette accettare di essere giudicato e condannato dagli "uomini
comuni", eguali l'uno all'altro nel non avere nessun´altra
qualità, se non quella di parlare a nome del "bene comune".
Che gli "uomini comuni" avessero acquisito il diritto di
giudicare i loro governanti, da allora in poi è diventato un fatto.
Anche se non nel nostro paese, a quanto sembra.
Sul significato politico
del dramma Lombardo insiste. Nel linguaggio dell'opera si
nasconderebbe criptata un'analisi del potere, addirittura
un'evoluzione del concetto di governo. Dal re buono Duncan,
attraverso lo stato d'eccezione del tiranno Macbeth, si arriverebbe
all'esercizio più moderno della sovranità da parte del figlio
Malcolm, il quale coniugherà la forza del leone e la scaltrezza
della volpe. Non perché abbia letto Machiavelli, ma perché nel
dramma la scienza politica dell'epoca affiora. E il dibattito sulla
forma di governo monarchica era acceso ai tempi.
L'interpretazione di
Lombardo è a lieto fine: il tiranno viene sconfitto, l'ordine
restaurato, la Scozia, il tempo, il mondo sono "liberi",
alla fine. Come la curatrice del volume, io non concordo su questo
punto. E qui si data la lettura del critico: Lombardo è un uomo di
sinistra di quelli che oggi non possiamo che chiamare "d'altri
tempi"; crede alle magnifiche sorti e progressive; crede che
dalle esperienze negative si può imparare, che dal male può nascere
il bene. Suggestionata dai miei tempi, io sarei portata a dire che
nella tragedia di Macbeth, il prode atleta della morte, domina una
tonalità sovversiva che non lascia scampo a nessuna speranza. Direi
semmai che la passione dominante nel dramma è il contrario della
speranza, è la paura. E della paura non c'è catarsi.
Non c'è nulla di più
violento della paura, commenta Simone Weil nei suoi quaderni. Ha
ragione. La paura sta all'ambizione di Macbeth, come il dolore al
piacere nell´economia libidica del sadico. E' sadico, il potente. E'
spaventato. Così appare ai nostri giorni. Ma attenzione; è pur
sempre adrenalina.
“la Repubblica”, 11
marzo 2010
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