Non so dire se l'allarme lanciato da Monica di Sisto nell'articolo di "Sbilanciamoci.info", di cui "posto" qui un ampio stralcio sia esagerato. Sono tuttavia convinto che molte decisioni fondamentali per la vita economica e sociale di popoli e nazioni si assumono in trattative coperte e in sedi poco note alla pubblica opinione. Ben vengano dunque squarci anche parziali su quanto sta accadendo e poi, se necessari, tutti i chiarimenti e le smentite del caso da parte dei potenziali decisori. (S.L.L.)
Alberto Zoratti, presidente di Fairwatch, associazione per l'economia solidale |
Ma il governo Usa, dopo la crisi
dei derivati, è più prudente
I grandi esportatori di servizi – il
serbatoio in crescita di posti di lavoro dove si genera il 70% del
Prodotto interno lordo globale – con in testa l’Europa e gli
Stati Uniti, è da oltre 15 anni che premono sull’Organizzazione
mondiale del commercio perché i confini dell’accordo generale che
li regola attualmente (General Agreement on Trade in Services o Gats)
venga forzato e i servizi vengano sempre più liberalizzati, a
partire dagli investimenti. In quella sede, però, i paesi emergenti
con alla guida Cina, India e Brasile hanno più volte fatto saltare
il banco, dalla ministeriale di Seattle in poi, per impedirlo.
Capitalismi di stato come quelli non possono sopportare, infatti, una
sottrazione estrema della sovranità statale sulla gestione dei
servizi come quella prefigurata dalle proposte di Europa e Stati
Uniti [...] Principale obiettivo offensivo europeo è un’ulteriore
deregulation del settore, cosa che fa problema all’esecutivo Usa
perché vista come la peste dall’opinione pubblica americana ancora
scottata dalla bolla speculativa dei derivati che li ha trascinati
nella crisi del 2009. L’Europa, poi, insieme a Stati Uniti e
Australia nel marzo 2013 ha trascinato un super-negoziato per la
liberalizzazione dei servizi fuori dalle mura del Wto e lo ha
cominciato a trattare in stretto riserbo a Ginevra con al seguito
altri 21 paesi strettamente integrati nei propri spazi di mercato:
Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Hong Kong, Islanda, Israele,
Giappone, Corea, Liechtenstein, Messico, Nuova Zelanda, Norvegia,
Pakistan, Panama, Paraguay, Peru, Svizzera, Taipei, Turchia e
Uruguay.
Il Trade in Services Agreement (o Tisa)
è, dunque, ad oggi il più segreto e controverso dei processi di
liberalizzazione commerciale mai azzardato, per dimensione e modalità
di negoziato, i cui pochi e allarmanti testi noti sono stati diffusi
“a tradimento” da WikiLeaks, Bbc e dalle reti di ong attive sul
commercio. Che oltre che un’operazione commerciale il Tisa vuole
essere uno strumento geopolitico di pressione sui paesi emergenti, lo
dimostra la loro esclusione attiva dal tavolo, e il fatto che la
Cina, che pure ha chiesto da tempo di partecipare, sia stata lasciata
alla finestra fino ad oggi. Dal poco che si sa, l’allarme lanciato
da società civile e sindacati è più che doveroso. Il negoziato
propone, infatti, una deregulation orizzontale dei servizi
finanziari, che azzererebbe anche quelle poche misure
anti-speculazione introdotte negli Usa dopo la crisi del 2007. Si
introducono azioni specifiche per incrementare il commercio dei dati
e delle informazioni via web, a danno della privacy e della parità
di accesso alla rete. Si individua nei servizi sanitari un potenziale
commerciale enorme da aprire alla concorrenza internazionale, come
denunciato dalla federazione sindacale Public Services International
e confermato dagli ultimi testi di cui è venuta in possesso di
recente la Bbc. L’accordo, poi, nei suoi dettagli rimarrebbe
segreto per ben cinque anni dopo la sua approvazione definitiva.
La Commissione europea, per
tranquillizzare l’opinione pubblica, ha convocato a fine febbraio
un Dialogo con la società civile, cui abbiamo partecipato
come associazione. “L’ultimo round negoziale dei primi di
febbraio, ospitato dagli Stati Uniti, secondo quanto abbiamo appreso
dalla Commissione stessa – spiega il presidente di Fairwatch
Alberto Zoratti presente all’incontro – non ha visto progressi
sostanziali dal punto di vista delle offerte da parte dei paesi
partecipanti. Tra le questioni su cui l’Unione europea sta premendo
ci sono l’accesso agli appalti pubblici e la liberalizzazione dei
servizi finanziari e delle offerte professionali, ma dall'incontro
non è emerso che cosa stiamo mettendo sul tavolo nel do ut des
negoziale, e il rischio di una accelerazione della privatizzazione
dei servizi pubblici non è esclusa esplicitamente, sebbene i
sindacati europei lo abbiano chiesto da oltre un anno”. L'utilità
di questi meeting? “Relativa – continua Zoratti – al di là di
informazioni generali e di alcuni chiarimenti, il gioco vero si fa
altrove, dove hanno accesso solo alcuni, pochi, privilegiati. Che
guarda caso sono proprio le lobby delle imprese”.
www.sbilanciamoci.info, 6 marzo 2016
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