7.3.15

Per la libertà di pensiero (Stefen Zweig)

Stefan Zweig, nato a Vienna nel 1881 da famiglia ebraica, fu soprattutto biografo, forse il più grande del Novecento, certamente il più famoso e letto della prima metà del secolo. Il suo libro più celebre è però un libro di memorie, Il mondo di ieri, in cui, attraverso il ricordo dell'adolescenza e della giovinezza, è rappresentata la mitteleuropa asburgica nel tempo del suo declino e della sua deflagrazione, quello che per Zweig era stato il “tempo della sicurezza”.
Alcune delle sue biografie di maggiore successo, tra le quali quella di Fouché, il giacobino che divenne ministro di polizia di Napoleone, di Montaigne, di Maria Antonietta, sono state di recente ripubblicate dall'editore Castelvecchi, a cui si deve in questo 2015 l'edizione, per la traduzione di Franca Parini, di Castellio contro Calvino. Una coscienza contro la forza, la cui lettura vivamente consiglio.
Al tempo della sua stesura e prima pubblicazione (1936), stava consolidandosi il regime di quei nazisti che già nel 1933 avevano fatto un rogo dei suoi libri. Il libro dalla cui introduzione è tratto il brano che segue è una esaltazione della libertà di coscienza contro un potere brutale e criminale e un'implicita denuncia dell'abdicazione ai loro doveri di molti intellettuali di lingua tedesca. Costretto ad emigrare già nel 1934 dall'Austria verso Londra e poi verso New York, si suicidò nel 1942, in una con la giovane moglie, a Petropolis, in Brasile, ove si era da un anno trasferito. (S.L.L.)


Quando nella frenesia dei tempi i dissidenti sono puniti con la tortura e le cacce, come si fa col bestiame, è un rischio, un rischio di vita e di morte, schierarsi apertamente a fianco di un uomo che rimane impavido; alzare la propria voce a favore di quei diseredati e asserviti e, muovendo dal singolo caso, contestare una volta per tutte ai potenti della Terra il diritto di perseguitare, per la sua fede, un qualsiasi uomo di quella stessa Terra! Un uomo che, in uno di quei spaventosi momenti di oscuramento spirituale che talvolta si abbattono sulle nazioni, osa preservare uno sguardo limpido e umano, e chiamare con il loro vero nome questi pii massacri - anche se compiuti in nome di Dio -, definendoli come assassini, assassini e ancora assassini. Un uomo che, sentendosi violentato nel più profondo senso della propria umanità, non è più capace di sopportare il silenzio, e urla fino al ciclo la sua disperazione, per tanta disumana barbarie, lottando da solo per tutti, e solo contro tutti. Quest'uomo, che eleva la sua voce contro i despoti e i potenti del momento, non osi sperare di ottenere seguaci, nell'immortale bassezza della stirpe umana.  

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