Stefan Zweig, nato a
Vienna nel 1881 da famiglia ebraica, fu soprattutto biografo, forse
il più grande del Novecento, certamente il più famoso e letto della
prima metà del secolo. Il suo libro più celebre è però un libro
di memorie, Il mondo di ieri, in
cui, attraverso il ricordo dell'adolescenza e della giovinezza, è
rappresentata la mitteleuropa asburgica nel tempo del suo declino e
della sua deflagrazione, quello che per Zweig era stato il “tempo
della sicurezza”.
Alcune
delle sue biografie di maggiore successo, tra le quali quella di
Fouché, il giacobino che divenne ministro di polizia di Napoleone,
di Montaigne, di Maria Antonietta, sono state di recente ripubblicate
dall'editore Castelvecchi, a cui si deve in questo 2015 l'edizione,
per la traduzione di Franca Parini, di Castellio contro
Calvino. Una coscienza contro la forza,
la cui lettura vivamente consiglio.
Al
tempo della sua stesura e prima pubblicazione (1936), stava
consolidandosi il regime di quei nazisti che già nel 1933 avevano
fatto un rogo dei suoi libri. Il libro dalla cui introduzione è
tratto il brano che segue è una esaltazione della libertà di
coscienza contro un potere brutale e criminale e un'implicita
denuncia dell'abdicazione ai loro doveri di molti intellettuali di
lingua tedesca. Costretto ad emigrare già nel 1934 dall'Austria
verso Londra e poi verso New York, si suicidò nel 1942, in una con
la giovane moglie, a Petropolis, in Brasile, ove si era da un anno
trasferito. (S.L.L.)
Quando nella frenesia dei
tempi i dissidenti sono puniti con la tortura e le cacce, come si fa
col bestiame, è un rischio, un rischio di vita e di morte,
schierarsi apertamente a fianco di un uomo che rimane impavido;
alzare la propria voce a favore di quei diseredati e asserviti e,
muovendo dal singolo caso, contestare una volta per tutte ai potenti
della Terra il diritto di perseguitare, per la sua fede, un qualsiasi
uomo di quella stessa Terra! Un uomo che, in uno di quei spaventosi
momenti di oscuramento spirituale che talvolta si abbattono sulle
nazioni, osa preservare uno sguardo limpido e umano, e chiamare con
il loro vero nome questi pii massacri - anche se compiuti in nome di
Dio -, definendoli come assassini, assassini e ancora assassini. Un
uomo che, sentendosi violentato nel più profondo senso della propria
umanità, non è più capace di sopportare il silenzio, e urla fino
al ciclo la sua disperazione, per tanta disumana barbarie, lottando
da solo per tutti, e solo contro tutti. Quest'uomo, che eleva la sua
voce contro i despoti e i potenti del momento, non osi sperare di
ottenere seguaci, nell'immortale bassezza della stirpe umana.
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