La mattina del 26 luglio 1943 stavo passeggiando con l'amico Fundo lungo i cameroni dei confinati quando notammo che i militi in camicia nera, invece di sorvegliarmi, come facevano di consueto, parlavano concitatamente fra di loro. Apparivano costernati. "Ma che sarà accaduto?" ci dicemmo. Improvvisamente dai cameroni uscirono a gruppi e frettolosi i confinati. Tutti si diressero verso una piazzetta, ove di solito si udiva la radio. Li seguimmo.
La
piazzetta era gremita di confinati. Erano le 8. Udimmo scandire il
segnale orario. Un breve silenzio e poi lo speaker diede lettura del
famoso comunicato: "Sua maestà il re e imperatore ha accettato
le dimissioni dalla carica di capo del governo, primo ministro e
segretario di Stato presentate da S.E. il cavaliere Benito
Mussolini...". Un confinato gridò: "Viva l'Italia
libera!". Applaudimmo e ritornammo verso i cameroni.
Strano
quello che subentrò in noi: erano vent'anni - in esilio, in carcere,
al confino - che attendevamo la caduta del fascismo, e adesso
l'accoglievamo senza alcuna manifestazione di esultanza. Ma ciascuno
pensava alla grande responsabilità che sarebbe pesata sulla nuova
classe dirigente, su di noi; pensava all'eredità fallimentare
lasciata dal fascismo ed intuiva che le lotte più dure e difficili
ci attendevano, dopo l'inattività forzata cui per lunghi anni
eravamo stati costretti.
da Sandro Pertini: sei condanne, due evasioni (a cura di Vico Faggi), Mondadori, 1970
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