Edmondo Peluso a Mosca nel 1922 |
Quello che segue è
l'introduzione di un libro dagli indubbi meriti e di cui suggerisco
la lettura. Si intitola Odissea Rossa ed
ha come sottotitolo La storia dimenticata di uno dei
fondatori del Pci. Si tratta di
Edmondo Peluso, la cui fisionomia e vicenda umana vengono qui
sintetizzate. Il libro ha la forma di un'inchiesta, ma è in sostanza
la biografia di un rivoluzionario italiano, prima socialista e poi
comunista, presente in luoghi e momenti importanti nella storia del
Novecento e morto in Urss, ove aveva scelto di vivere per costruire
il socialismo. Fu coinvolto nella purga staliniana del 1938 ed ucciso
in Siberia nel 1942, fu totalmente riabilitato come vittima
incolpevole di abusi polizieschi e giudiziari dopo il 1956.
La
Gnocchi, un tempo giornalista oggi imprenditrice di successo nella
comunicazione web, si dichiara di sinistra e non disdegna la bandiera
rossa, ma rispetto al comunismo novecentesco sembra allineata con la
generalizzata e acritica esecrazione oggi dominante, e dunque usa la
storia di Peluso, dalla quale è sinceramente affascinata, per
condannare un sistema che, nella sua visione, uccide la libertà, la
creatività, il genio.
Se
si esce fuori dalla “tesi” e si leggono i documenti che l'autrice
cita ampiamente e senza censure, quel che soprattutto emerge è una
forte figura umana e intellettuale, degna di un ricordo affettuoso e
filiale da parte di chi, pur tenendo conto di tutte le repliche della
storia, intende rimanere fedele al proprio ideale di rivoluzione e di
comunismo. Nelle lettere di Peluso, nei suoi articoli, nel suo libro
Cittadino del mondo,
pubblicato solo in russo nell'Urss staliniana (1932), come pure negli
atti della sua odissea giudiziaria che l'autrice ha consultato e
cita, si possono pertanto trovare molte ragioni di interesse.
Della
Gnocchi non ho apprezzato invece un'operazione piuttosto scorretta
proprio nella introduzione qui “postata”. Il giudizio durissimo
su tutta l'esperienza dell'Urss riportato come citazione e attribuito
a Peluso è de relato. Chi riferisce le parole di Peluso è un
testimone d'accusa, un delatore interessato ad enfatizzare l'ostilità
al regime dell'indagato per provarne la colpevolezza. È assai
improbabile che quelle parole rappresentino in maniera esatta il
pensiero di Peluso, che, come si può notare dai testi autentici
citati dalla stessa Gnocchi nel corso del libro, non risparmia
critiche pesantissime al comunismo staliniano, ma senza fare di
quell'esperienza una notte in cui tutte le vacche sono nere. (S.L.L.)
Edmondo Peluso a Mosca 1932 |
È stato il John Reed
italiano. Il nostro Che Guevara, per ansia di vedere e di viaggiare.
Ha scritto e raccontato come Jack London, di cui è stato amico. Ma
non è mai finito sulle magliette, né sui poster. Giace dimenticato,
nella Spoon River dei gulag. E stato tutto quello che si ama di un
rivoluzionario: ribelle alle regole, amante della libertà, un po’
eccentrico, autodidatta, grande viaggiatore, antimilitarista, spesso
in fuga, sempre inseguito dai mandati di cattura, sensibile alle
ingiustizie, molto attento allo stile, se c’era da piegarsi,
preferiva sopportare le angherie e camminare dritto. E stato l’amico
americano, uno dei fondatori del Pci, un compagno stravagante, anche
nelle situazioni più drammatiche non volle mai separarsi dal suo
amato chimono, un sovversivo che finiva in prigione in tutti i paesi
che attraversava, un militante di tutti i movimenti operai. Aveva
frequentato le scuole elementari in Spagna, le medie in Usa, un po’
d’università a Heidelberg, in Germania, e un po’ a Zurigo, in
Svizzera.
Un cittadino del mondo,
cosi si definiva Edmondo Peluso. E cosi intitolò il suo libro.
A Manila, nelle
Filippine, scappò dal colera imbarcandosi a tre dollari al giorno
come fuochista su una nave americana che faceva rotta per San
Francisco. La rivoluzione la fece «on the road», sulle
strade del mondo non aspettò mai alle fermate, ma preferì chiedere
passaggi, viaggiare scomodo, vedere, capire, scoprire. In America
sulla costa del Pacifico era stato un irregolare compagno di bevute e
di ideali di Jack London, che si era preso la sua prima sbronza di
birra a cinque anni. A Parigi aveva frequentato la figlia di Marx,
Laura, e suo marito Paul Lafargue, che si suicidarono un mese dopo
avergli spiegato che quando si diventa vecchi è meglio scomparire.
Peluso andava: dove
serviva, dove c’era una curva, qualcosa che cambiava. Non era
cresciuto nella politica, ma con la politica. Di lui parlò Lenin:
prima male, poi bene. A lui s’interessò Togliatti, con l’intento
di salvarlo quando fu arrestato dall’Nkvd. Difficile considerare
Peluso un organico, ma quando la storia svoltava all’improvviso,
quando si tuffava nel pericolo, lui c’era.
Era sempre lì. Amico di
chi osava, di chi ci rimetteva la vita, di Rosa Luxemburg, di Karl
Liebknecht, di Bebel, di Klara Zetkin, di Karl Kautsky. Edmondo
Peluso è stato un comunista strano, un viaggiatore internazionale:
tra i pochi, forse l’unico socialista italiano, a sentire il
profumo d’Oriente, a capire che la Cina poteva essere vicina, a
visitare il paese di Sun Yat-sen, il padre della grande repubblica
asiatica, animatore della rivoluzione nazionale cinese. Non solo: era
presente a Kienthal nel 1916 alla seconda conferenza
dell’Internazionale, e anche alla comune di Canton. Un giramondo,
in anni in cui il mondo era difficile girarlo, un uomo dai mille
mestieri: impiegato di banca, stampatore, ascensorista, fuochista
navale, giornalista, collaboratore di partito. Era stato in Spagna,
Francia, Austria, Svizzera, Germania, Cina, Giappone, Usa,
Sudamerica, Urss. Nel 1917 si era schierato con la Rivoluzione
d’Ottobre, nel 1918 a Berlino aveva aderito alla tragica esperienza
spartachista, nel 1920 diede la sua solidarietà alla frazione
comunista di Imola, nel 1921, alla fondazione, si iscrisse al Partito
comunista d’Italia, nel 1922 a Mosca partecipò con Ravera,
Bordiga, Longo, al IV Congresso dell'Internazionale. Correva a
combattere i fascismi, convinto che valesse la pena provarci. Fu
condannato a morte il 31 gennaio del 1942. E ammazzato con un colpo
di pistola alla nuca, nella prigione di Krasnojarsk, in piena
Siberia, nello stesso posto dove Lenin era stato confinato dagli zar.
Aveva 60 anni, Peluso. Ma negli occhi non aveva più illusioni.
Fu una delle tante
vittime dei processi staliniani, ma non fu uno dei tanti. Peluso fu
tra i pochissimi, l’unico italiano, a non accettare la logica dei
tribunali, a non piegarsi alla denuncia e alla confessione. Si difese
con una tattica non ortodossa, da scacchista pazzo. Che non riuscì a
salvarlo, ma ne preservò la dignità. Anche se a 60 anni la speranza
non c’era più, anche se il buio a mezzogiorno era già arrivato.n
c’era più, anche se il buio a mezzogiorno era già arrivato. Lo
disse lui stesso, da cittadino del mondo, non annebbiato, che ha il
dovere di raccontare le cose come stanno: “In Urss non c’è alcun
socialismo, ma esistono degli esperimenti folli, che sbalordiscono
tutto il mondo, su un popolo che ha perso il buon senso. Questo
appare vicino nel suo risultato finale a un rozzo dispotismo e non al
socialismo, che da migliaia di anni vive nei sogni più rosei
dell’umanità, ma è presentato al mondo nel modo più deturpato.
Il popolo sovietico è circondato da un mare di lacrime, di dolori,
di privazioni, di file interminabili per il pane, questo prodotto
principale dell’alimentazione, file per un metro di stoffa per
coprire le sue nudità e da una fatica veramente da galera, un vero
pesante lavoro forzato, insomma su tutti costoro grava il marchio
della burocrazia che li opprime appiattendoli tutti allo stesso
livello. Non appena avrò la possibilità aprirò gli occhi ai miei
compagni”.
Gli occhi li chiusero a lui, invece. Per sempre. E lo gettarono via come spazzatura da dimenticare. Fu riabilitato nel 1956. «Perché il delitto non sussiste». Non era mai stato un nemico del popolo, un cospiratore del comunismo, una spia nemica. Solo uno straordinario, ingenuo e fragile cittadino del mondo, nato a Napoli, emigrato ovunque ci fosse un soffio di libertà, una ventata di mondo nuovo. Non è finito stinto sulle magliette, Peluso. Sta lì sull’orlo della memoria. In bilico.
Gli occhi li chiusero a lui, invece. Per sempre. E lo gettarono via come spazzatura da dimenticare. Fu riabilitato nel 1956. «Perché il delitto non sussiste». Non era mai stato un nemico del popolo, un cospiratore del comunismo, una spia nemica. Solo uno straordinario, ingenuo e fragile cittadino del mondo, nato a Napoli, emigrato ovunque ci fosse un soffio di libertà, una ventata di mondo nuovo. Non è finito stinto sulle magliette, Peluso. Sta lì sull’orlo della memoria. In bilico.
Odissea rossa. Storia di un fondatore del Pci, Einaudi, 2001
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