Ecco il Fanfani uomo: nella sua
intimità forte, viva, ebbe grande peso e grande ascolto la voce, il
pensiero, l’amore della sua sposa Biancarosa.
Non dimentico - queste sono le
pennellate dei miei ricordi - un incontro serale per una
chiacchierata amichevole senza un tema particolare all’ordine del
giorno (era in una delle sue presenze come Presidente del Senato). Mi
aspettava in un salone con le luci alquanto smorte, era seduto su una
panca, mi accolse con fraterna amicizia e mi disse: “Stavo dicendo
il rosario”. E citò ancora una volta Biancarosa. Non dimentico.
Piccolo episodio: aveva nominato una
persona molto dabbene a una considerevole responsabilità. Un giorno
si inquietò e annunziò a me e a qualche amico che avrebbe revocato
questa nomina. La nostra reazione fu abbastanza forte, la mia
eccessiva. Ci salutammo e lui mi tolse il saluto, per diverso tempo,
io non ho mai ceduto, ma non l’ho fatto per provocazione, l’ho
fatto per convinzione. Lo vedevo ai “passi perduti” della Camera
e dicevo: “Presidente ti saluto”, e lui si voltava dall’altra
parte, con ostinazione battagliera. Venne il Natale, lo fermai e gli
dissi: “È possibile fare gli auguri al segretario del partito?”.
E lui: “Che? ci vuole un’autorizzazione?”. “No, non basta -
risposi - ci vuole una domanda in carta da bollo per la posizione
guerriera che hai preso”. Mi fece un gran sorriso e non posso non
sentirmi emozionato ricordando quel reciproco augurio di Buon Natale. (6 febbraio 2008)
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