A nord di Salonicco
(Grecia), una vasta area commerciale sta gradualmente guadagnando
terreno su quello che era, fino a poco tempo fa, un’area
industriale. Nel mezzo di questo oceano consumistico, nascosta dietro
un viale di grandi alberi, una fabbrica polverosa sta a ricordare che
qui, poco tempo fa, si potevano incrociare operai in tuta al posto di
clienti coi loro carrelli. Il posto sembra abbandonato, tutte le
entrate sigillate e un’unica auto è ferma nell’ampio parcheggio.
Eppure, da uno degli edifici, dietro un muro di vecchia lamiera,
rumori sordi vengono a volte a rompere il silenzio.
Per entrare nella
fabbrica bisogna farsi annunciare.
Il posto è sorvegliato
24 ore al giorno da lavoratori e da sostenitori locali. E a buon
titolo: i lavoratori di Vio.Me occupano illegalmente i locali dal
2011, da quando cioè i proprietari hanno deciso di interrompere
bruscamente l’attività.
Vista dal tetto della
fabbrica, dietro i grandi alberi inizia l’enorme area commerciale.
Disobbedienza alle
leggi del mercato
La storia sarebbe potuta
finire come tante altre in Grecia negli ultimi anni. Una società (in
questo caso, Filgeram-Johnson, casa-madre di Vio.Me) decide di
chiudere i battenti e di non pagare i salari arretrati dovuti alla
cinquantina di lavoratori all’epoca impiegati.
Solo che questi ultimi
hanno deciso di disubbidire alle leggi del mercato. Per un anno una
trentina di operai sindacalizzati occupano la fabbrica per impedire
ai proprietari di recuperare i macchinari.
Il primo anno, possono
contare sulla loro misera indennità di disoccupazione per
sopravvivere. Poi, man mano che la copertura mediatica della loro
lotta va avanti, aumenta il sostegno, dapprima locale poi
internazionale, che si fa carico delle necessità economiche e
alimentari di questi lavoratori in lotta.
In seguito a molte
assemblee generali, i lavoratori e i loro sostenitori decidono di
riprendere la produzione. Ma anziché colla per piastrelle, la
precedente specialità della fabbrica, optano per la produzione di
sapone e vari prodotti per la casa naturali.
Questo dietro-front
ecologico non era affatto ovvio, soprattutto in Grecia dove questa
sensibilità non è delle più sviluppate. Se i lavoratori di Vio.Me
sono diventati ambientalisti, è stato per necessità e pragmatismo.
“Sapevamo di non poter portare avanti la stessa cosa di prima,
perché avevamo pochi soldi, mentre le macchine sono costose e la
materia prima importata. Allora abbiamo cercato una materia prima a
buon mercato e locale. E noi qui abbiamo molto olio!», spiega Tinna,
arrivata con la ripresa della produzione.
Poi, c’è stato anche
il supporto locale che li ha convinti a lanciarsi nel settore dei
prodotti ecologici, più suscettibili di essere venduti nelle reti
militanti.
Nessun bisogno di
padroni
Un altro cambiamento di
una certa importanza è intervenuto dopo la riapertura: la loro
fabbrica, hanno deciso di gestirla senza un capo. Quando chiedo a
Dimitris, uno dei pilastri della lotta, che si agita sulla sua sedia
in attesa che gli traducano le domande, perché hanno deciso di
organizzarsi in questo modo, mi risponde, con il tono di chi dice una
cosa ovvia: “Il padrone è andato via, perché cercarsene un altro?
Io l’ho visto due volte in due anni. Non abbiamo bisogno di lui per
servirci di macchine che noi usiamo ogni giorno”.
Ma riconosce che passare
da un’organizzazione gerarchicizzata, nella quale le attività sono
assegnate, alla situazione estrema dell’autogestione “non è
stato facile. D’altra parte, non lo è tuttora. Ma abbiamo imparato
a conoscerci meglio. L’Io è diventato noi. Non c’è l’autorità
da una parte e noi [i lavoratori] dall’altra, come prima, ma solo
noi con lo stesso livello di autorità.”
Dimitris ci mostra
i prodotti della fabbrica
Tinna è seduta al suo
fianco su una delle sedie di plastica sistemate in cerchio per
ricevere i visitatori del giorno: oltre a me, ci sono giornalisti
giapponesi, documentaristi spagnoli e greci, viaggiatori francesi. Ci
descrive l’organizzazione di Vio.Me: “Ci incontriamo due volte a
settimana in assemblea, oltre alle discussioni informali durante il
lavoro.”
Tutti possono fare tutto,
anche se alcuni compiti che richiedono competenze specialistiche sono
assegnati singolarmente. “Poiché io parlo inglese, sono io ad
occuparmi delle relazioni con i giornalisti e del sostegno
internazionale” dice. Oggi, ci sono quasi più visitatori che
lavoratori e la fabbrica, vuota come un seggio elettorale il giorno
delle europee, dà l’impressione di girare al minimo. Ai membri
della cooperativa piacerebbe vedere il loro posto di lavoro di nuovo
fiorente come per il passato. “Potremmo essere in cinquanta a
lavorare qui. Anzi, dovremmo essere in cinquanta. Tutti vorremmo
crescere e utilizzare a pieno le potenzialità della fabbrica” si
spinge a dire Dimitris. Tuttavia, diversi elementi rendono difficile
tale potenziamento. Prima di tutto, la situazione economica in
Grecia, sommata alla loro debole cassa, li porta a reinvestire le
magre entrate nell’acquisto di materie prime piuttosto che
nell’acquisto di nuovi macchinari. Ma questa limitazione è dovuta
anche alla loro modalità di distribuzione. I prodotti ecologici di
Vio.Me sono venduti principalmente attraverso la loro rete di
solidarietà tra centri sociali, abitazioni occupate e vari
collettivi che ordinano interi cartoni di prodotti e si incaricano
poi di smerciarli. Il resto viene venduto in occasione di fiere e nel
mercatino dei produttori organizzato mensilmente sul posto. “Possiamo
crescere solo se troviamo più contatti all’estero. Il prossimo
passo è quindi quello di coinvolgere più persone”, dice Tinna.
Saponi appena versati negli stampi e in attesa di seccare.
La fragile fiamma
dell’utopia auto-gestionale greca Vio.Me, questa lotta dei
lavoratori fondata su un consistente sostegno popolare, è spesso
sventolata come bandiera del movimento delle strutture autogestite in
Grecia, movimento che si è sviluppato, si potrebbe dire, attraverso
la guerra economica che ha fatto sprofondare il paese nel caos.
Tuttavia, sul
fronte economico, questa esperienza è fragile.
“I salari permettono a
malapena di sopravvivere” ci dice Tinna. Tanto più che hanno
lavorato molto duramente per riorganizzare la produzione e
appropriarsi delle nuove competenze, allo stesso tempo portando
avanti un intenso lavoro politico. “Lavoriamo ben oltre le otto ore
al giorno. Vio.Me coinvolge gran parte della nostra vita. Ci
piacerebbe lavorare meno, ma dobbiamo pensare alla nostra
sopravvivenza” racconta, visibilmente provata. In diverse
occasioni, durante l’intervista, ha mostrato un certo fastidio e ha
risposto alle domande con frasi brevi intervallate da sospiri.
Una foto dei lavoratori che occupano la Vio.Me |
Cortile interno
della fabbrica
La giovane donna spiega
che non siamo capitati in uno dei momenti migliori. “Scusatemi se
sono un po’ stressata, la situazione è tesa in questi giorni”.
Stanno affrontando le
pressioni sempre più insistenti da parte dei proprietari della
fabbrica, che vanno moltiplicando i procedimenti giudiziari. “Al
momento ne abbiamo uno al mese”, afferma. A suo modo di vedere,
vogliono recuperare la loro proprietà non già per riavviare la
produzione ma per distruggere tutto e vendere la terra a promotori
immobiliari a favore di un’ulteriore espansione dell’area
commerciale.
Un rischio reso
plausibile da due sentenze sfavorevoli alla Vio.Me. In pratica, sono
passibili di essere espulsi in qualsiasi momento. Alcuni sostenitori
del movimento fanno pressione sul governo per permettere a questa
esperienza di autogestione di svilupparsi sotto condizioni
favorevoli.
Da parte sua, Tinna
sostiene di non essere interessata in ciò che accade nella mente dei
potenti. “Non si sa cosa vogliano fare. Quello che sappiamo è che
la polizia dovrà venire a farci sloggiare. Noi resisteremo e
reagiremo” lancia la giovane donna, riecheggiando lo slogan di
Vio.Me: “Occupare, resistere, produrre.”
Anche il comitato di
sostegno a Vio.Me si batte per una regolarizzazione del loro status
di impresa autogestita, cosa promessa da Tsipras in occasione della
sua visita alla fabbrica durante la campagna elettorale.
Chiedo ai miei
interlocutori, dai visi stanchi quanto i muri della fabbrica, se
nonostante le difficoltà il gioco valga la candela. “Anche se non
lo credessi, non c’è nessun’altra alternativa”, risponde Tinna
dopo un attimo di esitazione, ricordando che la maggior parte dei
lavoratori era in primo luogo interessata a mantenere il posto di
lavoro in un contesto di disoccupazione di massa. Dimitris, invece, è
più netto: “In una parola: sì! Certo che ne vale la pena.
Indubbiamente siamo partiti dal bisogno di sopravvivere, ma tutto
questo ha a che fare principalmente con la libertà e la lotta di
classe”.
Rinvigorita dalla
risposta del suo compagno di lotta, Tinna rilancia: “Quello che
guadagno proviene da quello che produco. Non c’è nessun padrone
che trae profitto dal nostro lavoro. Prima ci liberiamo dei padroni,
poi ci libereremo dello Stato”. I lavoratori di Vio.Me vorrebbero
vedere altri seguire le loro orme sulla strada della rivolta e
dell’autogestione. Perciò, moltiplicano gli eventi militanti,
accolgono regolarmente visitatori, accompagnano e supportano altri
operai nelle loro lotte, in Grecia e altrove.
In uno dei capannoni si
può vedere un grande poster in spagnolo a sostegno dei compagni
dell’Argentina. “Lottiamo non solo per noi”, assicura Dimitris,
“ma anche per mostrare agli altri che è possibile”.
Messaggio di sostegno ai
compagni dell’Argentina: “Metà del nostro cuore è a Buenos
Aires. Vio.Me sostiene Bauen”
Dopo di che ci propone
una visita della fabbrica mentre Tinna ritorna al lavoro per gestire
alcuni affari urgenti. Quest’uomo robusto ci mostra i loro diversi
prodotti, i macchinari a volte creati da loro stessi, ma anche la
parte della fabbrica rimasta inutilizzata. Lungo una parete, sacchi
di colla ormai scaduta, vestigia dell’attività precedente, sono
accuratamente accatastati. In mezzo a questo hangar deserto campeggia
un anfiteatro di fortuna, fatto di pallet impilati e illuminato da un
pallido alone di luce che filtra attraverso le lastre del tetto.
Sala per le
assemblee
Dimitris ci spiega che
qui tengono le loro riunioni. Racconta con orgoglio, nel suo inglese
scolastico, che un gruppo rap locale ha girato una clip sulla loro
lotta proprio qui. Poi, con un gesto, ci invita a seguirlo su una
lunga scala di ferro che conduce al tetto. Il ballatoio offre una
vista mozzafiato sulla valle.
Da una parte, la città e
quindi la foresta che lascia indovinare il mare. Dall’altra, le
ultime fabbriche, progressivamente circondate dalla zona commerciale
che si intravvede dietro i grandi alberi. All’inizio dell’incontro,
Dimitris paragonava la loro lotta contro il capitalismo alla
resistenza del villaggio di Asterix contro i Romani. Da quassù,
l’immagine acquista tutto il suo significato. Riaccompagnandoci
alla porta, che avrà cura di richiudere dietro di noi, Tinna,
ritrovato il sorriso, ci sussurra un messaggio: “Parlate della
nostra lotta, ne abbiamo bisogno”.
Scritto per Reporterre
novembre 2015, in “Umanità nova”, 13 novembre 2015
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